Oggi vigilia di Natale, la Chiesa celebra 24 dicembre: sante Irma (o Irmina) di Treviri e Adele di Pfalzel, queste due sante hanno molte cose in comune: entrambe sono nate alla fioritura del cristianesimo nel cuore della Germania durante la missione di due grandi apostoli, san Willibrordo e san Bonifacio, che rispettivamente ne assecondarono l’opera col sostegno materiale e spirituale; tutte e due furono fondatrici di monasteri, dei quali sono state badesse. Secondo Teofredo, abate di Echternach (Lussemburgo), che scrisse una biografia di sant’Irmina nel 1104, le due sante sarebbero non solo sorelle, ma il loro padre sarebbe addirittura san Dagoberto, re di Austrasia. Pare che la santa fosse fidanzata al conte Ermanno. Questi morì prima delle nozze e Irma volle consacrarsi a Dio, entrando in un monastero di osservanza benedettina. Più tardi ella stessa fondò a Ocren, presso Treviri, un grande monastero, di cui fu eletta badessa. Si racconta che in quel periodo una grave pestilenza si era abbattuta su Treviri e che il flagello sparì soltanto con l’arrivo in città di san Willibrordo. Ammirata e commossa, Irma per riconoscenza fece dono al santo missionario della parte toccatale in eredità della villa di Echternach con l’annessa chiesa e il monastero. La morte di S. Irma o Irmina avvenne presumibilmente nel 708, circa vent’anni prima della morte di santa Adele di Pfalzel, legata al nome di un altro grande apostolo della Germania, l’inglese san Bonifacio che predicò il vangelo in Frisia, nella prima metà del secolo VIII. Durante uno dei suoi frequenti viaggi dalla Frisia alla Renania l’instancabile missionario fu ospite del monastero di Pfalzel, presso Treviri, di cui era badessa Adele. La tradizione vuole che Adele, rimasta vedova, entrasse nel monastero da lei stessa fondato, portandosi dietro il nipotino Gregorio. Durante la sosta nel monastero san Bonifacio parlò così bene delle verità evangeliche che il ragazzo, ammirato, volle seguirlo. Divenne uno dei più zelanti discepoli del grande missionario. È uno sprazzo di luce sulla nebulosa storia di questa santa il cui ricordo si confonde con quello più vivido di sant’Irmina, accomunate dalla santità se non dalla parentela.
24 dicembre: santa Paola Elisabetta Cerioli (al secolo Costanza Cerioli), nacque a Soncino (Cremona) il 28 gennaio 1816, da una nobile famiglia. Fin dalla fanciullezza si mostra disponibile, attenta al prossimo, sensibile ai poveri e ai sofferenti. La sua educazione avviene presso l’educandato delle Suore della Visitazione di Alzano Lombardo (Bergamo), dove si fece notare per la bontà dell’animo e la diligenza nello studio. Tornata in famiglia, aveva 19 anni quando i suoi genitori le propongono il matrimonio con Gaetano Busecchi di 59 anni, vedovo della contessa Maria Teresa Tassis. Il matrimonio avviene il 30 aprile 1835. La sua vita coniugale non sarà facile a causa del carattere e della malattia del marito che pure, a modo suo, le voleva bene. Anche l’esperienza della maternità sarà dura e dolorosa, perché dei quattro figli, solo Carlo vivrà fino a 16 anni, poi morirà, stroncato dalla tisi nel gennaio 1854. Il 25 dicembre 1854 muore anche il marito, restando vedova all’età di 38 anni. Costanza ispirata dalle parole del Vangelo, si lancia con coraggio sui sentieri della carità. Visita gli ammalati, li assiste, li cura, li accudisce. Apre le porte del suo palazzo ai poveri ed ai sofferenti. Medica senza ritrosie ferite e lacerazioni. Il patrimonio del marito, la sua ricchezza personale, tutto è donato ai poveri. Obbedendo al richiamo del cuore, nonostante l’incomprensione di parenti e conoscenti, si volge senza esitazione verso questa nuova direzione: le porte di palazzo Tassis si aprono per accogliere le prime due orfane che in Costanza ritrovano una mamma, che man mano aumentarono di numero, insieme alle persone incaricate della loro formazione ed assistenza; così l’8 dicembre 1857 fondò l’Istituto delle suore della Sacra Famiglia, a Comonte di Seriate (Bergamo), e lei diventò suora prendendo il nome di suor Paola Elisabetta. Dopo qualche anno fondò anche i Fratelli della Sacra Famiglia, a Villacampagna (Cremona), dediti al lavoro ed all’apostolato nei campi agricoli. Morì, a soli 49 anni, il 24 dicembre 1865.
24 dicembre: beato Bartolomeo Maria Dal Monte, nacque a Bologna il 3 novem-bre 1726, da una famiglia benestante. Al battesimo, il giorno seguente, gli furono imposti i nomi di Bartolomeo, Carlo, Maria, Melchiorre. All’età di 6 anni, il 26 aprile 1733, ricevette il sacramento della Cresima dal cardinale Prospero Lam-bertini, arcivescovo di Bologna, che divenne poi papa Benedetto XIV. La vocazione sacerdotale incontrò l’aspra opposizione del padre. Bartolomeo, inco¬raggiato soprattutto dall’incontro con san Leonardo da Porto Maurizio e il suo metodo delle missioni, volle dedicarsi alla predicazione e si decise definitiva-mente per il sacerdozio. Seguito dal suo direttore spirituale, si preparò agli ordini maggiori del suddiaconato e del diaconato, ricevendo l’ordinazione sa¬cerdotale, il 20 dicembre 1749. Dopo i primi anni dedicati all’apprendimento dell’arte della predicazione, Bartolomeo Maria intraprese una straordinaria attività missionaria, prima nelle parrocchie della diocesi di Bologna e poi durante tutti i suoi 26 anni di generosa predicazione, allargò il suo campo d’azione in ben 62 diocesi dell’Italia Settentrionale e Centrale. Nel 1774, a 48 anni, fu chiamato dal cardinale Vicario di Roma a predicare la solenne missione in Piazza Navona e in preparazione dell’Anno Santo del 1775, di tenere gli esercizi spirituali al clero romano nella Chiesa del Gesù. Papa Pio VI voleva trattenerlo stabilmente a Roma, ma egli rifiutò per continuare la sua missione evangelizzatrice tra il popolo delle campagne. Utilizzando i beni ereditati dal padre, fondò la Pia Opera delle Missioni per dare solidità e continuità alle missioni al popolo, avvalendosi di sensibili e intelligenti collaboratori. Ma volle soprattutto che la sua Opera fosse una fucina di apostoli; sacedoti diocesani che in piena comunione col vescovo, fossero totalmente disponibili alla predicazione, convinto che non si poteva essere autodidatti nella difficile vita del predicatore. Creò delle strutture adatte per la formazione dei suoi collaboratori, dedicando loro interessanti scritti spirituali, redatti personalmente. Il 15 dicembre 1778, consumato dalla febbre, dovette interrompere la Santa Messa e la sua salute si aggravò irreparabilmente per complicazioni polmonari. Confortato dai Sacramenti e dalla visita dell’arcivescovo, morì, a Bologna, il 24 dicembre 1778.