a cura di don Riccardo Pecchia
Oggi 10 luglio la chiesa festeggia sante Rufina e Seconda, nate a Roma nel III secolo d.C., da una famiglia nobile cristiana. Con la salita al potere nel 253 d.C., l’imperatore Valeriano decise non solo di riprendere le persecuzioni contro i credenti cristiani, ma di renderle molto più dure rispetto al passato. Questo cambiamento ebbe delle pesanti conseguenze anche sulla vita di Rufina e Seconda. Il padre, il senatore Asterio, le aveva promesse in spose a due giovani cristiani, Armentario e Verino. I due, ben sapendo le difficoltà e il pericolo a cui sarebbero andati incontro nello sposare due cristiane, fecero delle pressioni su Rufina e Seconda in maniera tale che si convincessero ad abbandonare il cristianesimo e ad abbracciare il paganesimo. Le due giovani non si lasciarono convincere e i loro presunti compagni si trasformano da futuri mariti in loro aguzzini in quanto le denunciarono alle autorità competenti della persecuzione. Inorridite da tale richiesta, fuggirono nella vicina Etruria (Toscana), ma vennero fatte inseguire dal conte Archesilao, che le fermò al XIV miglio della via Flaminia e le consegnò al praefectus urbis Gaio Giunio Donato. Sottoposte a diverse pressioni, interrogatori e torture, le sorelle si rifiutarono sempre di apostatare, venendo così condannate a morte dal prefetto. Riportate in prigione, nella cella fu bruciato del letame per farle soffocare dal fumo puzzolente, ma dal fuoco comparve “splendida luce” e si sentì un “soave odore”. Indispettito, il prefetto le fece immergere in acqua bollente, dal quale però, uscirono illese. Quindi ordinò di gettarle nel Tevere dopo averle legate con delle grosse pietre al collo, ma un angelo le prese, le liberò e le condusse a riva. Allora Giunio le consegnò di nuovo ad Archesilao perché, a suo arbitrio, le facesse morire o le liberasse. Il conte le condusse in una selva folta e buia, chiamata Sylva Nigra, nel fondo di Boccea, al X miglio della via Cornelia, dove decapitò Rufina e bastonò a morte Seconda, lasciando i corpi, come d’uso all’epoca, esposti alle bestie. Le sorelle comparvero in visione alla matrona romana Plautilla, invitandola a convertirsi e a seppellire i loro corpi. Trovati i corpi incorrotti, li seppellì onorevolmente. La selva luogo del martirio, detta fino ad allora Sylva Nigra a motivo della foltissima vegetazione che impediva addirittura ai raggi del sole di raggiungere il terreno e proprio per questo era luogo ideale per le esecuzioni sommarie, tanto che vi trovarono la morte anche Marcellino e Pietro, Mario, Marta, Audiface ed Abaco, in seguito fu detta Sylva Candida perché illuminata e santificata dal martirio di Rufina e Seconda, e divenne sede vescovile, dopo che sul luogo del martirio delle Sante Rufina e Seconda fu costruita una piccola basilica da papa Giulio I. Più tardi, quando la diocesi sotto Callisto II fu unita a quella suburbicaria di Porto, assunse la denominazione definitiva (che sussiste tuttora) di Porto e Santa Rufina. Morirono il 10 luglio 260 circa; patrone della diocesi di Porto-Santa Rufina.
