Oggi 7 gennaio la chiesa ricorda san Raimondo de Peñafort, nacque a Santa Margarida i els Monjos (Spagna) nel 1175, nel castello dei Peñafort, qui visse la sua fanciullezza ed adolescenza. Raimondo frequentò la scuola presso la Cattedrale di Santa Croce a Barcellona. Compiuti i 20 anni, su invito del vescovo, Raimondo aprì una scuola per conto suo nei chiostri della Cattedrale come insegnante di Logica e di Retorica e contrariamente agli altri professori, egli rifiutò ogni ricompensa da parte degli allievi. Quando il suo prestigio si era ormai affermato il giovane insegnante decise di lasciare Barcellona per seguire una sua attrattiva: lo studio del Diritto Canonico. In questi studi, solo Bologna, era la più famosa scuola di Diritto Civile ed Ecclesiastico che esistesse. Nell’estate del 1210 il nobile catalano s’incamminò a piedi per l’Italia. In quei dieci anni trascorsi a Bologna Raimondo si arricchì di una preparazione non comune in campo giuridico: qui, si può dire, nacque come giurista e nel contempo acquisì un enorme tesoro di vita spirituale e culturale. Qui conobbe i Frati Predicatori, fu testimone dell’influsso che esercitavano su professori e studenti le prediche di fra Reginaldo d’Orléans e si confermò sempre più nel suo proposito di utilizzare il sapere e l’istruzione per diffondere la buona novella del Vangelo: salvare le anime con la predicazione. Nel 1218 Berengario IV di Palali, vescovo di Barcellona, dopo un pellegrinaggio a Roma, era giunto a Bologna per chiedere a san Domenico di Guzmán qualche frate predicatore per una fondazione nella sua diocesi. Avendo udito grandi elogi di Raimondo, gli chiese di insegnare nel seminario che intendeva fondare per l’educazione del suo clero. Raimondo accettò e seguì a Viterbo il vescovo, il quale, alla corte di Onorio III, incontrò Domenico, dal quale ottenne il personale necessario per la fondazione di un convento. A Barcellona il vescovo lo elesse canonico della cattedrale e prevosto del capitolo. Intanto Raimondo si sentiva chiamato alla vita religiosa e il venerdì santo del 1222, entrò nell’Ordine domenicano. Intanto papa Gregorio IX, informato dal Legato Apostolico della santità, della dottrina e della esperienza di un tale frate, richiese la sua presenza nella Curia Pontificia, nominandolo Cappellano e Penitenziere Apostolico, e scegliendolo come suo confessore. Dopo cinque anni di lavoro, gli fu offerta dal Papa la cattedra episcopale di Tarragona, quasi come un riconoscimento dell’alta stima in cui era tenuto. Raimondo questa volta non accettò: non intendeva rinunziare alla sua vita da frate. Essendosi ammalato di forti febbri, fu consigliato dai medici a tornare in patria per riprendere le forze; lasciò Roma nel 1236. A strapparlo dalla sua cella gli giunse inaspettata l’elezione a Maestro Generale dell’Ordine; dopo la tragica morte del beato Giordano di Sassonia i frati riuniti a Bologna per la Pentecoste del 1238 lo avevano scelto come suo successore. Si dedicò, da buon giurista, a rivedere le Costituzioni, badando che fossero in armonia col pensiero del Santo fondatore e con le precedenti tradizioni già approvate. Nel Capitolo Generale del 1240 fra Raimondo supplicò i padri capitolari di esonerarlo dall’incarico di Maestro dell’Ordine, perché le sue crescenti infermità, lo rendevano inadatto al compito. Le sue dimissioni vennero accettate e lui poté dedicare l’ultima parte della sua vita alla difesa e alla propagazione della fede cristiana in mezzo ai Musulmani e agli Ebrei. Morì il 6 gennaio 1275, all’età di 100 anni; patrono dei giuristi.
7 gennaio: san Luciano di Antiochia, nacque a Samosata da pii genitori e studiò nella vicina città di Edessa alla scuola del confessore Macario. Si dedicò allo studio delle Sacre Scritture e imparò la vita ascetica. Si impegnò a diffondere il cristianesimo tra gli ebrei e i pagani, grazie al quale Luciano fu ordinato presbitero. Aprì una scuola ad Antiochia dove ebbe un gran numero di studenti e insegnò loro a comprendere le Sacre Scritture. Ma Luciano non era solo un insegnante. Fu anche compositore di diverse opere e tradusse testi sacri come il Nuovo Testamento e il Septuaginta (la versione dei Settanta), la versione greca della Bibbia. Luciano venne arrestato durante la persecuzione di Diocleziano e fu trasferito nel carcere di Nicomedia, in Bitinia (odierna Turchia) dove patì terribili torture e la fame. Nonostante le torture, ad ogni interrogatorio confessava di essere cristiano. L’imperatore lo condannò a morire di fame e lo fece incatenare e giacere su un letto di vetro e cocci taglienti. Luciano riuscì, con stupore dello stesso imperatore, a sopravvivere per 14 giorni. Volle partecipare ai Santi Misteri di Cristo nella festa della Teofania (Epifania), dove alcuni cristiani gli portarono il pane e il vino per l’Eucarestia. Essendo incatenato fu costretto a consacrare le Sacre Specie sul suo petto e fece ricevere la Comunione a tutti i cristiani in carcere con lui. Ad alcuni messi inviati dall’imperatore disse loro per tre volte prima di morire: «Io sono un cristiano». La leggenda narra che dopo la sua morte il corpo di Lusciano venne gettato in mare. Poco tempo dopo alcuni delfini lo riportarono a riva, dove i cristiani poterono poi seppellirlo. Morì a Nicomedia il 7 gennaio 312.