Oggi 26 giugno la chiesa ricorda i santi Giovanni e Paolo, tutto quel che sappiamo di loro proviene da una Passio di cui abbiamo la trascrizione del VI secolo. I due fratelli ci vengono presentati come dignitari della corte imperiale, eredi di Costantina, la figlia di Costantino morta nel 354. In rotta con il nuovo imperatore Giuliano l’Apostata, proprio a causa dei beni ricevuti, che è probabile siano stati contestati loro e che essi, a causa della loro fede cristiana, non avranno permesso fossero confiscati a beneficio degli dei falsi e bugiardi. La Passio si apre con le parole di Giuliano: «Il vostro Cristo dice nel Vangelo che chi non rinuncia a tutto ciò che possiede non può essere suo discepolo». Giuliano pretende giustificare la confisca dei beni che i due fratelli avevano ricevuto in forza di quel ricatto etico che sarebbe inconcepibile fuori dell’apostasia cristiana. Di fronte all’invito dell’imperatore a essergli fedeli, i due cristiani rifiutano: «Tu hai abbandonato la fede per seguire cose che sai benissimo non avere nulla a che fare con Dio. Per questa apostasia abbiamo smesso di rivolgerti il nostro saluto». Giuliano manda allora ai due fratelli un messaggio pieno di lusinghe e minacce: «Anche voi siete stati educati a corte, perciò non potete esimervi dallo stare al mio fianco, anzi io vi voglio fra i primi della mia corte. Ma attenzione: se riceverò una risposta sprezzante da voi, non potrò consentire che restiate impuniti». I due fratelli mandano a riferire questa loro risposta: «Noi non ti facciamo il torto di anteporre a te un’altra persona qualunque. Ma solo Dio, che ha fatto il cielo, la terra, il mare e tutte le cose che vi sono contenute. Temano perciò la tua ira gli uomini attaccati al mondo. Noi temiamo solo d’incorrere nell’inimicizia dell’eterno Dio. Perciò vogliamo farti sapere che non aderiremo mai al tuo culto, né verremo nel tuo palazzo». L’imperatore concede loro ancora 10 giorni «per riflettere», perché «vi risolviate a venire da me, non per forza ma spontaneamente». I due fratelli ribattono: «Fa conto che siano già passati i dieci giorni». E Giuliano: «Pensate che i cristiani faranno di voi dei martiri?». Paolo e Giovanni allora chiamano i loro amici, Crispo, prete della comunità di Roma, Crispiniano e Benedetta. A loro raccontano tutto. Celebrano insieme l’Eucaristia e poi invitano i cristiani, dando disposizioni relative a tutti i loro beni. Trascorsi 10 giorni, l’undicesimo scattano gli arresti domiciliari. Saputa la notizia, Crispo e gli altri amici accorrono, ma non è permesso loro di entrare. Entrano invece l’istruttore di campo Terenziano e i suoi poliziotti. Ai due fratelli, che stavano pregando, intima di adorare un idolo, altrimenti saranno trafitti dalla spada «non essendo conveniente uccidere pubblicamente uomini cresciuti a corte». Giuliano voleva evitare in ogni modo che ci fossero martiri fra i cristiani. E se ci fossero stati, che fossero dissimulati. «Per noi», rispondono i due, «non c’è altro signore che l’unico Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, che Giuliano non ha temuto di rinnegare; e siccome è stato respinto da Dio, vuole trascinare anche altri nella rovina sua». Dopo un paio d’ore i due fratelli vengono giustiziati. Morirono il 26 giugno 362; patroni contro le tempeste.