10 luglio: san Canuto IV, nacque in Danimarca nel 1043. Succeduto al fratellastro Harald III, Canuto dimostrò presto di essere un re tanto devoto quanto ambizioso. Il suo regno fu segnato da forti tentativi di aumentare il proprio potere in Danimarca. Egli emise editti che attribuivano al re la proprietà della terre comuni, il diritto sui relitti da naufragio e quelli di ereditare le proprietà degli stranieri e di coloro che non avevano discendenti. Sempre campione della Chiesa, egli emise anche leggi volte a proteggere i deboli, gli orfani, le vedove e gli stranieri e cercò di imporre la riscossione di tributi. Istituì una sorta di sostentamento del clero, trasferì gran parte del potere dai conti ai vescovi che vennero così investiti anche di cariche temporali, si fece inoltre promotore dell’edificazione di numerose chiese ed effettuò cospicue donazioni in favore dei nuovi monasteri fondati dai missionari inglesi. Tale politica condusse allo scontento i suoi sudditi, che non erano usi ad un re che reclamasse tali poteri e pretendesse di interferire nella loro vita quotidiana. I suoi successi non diminuirono per nulla tanto la sua pietà quanto il suo amore per i poveri. Per assicurare l’ordine nel regno era convinto di dover dare il buon esempio a tutti. Egli aveva scelto una sposa degna di lui nella persona di Adele, figlia del conte Roberto I di Fiandra, dalla quale ebbe tre figli, tra cui il beato Carlo il Buono. Ma le ambizioni di Canuto non erano solamente nazionali. Come pronipote di Canuto il Grande, che fino al 1035 era stato re d’Inghilterra, di Danimarca e di Norvegia, egli ritenne di aver diritto anche alla corona inglese e vide Guglielmo il Conquistatore come un usurpatore. Nel 1085, appoggiato dal suocero, conte Roberto di Fiandra, Canuto prepara l’invasione dell’Inghilterra. Egli radunò una flotta a Limfjord, che tuttavia non salpò mai. Probabilmente Canuto temette l’intervento dell’imperatore Enrico IV, con il quale sia le Fiandre che la Danimarca non erano mai state in buoni rapporti. Certamente Canuto sospettava del fratello Olaf (che gli succedette poi sul trono danese), che pretendeva il comando della flotta e che egli fece arrestare e tradurre nelle Fiandre. La flotta destinata allo sbarco in Inghilterra quindi si sciolse, anche se Canuto pensava di ricomporla successivamente. Prima che la flotta fosse stata nuovamente radunata, una rivolta di contadini scoppiò agli inizi del 1086 nel sud dello Jutland, dove risiedeva Canuto. Egli cercò rifugio con il suo seguito nella chiesa in legno di Sant’Albano ad Odense, qui mentre ascoltava la messa nella chiesa di Sant’Albano, fu avvertito che i rivoltosi stavano per sopraggiungere. Prevedendo imminente la sua morte, andò a prostrarsi davanti all’altare, fece un’umile confessione delle sue colpe, dichiarò di perdonare ai suoi nemici, ricevette la comunione e si mise a recitare dei salmi. Verso sera i ribelli investirono la chiesa in cui Canuto si era rifugiato. Benedikt, suo fratello, ne difese le porte. Gli assalitori scagliarono contro la testa del re una pietra da una finestra. Senza interrompere la preghiera, lo sfortunato monarca stese le braccia verso l’altare per implorare la misericordia da Dio. In quell’atteggiamento fu colpito a morte da un giavellotto. Con lui e il fratello trovarono la morte altri diciassette sudditi fedeli, dopo aver opposto una tenace resistenza e ricevuto gli ultimi sacramenti. Morì il 10 luglio 1086.
10 luglio: Venerabile Michelangelo Longo, nacque a Marigliano (Napoli) il 22 settembre 1811, dalla nobile famiglia Longo di Vinchiaturo. Gli fu imposto al battesimo il nome di Michele, ebbe educatori e professori privati per volere del padre; a 17 anni vinte le riluttanze dei genitori, volle entrare, il 26 aprile 1829, nel noviziato dell’Ordine dei Frati Minori, nel convento di Sant’Angelo del Palco di Nola. Cambiò il nome in Michelangelo e si propose di diventare un osservante frate minore, imitando la povertà di san Francesco e il tipo di penitenza di san Pietro d’Alcantara. Passò nel convento della Sanità in Napoli, dove svolse i corsi di filosofia e teologia, emise i voti solenni il 23 settembre 1832 e fu ordinato sacerdote il 25 marzo 1834. Con la sua fedele osservanza della Regola francescana al silenzio e allo spirito di preghiera, contribuì alla ripresa del francescanesimo a Napoli, dopo la decadenza causata dalla soppressione napoleonica. Fu guardiano dei conventi di Miano, Lauro, della Palma a Napoli, di sant’Angelo di Nola e nel 1871 fu eletto ministro provinciale, compito che tenne fino al 1874, sotto la sua guida la Provincia, allora denominata di San Pietro ad Aram, ebbe una mirabile ripresa; gli fu dato anche l’incarico di commissario generale delle suore Stimmatine nel Mezzogiorno d’Italia, che lo vide affrontare sempre a piedi, i disagi di lunghi viaggi per visitare tutte le Case religiose, anche questo Istituto fiorì con numerose vocazioni e l’apertura di nuove case. Fu amico del beato Ludovico da Casoria, che pur operando apostolicamente in direzioni diverse, li univa una comune ammirazione. Morì il 10 luglio 1886.