Oggi 3 settembre la chiesa celebra san Gregorio Magno, 64º vescovo di Roma e Papa della Chiesa cattolica; nacque a Roma intorno al 540, da una nobile famiglia. Nella sua giovinezza ebbe preparazione culturale, relativamente ai suoi tempi, assai buona, arricchita in seguito da studi biblici e patristici molto vasti, avvertendo profondo l’influsso specialmente di sant’Agostino d’Ippona. L’esperienza politica e amministrativa, che risalta con evidenza dalla sua attività pontificale, attesta anche un’accurata preparazione giuridica. Dal 572 al 573 fu prefetto della città di Roma, sentì profonda la vocazione alla vita monastica, e organizzò perciò nel palazzo paterno sul Celio un monastero. L’esperienza da lui dimostrata nelle cariche pubbliche ricoperte e la fama di sicura ortodossia e austerità di vita indussero papa Pelagio II a inviarlo come apocrisario (nunzio apostolico) presso l’imperatore Tiberio II a Costantinopoli dove rimase dal 579 al 585-86 procurandosi preziose amicizie e vasta esperienza politica. Tornato a Roma, alla morte di Pelagio II fu elevato, per designazione unanime nonostante alcune resistenze, al soglio pontificio nel 590. Non più giovane, tormentato da sofferenze fisiche e morali, Gregorio era convinto di essere stato chiamato a reggere la Chiesa nell’imminenza della fine dei tempi e consapevole della sua immensa responsabilità verso i fedeli, non si risparmiò fatiche per migliorare le condizioni materiali e religiose di Roma, dell’Italia, dell’Europa, in un momento particolarmente difficile per i problemi rappresentati dagli insediamenti barbarici, per le carestie, per il venir meno della organizzazione civile dell’Impero. Durante il pontificato di Gregorio Magno alla Chiesa cattolica si avvicinarono tre popoli importanti: gli Anglosassoni, gli Iberici e i Longobardi. Gregorio fu sostenuto da Teodolinda, regina dei Longobardi, cui va attribuito il merito della conversione del suo popolo. Buoni rapporti conservò anche con i sovrani franchi e visigoti, ottenendo il loro appoggio nel governo di quelle diocesi, lontane e spesso affidate in mani non del tutto degne. Gregorio si guadagnò meriti inestimabili come operatore pastorale. Impiegò i beni della Chiesa romana per alleviare i bisogni e la miseria della popolazione italiana. Il suo impegno caritativo, la sua previdenza sociale e le sue misure di precauzione contro lo sfruttamento dei bambini e delle persone deboli indicarono ai papi successivi la strada da seguire. Gregorio è passato alla storia anche come importante scrittore teologico, grande rilevanza ha assunto il suo Liber regulae pastoralis (Regola pastorale), sui compiti dei pastori della Chiesa. Gregorio I, che aveva sofferto di una grave malattia allo stomaco per tutta la vita. Morì il 12 marzo 604.
3 settembre: san Marino da Arbe, nacque ad Arbe (Rab ex Jugoslavia) nel 275 circa. La leggenda narra che Marino, scalpellino originario dell’isola di Arbe venne alla fine del III secolo in Italia, insieme a san Leo (o Leone), per la ricostruzione delle mura di Rimini e per sfuggire alla persecuzione contro i Cristiani iniziata dall’imperatore Diocleziano. Gli scalpellini, giunti a Rimini, furono inviati per tre anni sul Monte Titano per estrarre e lavorare la roccia. In seguito Marino e Leo si divisero: il primo tornò a Rimini, l’altro si rifugiò sul Monte Feliciano (o Monte Feltro) dove edificò anche una chiesa. Quest’insediamento sul Monte Feliciano prenderà poi il nome di San Leo. Marino rimase a Rimini per 12 anni e 3 mesi, lavorando instancabilmente e dedicandosi a predicare il Vangelo e a combattere l’idolatria, così la sua fama di uomo virtuoso e santo accrebbe e raggiunse anche la sua terra natia. Qui, oltre a dedicarsi al lavoro materiale, professava la parola del Signore ed avvicinò alla fede cristiana molti abitanti di Rimini. Giunse però dalla Dalmazia una donna che dichiarava essere la sua legittima sposa e, dopo aver cercato invano di sedurlo, si rivolse alle autorità romane. Marino decise di fuggire da Rimini, risalì la valle del fiume Marecchia, il Rio San Marino, e giunse al suo primo rifugio, la grotta della Baldasserona. Dopo un anno passato