a cura di don Riccardo Pecchia
Oggi 31 luglio la chiesa celebra sant’Ignazio di Loyola (Íñigo López de Loyola), nacque a Loyola (Spagna) il 1 giugno 1491, da una nobile famiglia. Íñigo rimasto orfano dei genitori, nel 1506 venne mandato nella città di Arévalo, alla corte del ministro delle finanze del re Fernando il Cattolico, Juan Velázquez de Cuéllar per ricevere un’educazione cavalleresca e religiosa. Egli rimase in casa del Velázquez per 11 anni, fino al 1517, trascorrendo una vita agiata, dedita ai banchetti, alla musica, alla lettura di romanzi cavallereschi e alla composizione poetica. I suoi progetti improvvisamente sembrarono messi in pericolo nel 1516, alla morte di re Ferdinando, quando gli successe suo nipote, il lontano Carlo di Borgogna. Velàsquez perse la sua posizione e influenza a corte e dovette ritirarsi, pesantemente indebitato, per morire l’anno seguente. Ignazio, che sembrava stanco della vita di corte, partì per Pamplona, la capitale della Navarra, e ottenne un posto nell’esercito di Antonio Manrique de Lara, duca di Nàjera e viceré di Navarra, con cui era imparentato. Nel 1521 difese valorosamente la città di Pamplona contro i francesi riportando gravi ferite, una palla di cannone gli aveva attraversato una gamba. Dopo quindici giorni di degenza a Pamplona Íñigo venne trasportato in barella alla casa paterna. Il suo stato era grave e più volte si temette per la sua vita. Solo dopo dolorosissime operazioni, stoicamente sopportate, e sofferenze egli poté ristabilirsi pur non potendosi reggere bene sulla gamba, a causa della quale rimase zoppicante per il resto della vita. Nei giorni in fu costretto a un’esasperante immobilità, rimase a letto leggendo. Durante la lunga convalescenza prese a leggere, in mancanza dei richiesti e non trovati romanzi di cavalleria, la Vita di Cristo di Ludolfo di Sassonia e la Leggenda Aurea di Jacopo da Varazze. In lui qualcosa andava mutando, cominciava il suo processo di conversione religiosa dove Íñigo trasferiva l’intento, ormai deluso, di un’ambiziosa carriera militare all’impegno religioso di cogliere la gloria riservata ai santi. Durante il suo periodo di degenza cominciò pian piano a dedicarsi alla preghiera, alla lettura di testi sacri, alla meditazione, scrivendo alcuni appunti che in seguito avrebbero dato vita ai suoi Esercizi spirituali. Appena ristabilito, partì per Barcellona, per imbarcarsi per Gerusalemme come un umile pellegrino. Mentre era in viaggio, si fermò al santuario di Monserrat per una veglia davanti alla cappella della Madonna, dove scambiò i suoi abiti cavallereschi con quelli di un pellegrino e da lì, il 25 marzo 1522, entrò nel monastero di Manresa, in Catalogna, Dopo la “veglia d’armi” assunse il nuovo nome di Ignazio. Nel febbraio 1523 da Manresa si recò a Roma, ottenne da Adriano VI la licenza del passaggio a Gerusalemme, e là approdò il 4 settembre dello stesso anno. Dopo 20 giorni di vita eremitica presso i luoghi santi fu costretto a riprendere il mare; durante il viaggio comprese che le sue conoscenze linguistiche e scientifiche erano scarse, Ignazio tornò sui banchi di scuola, tra i bambini, e imparò il latino, poi si iscrisse all’università di Parigi, dove conseguì il baccalaureato. Il 15 agosto del 1534, Ignazio e altri sei studenti Pierre Favre, Francesco Saverio, Giacomo Laínez, Alfonso Salmerón, Nicolás Bobadilla, e Simão Rodrigues, con un voto di povertà, castità e obbedienza fondarono un ordine a carattere internazionale chiamato con un termine d’origine militare la Compagnia di Gesù (Societas Jesu). A Venezia, dove giunse agli inizi del 1536, fu ordinato sacerdote il 24 giugno 1537 e nell’ottobre dello stesso anno con Pierre Fabro e G. Lainez si recò a Roma dal pontefice. Ignazio fu eletto preposito generale del nuovo istituto, compito che effettuò per 15 anni; rimasto a Roma per volere del papa, coordinava l’attività dell’Ordine, nonostante soffrisse dolori lancinanti allo stomaco, dovuti ad una calcolosi biliare e a una cirrosi epatica mal curate, limitava a quattro ore il sonno per adempiere a tutti i suoi impegni e per dedicarsi alla preghiera e alla celebrazione della Messa. Il male fu progressivo limitandolo man mano nelle attività. Morì il 31 luglio 1556, a 65 anni.
31 luglio: beato Giovanni Colombini, 31 luglio: beato Giovanni Colombini, nacque a Siena nel 1304 da Pietro e da Agnolina. La famiglia, di origine nobile, aveva assunto il cognome Colombini agli inizi del secolo XIII in sostituzione di quello originario, Strozza-vacchae, da giovane si iscrisse alla corporazione della lana e si dedicò, seguendo una lunga tradizione familiare, al commercio. Grazie al suo spirito d’iniziativa creò una vasta e solida rete di rapporti per la vendita di panni di lana, che contava molti corrispondenti nelle città vicine, i frequenti viaggi di lavoro arricchirono sia il patrimonio sia il suo bagaglio di esperienza e di cultura e fecero di lui un uomo stimato e dalla solida posizione sociale. Si sposò con Biagia Cerretani, dalla quale avrà due figli, si dedicò anche alla vita pubblica, diventando membro del Consiglio del popolo e ripetutamente priore della città; convertitosi insieme alla moglie dopo la lettura della Vita di santa Maria Egiziaca scritta da Jacopo da Varazze, Colombini assieme ai suoi seguaci e a sua moglie iniziò a percorrere i villaggi predicando una spiritualità semplice e dedicandosi particolarmente all’assistenza degli infermi; non indossavano un abito religioso né vivevano in case comuni e, sull’esempio di san Francesco d’Assisi, non accedevano al sacerdozio. A causa del loro uso di ripetere frequentemente il nome di Gesù, il popolo iniziò a chiamarli Gesuati. Temendo che alla sua morte la fraternità potesse disperdersi Colombini si recò da papa Urbano V per chiedergli l’approvazione del suo ordine: il pontefice acconsentì, ma impose ai religiosi di vestire un saio bianco e la vita comune in conventi. Subito dopo, anche una nipote di Giovanni, Caterina Colombini anch’essa divenuta beata, costituì l’Ordine delle monache Gesuate. La congregazione dei Gesuati venne soppressa da papa Clemente IX nel 1668. I Gesuati venivano chiamati Padri dell’acquavite, perché negli ospedali, distillavano il vino e la somministravano ai malati per farli sopportare il dolore. Morì ad Acquapendente il 31 luglio 1367