a cura di don Riccardo Pecchia
Oggi 4 ottobre si celebra san Francesco d’Assisi, nacque ad Assisi il 26 settembre 1182, da Pietro di Bernardone, ricco mercante di stoffe, e da Giovanna Pica; la madre gli mise nome Giovanni; ma, tornato il padre dal suo viaggio in Francia, cominciò a chiamare il figlio Francesco. Nel 1202 nello scontro di Collestrada con i perugini e gli assisani, Francesco fu catturato con molti suoi concittadini e condotto prigioniero a Perugia. Dopo un anno, tra Perugia e Assisi fu conclusa la pace e Francesco rientrò insieme ai compagni di prigionia. Decide allora di realizzare la sua aspirazione a diventare cavaliere e nel 1205 si unisce al conte Gentile, che partiva per la Puglia, per essere da lui creato cavaliere. È a questo punto della vita di Francesco che iniziano i segni premonitori di un destino diverso da quello che lui aveva sognato. In viaggio verso la Puglia, giunto a Spoleto, si ammalò nuovamente ed ebbe un profondo ravvedimento. Avrebbe raccontato in seguito di essere stato persuaso da due rivelazioni notturne: nella prima egli scorse un castello pieno d’armi ed udì una voce promettergli che tutto quello sarebbe stato suo. Nella seconda sentì nuovamente la stessa voce chiedergli: «Chi può meglio trattarti, il Signore o il servo?». Rispose: «Il Signore». La voce replicò: «E allora perché abbandoni il Signore per il servo?». L’indomani Francesco torna ad Assisi aspettando che Dio del quale aveva udito la voce, gli rivelasse la sua volontà. Trascorre circa un anno nella solitudine, nella preghiera, nel servizio ai lebbrosi, fino a rinunciare pubblicamente, nel 1206, all’eredità paterna nelle mani del vescovo Guido e assumendo la condizione canonica di penitente. Francesco veste l’abito da eremita continuando a dedicarsi all’assistenza dei lebbrosi e al restauro di alcune chiese in rovina del contado assisano dopo che a San Damiano aveva udito nuovamente la voce del Signore dirgli attraverso l’icona del Crocifisso: «Francesco và, ripara la mia casa che, come vedi, è tutta in rovina». Nel 1208, attirati dal suo modo di vita, si associano a lui i primi compagni e con essi nel 1209 si reca a Roma per chiedere a Innocenzo III l’approvazione della loro forma di vita religiosa. Il Papa concede loro l’autorizzazione a predicare rinviando a un secondo tempo l’approvazione della Regola. Spinto dal desiderio di testimoniare Cristo nei paesi musulmani, Francesco tenta più volte di recarvisi. Finalmente nel 1219 raggiunge Damietta (Egitto), dove, durante una tregua nei combattimenti della quinta crociata, viene ricevuto e protetto in persona dal Sultano al-Malik al-Kamil. Rientrato ad Assisi nel 1220 Francesco rinuncia al governo dei frati a favore di uno dei suoi primi seguaci: Pietro Cattani. Il 30 maggio 1221 si radunò in Assisi il capitolo detto “delle stuoie” al quale partecipò un gran numero di frati, si discusse il testo di una Regola da sottoporre all’approvazione della Curia romana e fu nominato frate Elia vicario generale al posto del defunto Pietro Cattani. La Regola (detta Regola non bollata) discussa e approvata dal capitolo del 1221 fu respinta dalla Curia romana perché troppo lunga e di carattere scarsamente giuridico. Dopo un processo di revisione del testo, al quale collaborò il cardinale Ugolino d’Ostia (futuro papa Gregorio IX), il 29 novembre 1223 finalmente Onorio III approva la Regola dell’Ordine dei Frati Minori. Durante la notte di Natale del 1223, a Greccio, Francesco volle rievocare la nascita di Gesù, facendo una rappresentazione vivente di quell’evento. È da questo episodio che ebbe poi origine il presepe. Dopo il capitolo di Pentecoste del 1224 Francesco si ritirò con frate Leone sul monte della Verna per celebrarvi una quaresima in onore di san Michele Arcangelo. Lì, la tradizione dice il 17 settembre, Francesco avrebbe avuto la visione del serafino, al termine della quale nelle sue mani e nei piedi comparvero le stigmate. Nell’ultimo biennio di vita di Francesco si colloca anche la composizione del Cantico delle creature. Sono anni questi in cui Francesco è sempre più tribolato dalla malattia (soffriva di gravi disturbi al fegato e di un tracoma agli occhi). Quando le sue condizioni si aggravarono in maniera definitiva Francesco fu riportato alla Porziuncola, dove morì nella notte fra il 3 e il 4 ottobre 1226; patrono d’Italia