nel rifugio, venne scoperto da alcuni allevatori che diffusero la notizia del ritrovamento. La donna si recò ancora da Marino, che si chiuse nel suo rifugio senza cibo per sei giorni. Al sesto giorno la donna abbandonò il suo progetto, ritornò a Rimini dove confessò di aver agito contro un santo, e quindi contro il Signore. Marino abbandonò dunque il suo rifugio, risalì il Monte Titano e costruì una piccola cella ed una chiesa dedicata a San Pietro. Un uomo però, tale Verissimo, figlio della vedova Felicissima, proprietaria del terreno su cui sorgeva il monte, protestò contro la presenza del santo. Marino pregò il Signore di tenere sotto controllo il ragazzo, che in quell’istante cadde a terra paralizzato. Felicissima chiese allora perdono a Marino in cambio della sua conversione e battesimo ed un appezzamento di terra dove Marino avrebbe voluto essere seppellito. Verissimo ritrovò dunque piene facoltà e cinquantatré suoi parenti si convertirono. Il vescovo di Rimini, san Gaudenzio, convocò Leo e Marino per esprimere riconoscenza, consacrando anche il primo, sacerdote, e il secondo, diacono. Tornato nella sua umile dimora Marino scoprì nel suo orticello un ferocissimo orso che stava sbranando l’asino, che lo aiutava nei lavori giornalieri. Indignato Marino legò alla macina l’orso che domato svolse da quel momento in poi le usuali mansioni dell’asino ucciso. Mentre Leone passava a miglior vita, Marino continuò così a vivere nel suo romitorio dove alternava il lavoro alla preghiera e dove rimase fino alla sua morte. Morì il 3 settembre 366 d.C.; patrono della Repubblica di San Marino.
3 settembre: beato Andrea Dotti nacque a Borgo Sansepolcro (Arezzo) intorno al 1250, dalla famiglia Dotti. Il giovane Andrea fu cresciuto come molti nobili del suo tempo, perciò fu avviato, dal padre Giuliano, alla carriera delle armi, distinguendosi, tra l’altro, per il coraggio in combattimento. Nel 1278 durante la celebrazione del Capitolo Generale, a Borgo Sansepolcro, san Filippo Benizi, insigne propagatore dell’Ordine dei Servi di Maria, tenne un’omelia su questo passo evangelico: «Chi di voi non rinuncia a quanto possiede non può essere mio discepolo» (Lc 14,33), un sermone sulla rinuncia ai beni terreni come via di salvezza. Le calde parole di Filippo fecero molta impressione nell’animo di Andrea, allora ventottenne, che prontamente si era recato ad ascoltarlo. Mentre parlava Filippo, lo Spirito Santo illuminava la mente di Andrea, infondeva nel suo cuore un gran disgusto per tutte le cose della terra, un amore acceso per le cose del Cielo, un vivo desiderio di rendersi religioso nell’Ordine servita. Andrea, appena finito il discorso e la funzione, domandò umilmente ed ottenne di essere introdotto alla presenza di Filippo. Quando fu vicino al santo Generale, che trovò circondato dai religiosi e da molti signori, che si congratulavano con lui per il suo magnifico discorso, gli si gettò ai piedi, e sì gli disse: «Padre Generale la voce di Dio mi chiama nel vostro Ordine». Filippo, intenerito da quelle parole, sollevò ed abbracciò il nobile giovane, che gli inviava la celeste Signora, approvò la sua richiesta e lo benedisse. Andrea se ne andò deciso al suo palazzo; con volto angelico e dimesso si presentò ai suoi genitori, che già da qualche tempo avevano preveduto la vocazione di lui allo stato religioso, manifestò loro la soluzione presa, ed umilmente chiese la loro benedizione, i suoi genitori, che amavano intensamente questo loro figliuolo gli si gettarono al collo e l’abbracciarono teneramente. Due anni dopo decise di entrare nell’Ordine servita ed ottenne l’abito dei Servi, prendendo il nome di fra Andrea, a ricordo dell’altro Andrea che, abbandonate le reti e la barca, seguì il Cristo. Nel 1280 fu ordinato sacerdote. Nel 1285 tornò a Sansepolcro. Andrea visse la sua vita religiosa nel convento di Sansepolcro e nell’eremo della Barucola, dove si trattenne per lunghi periodi. Proprio alla Barucola, nell’ora da lui stesso predetta e dopo una notte trascorsa in preghiera, fu chiamato a Dio. Il suo corpo, fu ritrovato dai confratelli nell’atto di pregare sotto un grande faggio. Morì il 31 agosto 1315.