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Oggi 28 febbraio la chiesa celebra sant’Ilario (o Ilaro), 46° vescovo di Roma e Papa della Chiesa cattolica; nacque in Sardegna, succedette a san Leone I Magno, di cui era stato arcidiacono. Nel 449 Ilario fu inviato insieme a Giulio, vescovo di Puteoli, come legato di Leone I al Secondo concilio di Efeso (Latrocinium Ephesinum). Qui si batté vigorosamente per i diritti della sede romana e si oppose alla condanna di Flaviano di Costantinopoli. Per questo motivo fu oggetto della violenza di Dioscoro, patriarca di Alessandria, e si salvò a malapena,
nascondendosi nella cella sepolcrale di san Giovanni evangelista. Alla morte di papa Leone I, il 10 novembre 461, Ilario fu scelto come suo successore e fu consacrato il 19 novembre 461. Il suo pontificato fu marcato dalla stessa politica vigorosa del suo grande predecessore. In modo particolare gli affari della Chiesa in Gallia e Spagna richiesero la sua attenzione: a causa della disorganizzazione politica dei due paesi, per salvaguardare la gerarchia, era importante fortificare il governo della Chiesa e impedire la violazione di norme disciplinari. A Roma, Ilario lavorò con zelo per l’integrità della fede cattolica. Nel 466, l’imperatore Antemio aveva un favorito chiamato Filoteo, che frequentava riunioni di una setta eretica. Durante una delle visite dell’imperatore a San Pietro, il papa lo chiamò di fronte a tutti per rendere conto della condotta del suo favorito, esortandolo a promettere che avrebbe fatto tutto ciò che era in suo potere per tenere sotto controllo l’eresia. Ilario fece erigere a Roma molte chiese ed altri edifici. A lui si devono due oratori nel battistero di San Giovanni in Laterano, uno in onore di Giovanni Battista, l’altro di Giovanni evangelista. La magnificenza e munificenza adottata nella sua attività edilizia produsse diversi giudizi negativi nei confronti di Ilario. Non fu tanto l’edificazione o il restauro dei numerosi edifici sacri, o le opere ornamentali realizzate per l’abbellimento e la decorazione di tanti luoghi di culto e proprietà della Chiesa, a generare dubbi e critiche, quanto piuttosto l’eccessiva ed inopportuna opulenza delle opere e degli arredi acquisiti o fatti realizzare. Eccessiva per la profusione di ori e altri materiali preziosi dappertutto impiegati con l’abbondanza di un mecenate rinascimentale; inopportuna perché, come osserva il Gregorovius: «mentre Roma precipitava nella miseria e moriva, le chiese si coprivano di pietre preziose e le basiliche traboccavano di tesori favolosi, davanti agli occhi di un popolo che si era dissanguato nel tentativo di armare un esercito e una flotta contro i Vandali». Morì il 29 febbraio 468, dopo un pontificato di sei anni, tre mesi, e dieci giorni.