4 ottobre: san Petronio, non nacque a Bologna, ma sembrerebbe esser nato in Spagna, il padre Anicio Probo Petronio, era prefetto romano delle Gallie. Come il padre, Petronio, prima di essere consacrato vescovo, fu Prefetto del pretorio nella provincia spagnola dell’Impero. Questi fu inviato dall’Imperatore a Roma per scongiurare il pericolo di eresie. Papa Celestino I, avvisato in sogno da san Pietro della morte del vescovo Felice di Bologna, decise, come gli era stato rivelato, di nominare nuovo vescovo proprio l’Ambasciatore imperiale. Non potendo resistere al volere di Dio Petronio accettò l’incarico. Accolto festosamente a Bologna si preoccupò di ricostruire la città distrutta per ordine di Teodosio I che l’aveva punita per l’uccisione del proprio ambasciatore. In realtà, le informazioni sicure su di lui sono molto poche e imprecise. Purtroppo, il V secolo fu un periodo nefasto per la penisola italica, che venne sottoposta a continue scorrerie, lutti, stravolgimenti ed infine a conquiste da parte delle popolazioni barbariche. In questo stato di evidente disordine della società del tempo, la figura del vescovo era l’unica capace di essere ancora un punto di riferimento sia spirituale che materiale per la popolazione indifesa. San Petronio esercitò alla perfezione il ruolo di vescovo, fu l’ottavo della città di Bologna, che era una diocesi suffraganea a quella di Milano e, pertanto, i vescovi milanesi si recavano spesso presso di essa. Durante il suo episcopato, la città venne riordinata e la diocesi rinnovata nelle opere e nella fede. Prima di procedere con l’edilizia ecclesiastica, diede una casa a tutti i bolognesi e successivamente, procedette al rafforzamento delle mura cittadine affinché gli abitanti potessero essere difesi adeguatamente. Nonostante ebbe una vita materiale molto attiva, non trascurò la sua vita spiritualmente, anch’essa intensa, che praticava presso una comunità di monaci contemplativi. Morì intorno al 480 d.C. tra il profondo e sincero dolore dei bolognesi; patrono di Bologna.
4 ottobre: beato Francesco Saverio Seelos, nacque l’11 gennaio 1819 a Füssen (Germania); fin dalla più tenera età, cominciò a distinguersi per il suo affetto e obbedienza filiali, per la sua preghiera continua, per l’amore alla croce e per la straordinaria carità verso il prossimo. Si racconta che fin dalla fanciullezza avrebbe voluto far parte della compagnia di san Francesco Saverio. Apprese le basi della lingua latina da un sacerdote. Quando l’età glielo permise, prima ad Augusta dei Vindelici e poi a Monaco portò a termine felicemente vari ordini di studi con l’aiuto del parroco della città natale; questi, ammirando l’indole egregia del ragazzo, gli aveva offerto il suo appoggio perché fosse educato sotto ogni aspetto. Mentre frequentava le scuole era apprezzato da tutti i docenti. Pregava la Vergine Maria perché lo illuminasse sulla scelta di vita e, con l’aiuto di una madre così potente, partì per l’America settentrionale dove fu ammesso nella Congregazione del Santissimo Redentore (redentoristi). Iniziò il noviziato a Baltimora e la sua virtù rifulgeva a tal punto da essere esempio ad altri. Emessi i voti secondo la norma, rimase nove anni a Pittsburg, dove trovò una guida in san Giovanni Nepomuceno Neumann: sotto la di lui vigilante guida unì egregiamente le fatiche apostoliche agli esercizi regolari. Dai superiori gli furono affidati vari e delicati compiti: ora alla formazione dei novizi, ora alla guida degli studenti ora al governo delle case. Durante lo svolgimento di questi incarichi si dedicava ad ascoltare con regolarità le confessioni dei fedeli, come se questo fosse l’unico suo compito. Al confessionale si intratteneva fino a soddisfare la folla dei penitenti e lo fece senza alcun segno di stanchezza, ma sempre allegro. Spesso predicava, insegnava ai bambini i rudimenti della fede cristiana; infine visitava gli ammalati perché chi era impedito dalla malattia di partecipare alle prediche, non mancasse del cibo della parola di Dio, infine portava aiuto ai moribondi e non li lasciava finché non fossero approdati sicuri al porto della vita eterna. La sua giornata era pienamente occupata. Ma la debole natura fisica non resistette ad una così sfibrante fatica, colpito da un’emorragia, fu costretto a letto per la lunga e grave malattia, sopportata coraggiosamente. Quando si riprese, più per l’aiuto di Dio che per quello degli uomini, i superiori cominciarono a mitigare il suo zelo per la gloria di Dio, perché il santo uomo non ricadesse ammalato. Egli obbedì. Ma supplicò così fervorosamente Dio che i superiori, illuminati dall’alto, gli permisero di predicare le sacre missioni. Allora andava da una regione all’altra: predicava al popolo; ascoltava le confessioni anche di notte; dedicava particolare attenzione ai sacerdoti. Questa per tre anni fu la sua occupazione, dalla quale giunsero beni incredibili al popolo cristiano. Infine, per ordine dei superiori si trasferì a New Orleans dove assunse il governo di quella casa. Ma dopo appena un anno, aggredito dalla febbre gialla, il 4 ottobre 1867 si addormentò santamente nel Signore.