26 giugno: san Josemaría Escrivá de Balaguer,(José María Julián Mariano Escrivá Albás), nacque a Barbastro (Spagna) il 9 gennaio 1902, in un agiata famiglia di solide radici cristiane. La loro vita fu costellata da una serie di disgrazie: a due anni Josemaría fu sul punto di morire a causa di un’infezione, e poi la morte in tenera età di tre sorelline, nate dopo Josemarìa, e quindi il fallimento della ditta paterna. Nel 1915 la famiglia si trasferisce a Logroño.Fu qui che Josemaría ebbe i primi richiami vocazionali. Nel 1917 anni Josemaría, a 15 anni, è studente presso i padri Scolopi di Barbastro, nel 1918 iniziò gli studi ecclesiastici nel seminario di Logroño, e dal 1920 li proseguì nel Seminario San Francesco di Paola, a Saragozza, dove dal 1922 svolse mansioni di “Superiore”. Nel 1923 iniziò gli studi di legge nell’Università di Saragozza, con il permesso dell’autorità ecclesiastica, senza che ciò ostacolasse gli studi teologici. Fu ordinato sacerdote il 28 marzo 1925. Il primo incarico lo porta nella parrocchia di Perdiguera, dove c’è gente umile, di poche risorse, che però accoglie il giovane sacerdote con grande affetto. Tornato a Saragozza, presta la propria opera come cappellano della chiesa di San Pietro Nolasco; si dedica pure alla catechesi e ad altri compiti pastorali. Il 19 aprile si trasferisce a Madrid, con il permesso dell’arcivescovo, per ottenere il dottorato in Diritto Civile nell’università della capitale. È nominato cappellano del Patronato per i malati, e svolge un’instancabile opera di apostolato: prepara migliaia di bambini alla confessione e alla comunione, accudisce malati e invalidi negli ospedali, si dedica alle opere di misericordia nei sobborghi più indigenti di Madrid. II 2 ottobre 1928, il Signore risponde alle sue ripetute invocazioni, fondò l’Opus Dei. Si apriva così quella che alcuni vedono come una “nuova via” per la Chiesa cattolica, finalizzata a promuovere, fra persone di ogni ceto sociale, la ricerca della santità e l’esercizio dell’apostolato attraverso la “santificazione” del lavoro. Durante la guerra civile spagnola svolse il suo ministero sacerdotale dapprima a Madrid e poi a Burgos; in varie fasi della guerra fu costretto per salvarsi la vita a nascondere la sua condizione clericale nascondendosi in sedi diplomatiche e manicomi, al fine di sfuggire all’attività di ricerca svolta nei suoi confronti da membri del fronte popolare che operava omicidi sommari a danno di religiosi e si batteva contro i nazionalisti anti-governativi e conservatori del generale Francisco Franco. Il 14 febbraio 1943 fondò la Società sacerdotale della Santa Croce, che, oltre a consentire l’ordinazione sacerdotale di membri laici dell’Opus Dei, permetterà anche ai sacerdoti delle diverse diocesi di seguire questo cammino di santificazione attraverso il lavoro, mantenendosi in esclusiva dipendenza dal proprio vescovo. Il 23 giugno 1946 Josemaría si trasferì a Roma, dove rimarrà fino alla morte. Il 16 giugno 1950, festa del Sacro Cuore di Gesù, Pio XII concede all’Opus Dei la definitiva approvazione; con essa il fondatore ottiene dalla Santa Sede di poter ammettere in qualità di cooperatori dell’Opus Dei anche persone non cristiane. Da allora Josemaría stimolò e guidò la diffusione dell’Opus Dei in tutto il mondo, prodigandosi per dare agli uomini e alle donne dell’Opera una solida formazione dottrinale, ascetica e apostolica. Morì il 26 giugno 1975, a 73 anni.
26 giugno: beato Andrea Giacinto Longhin (Andrea Giacinto Bonaventura Longhin), nacque a Fiumicello di Campodarsego (Padova) il 22 novembre 1863, da una famiglia di umili contadini. Il padre inizialmente, per non privarsi delle sue braccia nel lavoro dei campi, si oppose alla vocazione religiosa del figlio, ma dovette cedere alla sua inflessibile volontà e così Giacinto il 27 agosto 1879, a 16 anni, iniziò il noviziato a Bassano del Grappa (Vicenza), nell’Ordine Frati Minori Cappuccini, con il nome di fra Andrea da Campodarsego. Il 19 giugno 1886, a soli 23 anni, fu ordinato sacerdote. Per anni svolse l’attività di insegnante e direttore spirituale dei giovani religiosi. Nel 1902 fu eletto “ministro” (responsabile) della provincia veneta dell’Ordine con sede a Venezia, dove conobbe Il cardinale Giuseppe Sarto, futuro papa Pio X. Il 16 aprile 1904 Pio X lo nominò vescovo di Treviso. Quando scoppiò la I guerra mondiale, Treviso era sulla linea del fronte, ma Andrea restò al suo posto anche quando le autorità civili se ne andarono e volle che altrettanto facessero i suoi preti, a meno che non dovessero accompagnare le loro popolazioni profughe. Fu allora riferimento religioso, morale e civile per tutta la comunità, provvedendo anche materialmente all’assistenza dei soldati, dei malati e dei poveri. Negli anni dell’avvento del fascismo indicò ai fedeli trevigiani la strada della non violenza e dell’unione come argine delle organizzazioni diocesane contro la violenza di parte. Venne incaricato da papa Pio XI come amministratore apostolico della diocesi di Padova nel 1923 e visitatore e amministratore apostolico dell’arcidiocesi di Udine nel 1927-1928, allo scopo di conoscere la situazione e promuovere la concordia nelle due diocesi, dove si assisteva ad una pericolosa divaricazione tra il clero ed i rispettivi vescovi. Il 4 ottobre 1928, Pio XI, lo nominò arcivescovo titolare di Patrasso, conservandogli anche il titolo e il governo della diocesi di Treviso. Il 3 ottobre 1935 a Salzano, al termine della visita pastorale, perse improvvisamente la vista. Ricoverato d’urgenza all’ospedale di Treviso gli fu riscontrata una deficienza di circolazione cerebrale a causa di una paralisi. Percorse il suo calvario per nove mesi. Morì il 26 giugno 1936.