a cura di don Riccardo Pecchia
Oggi 23 luglio la chiesa ricorda santa Brigida di Svezia, nacque a Finsta (Svezia) nel 1303, da una famiglia aristocratica. Intorno ai 10 anni ebbe la prima esperienza mistica quando le apparve Cristo crocifisso, suscitando in lei la vocazione per il chiostro, ma il padre le impose, a 15 anni, per ragioni politiche, di sposare il nobile Ulf Gudmarsson, di 18 anni, e vissero felicemente assieme per 28 anni, con otto figli, tra cui santa Caterina di Svezia, badessa di Vadstena. Educò nella pietà cristiana i suoi figli, esortando lo stesso coniuge con la parola e con l’esempio a una profonda vita di fede, sia lei che il marito divennero terziari francescani. Nel 1335, Brigida fu chiamata a corte dal re Magnus II come dama della regina Bianca di Namur, ma questo non le impedì di dedicarsi allo studio della letteratura mistica: aveva chiamato al castello come confessore Matthias di Linkòping, nonché altri teologi e religiosi che trasformarono la sua residenza in un centro di cultura, di vita spirituale e di carità per i poveri. Sposa, madre, dama di corte: questa fu la sua vita per oltre 20 anni, cioè fino a quando, nel 1344, le morì il marito, dopo che insieme avevano compiuto un pellegrinaggio a San Giacomo di Compostella. Rimasta vedova, lasciò il castello e fu accolta, grazie ad una speciale concessione, come “oblata” in una dipendenza dell’abbazia cistercense di Alvastra, si spogliò dei propri beni e della sua libertà, togliendosi persino l’anello nuziale per essere la sposa penitente del Crocifisso. Da allora si moltiplicarono gli straordinari doni soprannaturali, le frequenti visioni e rivelazioni in stato di veglia e di estasi, che la spinsero a impegnarsi per il ritorno del papa a Roma, il ristabilimento della pace tra Inghilterra e Francia e la riforma della società e della Chiesa. Mossa dallo Spirito Santo, Brigida progettò di fondare un ordine monastico doppio unificato, capeggiato da una badessa, che sulla terra rappresentava Maria, e che avrebbe dovuto governare 60 monache e sovrintendere ai 13 presbiteri, ai 4 diaconi e agli 8 fratelli laici del monastero. Questo suo progetto non fu mai realizzato secondo la Regola da lei ideata: i fratres e le moniales per ordine del papa vissero sempre in edifici separati. In seguito alla riforma protestante, l’Ordine fu soppresso dopo che nel secolo XV si era diffuso in quasi tutto il nord Europa. Il ramo femminile fu rifondato nel XX secolo dalla beata Maria Elisabetta Hesselblad con il nome di Congregazione del Santissimo Salvatore di Santa Brigida. In occasione del Giubileo indetto dal papa nel 1350, Brigida si recò a Roma, dove poi si stabilì definitivamente in una casa di piazza Farnese, da lei adattata per ospitare i pellegrini scandinavi che affluivano per lucrare l’indulgenza, vivendo in totale povertà e austerità, mendicando il pane insieme ai poveri all’ingresso delle chiese. Nel 1364 Brigida intraprese una serie di pellegrinaggi per venerare ad Assisi san Francesco, ad Ortona a Mare l’apostolo san Tommaso, sul monte Gargano l’arcangelo Michele, a Bari san Nicola, a Benevento san Bartolomeo, ad Amalfi sant’Andrea e a Salerno san Matteo. Svolse pure varie missioni alla corte della regina Giovanna di Napoli e presso la nobiltà, ma senza esito. Rientrata a Roma, poté assistere il 10 ottobre 1367 al ritorno del papa Urbano V da Avignone; un ritorno però solo temporaneo, nonostante che Brigida, esortando il pontefice a restare, gli avesse predetto che sarebbe morto entro quell’anno, come difatti avvenne. Nel 1372, insieme ai figli Birger e Carlo, partì pellegrina per la Terra Santa e dovunque passò esercitò il suo ministero profetico con ammonimenti, messaggi ai popoli, alle corti e persino all’imperatore bizantino. Percorse pregando i luoghi dove era vissuto Gesù e a sua volta rivisse in una estatica visione tutti i momenti della Passione, sottoponendo sempre le rivelazioni al giudizio del suo confessore, dopo che i suoi segretari ne avevano tradotto il testo in latino. Ritornata a Roma, cadde malata. Morì il 23 luglio 1373.
23 luglio: san Giovanni Cassiano, nacque in Provenza, anche se altri studiosi ritengono sia nato in Romania nel 365 circa, da una famiglia molto benestante. Ricevette in gioventù un’ottima educazione. Ancora giovane con un suo amico, un certo Germano, visita i luoghi sacri in Palestina. Verso i 20 anni lo troviamo monaco a Betlemme dove visse in un monastero, lasciandolo dopo un breve periodo per andare a studiare in Egitto la vita monastica dei padri del deserto, dove subì l’influenza di Evagrio Pontico, figura cruciale nello sviluppo della spiritualità monastica. Trascorse poi un pò di tempo a Sceti vivendo con i monaci. Nel 400 circa, si recò, a Costantinopoli, dove divenne discepolo di san Giovanni Crisostomo, allora patriarca della città e fu ordinato diacono, il santo patriarca viene deposto ed esiliato, perché non ha risparmiato critiche molto dure all’imperatrice Eudosia, gli amici del patriarca mandano allora Cassiano a Roma, per intercedere presso il papa Innocenzo I in suo favore; è possibile che fosse stato ordinato sacerdote in questo periodo, forse a Roma. Per quel poco che conosciamo, delle sue vicende personali, egli trascorse il resto della sua vita in Occidente, dove nel 415 circa a Marsiglia dove istituì due monasteri, il noto monastero maschile di San Vittore a Marsiglia, che fu distrutto durante la Rivoluzione francese, e un altro femminile. Visse in Provenza per il resto della sua vita, scrivendo i suoi due libri: De institutis coenobiorum e Collationes, due opere fondamentali per il monachesimo occidentale prima di Benedetto da Norcia, che privilegiano la vita comunitaria rispetto a quella eremitica. Per lui, solo il monaco può dirsi imitatore perfetto del Cristo: un’affermazione che sarà poi respinta, perché considererebbe “imperfetti” senza rimedio tutti i credenti non monaci. Morì a Marsiglia il 23 luglio 435.