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28 febbraio: sant’Auguste Chapdelaine, nacque a La Rochelle-Normande (Francia) il 6 gennaio 1814, da famiglia di agricoltori presso la quale rimase fino a 20 anni, quando entrò nel seminario di minore della diocesi di Coutances, dopo una vocazione contrastata dalla famiglia, dove fu ordinato sacerdote nel 1843, ma il suo desiderio
era quello di diventare missionario. Fu destinato come parroco a Boucey, ma presto maturò la vocazione missionaria per cui entrò nella Società delle Missioni Estere di Parigi nel 1851. Si imbarcò poi ad Anversa il 29 aprile 1852, diretto alla missione della regione cinese dello Guangxi. Si fermò inizialmente a Ta-Chan, alla frontiera della Cina, per apprendere la lingua prima di affrontare le vere e proprie fatiche apostoliche. Dopo tre anni raggiunse iniziando il suo apostolato, ma le autorità locali, ostili al cristianesimo, lo arrestarono insieme ad alcuni confratelli, poco tempo dopo, 25 febbraio 1856, dagli emissari del mandarino di Sy-Lin-Hien, acerrimo nemico dei cristiani, su richiesta di Pè-San, un personaggio dai costumi corrotti, geloso della conversione al cristianesimo di una donna da lui sedotta. La retata delle guardie coinvolse 25 cristiani, che furono bastonati a colpi di bambù e incatenati con la “ganga” al collo (tipica gogna dei paesi asiatici). Il giorno successivo, dopo essere stato interrogato e accusato, Augusto ricevette per punizione altre centinaia di colpi di bambù che lo resero un’unica piaga. Ma le torture non finirono qui. Il giorno dopo ancora venne incatenato con le ginocchia piegate e strette sopra delle catene di ferro, e rimase in quella posizione dolorosissima fino al 28 febbraio, in attesa di un ingente riscatto da parte dei cristiani, che però erano impauriti e nascosti. Morì a Guangxi (Cina) 29 febbraio 1856, nella gabbia, con il collo entro un foro del coperchio superiore e il corpo, tolto il fondo della gabbia, sospeso, spirò come fosse impiccato.
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8 febbraio: beata Antonia da Firenze, nacque a Firenze nel 1400 circa, da onorata famiglia. Sposatasi giovanissima con un suo coetaneo, dal quale ebbe un figlio, rimasta vedova dopo pochi anni, rifiutò di rimaritarsi e affidò il bambino alle cure dei nonni per farsi terziaria francescana, nel 1429, nel monastero di Sant’Onofrio a Firenze, fondato dalla beata Angelina da Marsciano. Si distinse ben presto per le sue virtù e per le sue qualità singolari: cosicché nel 1430 Angelina da Marsciano, divenuta ministra generale, affidò ad Antonia l’incarico di dirigere il monastero di Sant’Anna a Foligno. La sua fama intanto si diffondeva e nel 1433, con alcune compagne per volere della famiglia Branconio e del clero della città dell’Aquila inviarono a Foligno un’autorevole delegazione con l’incarico di condurla nella città ad organizzare e dirigere il monastero di Santa Elisabetta nella contrada di San Silvestro, fondato di recente dalle terziarie francescane. In questi anni però, non riuscendo ad appagare il suo desiderio di una sempre più profonda contemplazione, nonostante la sua intensa vita spirituale, maturò l’idea di abbandonare il Terz’Ordine per abbracciare la Regola di Santa Chiara d’Assisi; quindi, incoraggiata da san Giovanni da Capestrano, che in quei tempi predicava in Abruzzo, ebbe da lui approvazione e sostegno e nel 1447 fondò sempre all’Aquila, insieme a tredici compagne, il Monastero dell’Eucarestia del quale diventò badessa. Gli ultimi anni di Antonia furono molto tribolati, angustiata per la sorte del figlio in contrasto con i nonni per ragioni patrimoniali, afflitta da una lunga dolorosa malattia, dovette anche affrontare conflitti gravi con i frati osservanti, i quali non prestavano volentieri assistenza alle comunità femminili. Superò con coraggio le non facili prove, confortata dalla protezione di san Giovanni da Capestrano, il quale, anche di lontano, in Germania, non lesinava il suo appoggio alle comunità da lui fondate in Abruzzo. Egli inviò all’Aquila, per assistere le clarisse, fra Luigi di Dacia e frate Arrigo d’Ungheria, che conoscevano la lingua italiana: questi esercitarono scrupolosamente il loro ministero e, per quanto morissero ambedue nel breve spazio di due anni, tuttavia con il loro esempio riuscirono a persuadere i frati osservanti a riprendere la direzione delle clarisse. Antonia dopo aver tenuto per sette anni l’ufficio di badessa, poté dedicarsi esclusivamente alla contemplazione e al silenzio. Morì il 29 febbraio 1472.
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