a cura di don Riccardo Pecchia
Oggi 11 luglio la chiesa festeggia san Benedetto da Norcia, nacque a Norcia nel 480 circa, da una famiglia nobile cristiana. Compie i suoi primi studi a Norcia. A 12 anni fu mandato con la sorella a Roma a compiere i suoi studi, ma sconvolto dalla vita dissoluta della capitale lo induce ad abbandonare gli studi umanistici per timore di essere coinvolto nella medesima dissolutezza dei suoi compagni. L’abbandono degli studi coincide in realtà con la nascita della sua vocazione religiosa. Così a soli 17 anni si ritirò ad Eufide (attuale Affile) nella valle dell’Aniene insieme alla sua vecchia nutrice Cirilla, dove condusse per tre anni una vita di penitenza e solitudine assoluta, appoggiandosi saltuariamente ad una vicina comunità di frati. La sua idea di vita religiosa diventa però sempre più vicina all’eremitismo e alla meditazione solitaria. Lascia quindi la nutrice e si dirige verso Subiaco, dove, grazie al contatto con il monaco Romano, di un monastero vicino, scopre una inospitale grotta presso il Monte Teleo. Ed è proprio nella grotta che rimane in eremitaggio per tre anni. Terminata l’esperienza di eremitaggio, nel 500 si dirige verso un monastero nei pressi di Vicovaro, ma è costretto ad abbandonarlo quasi subito a seguito di un tentativo di ucciderlo con una coppa di vino avvelenato, perpetrato ai suoi danni dai monaci. Ritornò così nella sua caverna a Subiaco, che rimane la sua dimora per circa 30 anni, predicando la “Parola del Signore” ed accogliendo discepoli sempre più numerosi, fino a creare una vasta comunità di dodici monasteri, ognuno con dodici monaci ed un proprio abate, tutti sotto la sua guida spirituale. Nel 529 lascia Subiaco, secondo alcune fonti per contrasti con un ecclesiastico locale, secondo altre per un nuovo tentativo di avvelenamento, con un pane avvelenato, subìto in monastero. Benedetto decise di abbandonare Subiaco per salvare i propri monaci, si diresse verso Cassino dove, sopra un’altura, fondò il monastero di Montecassino, edificato sopra i resti di templi pagani, qui, nel 540, scrisse la sua «Regula Benedicti», che divenne la magna charta di tutti i monasteri benedettini dell’Occidente. In realtà, la regola contiene molte utili indicazioni per l’organizzazione della vita dei monasteri. Quando Benedetto la elabora i monaci non hanno una dimora stabile, ma vivono in maniera vagabonda. Nella sua regola, che poi è una sintesi del contenuto dei Vangeli, stabilisce che ciascun frate deve scegliere un unico monastero presso il quale soggiornare fino al momento della morte. Stabilisce inoltre che la giornata all’interno dei monasteri deve essere scandita da momenti di preghiera, studio e lavoro secondo il motto “ora et labora” (prega e lavora). La preghiera è il momento più importante della vita di un monaco, e, secondo Benedetto, deve essere prima di tutto un atto di ascolto da tradurre in azioni concrete e reali. La regola stabilisce poi che ciascuna comunità monastica debba essere diretta da un abate, che non è considerato un superiore, ma una sorta di padre amoroso e di guida spirituale: abate deriva infatti dal termine siriaco “abbà”, padre. In effetti l’abate svolge all’interno del monastero le veci di Cristo in uno scambio continuo con gli altri confratelli, come Cristo con i suoi dodici discepoli. A Montecassino, Benedetto trascorre gli ultimi anni della sua vita, e qui muore dopo 6 giorni di forti febbri e 40 giorni dopo la scomparsa della sorella Scolastica, con la quale ebbe comune sepoltura. Morì il 21 marzo 547; patrono d’Europa.
11 luglio: , nacque a Pskov (Russia) nell’879, da una famiglia nobile variaga (mercenari) della casata Izborsk. Nel 903 fu vista dal principe Igor Rjurikovic, divenuto nove anni dopo Gran Principe di Kiev, che la volle sua sposa. Nel 945 rimase vedova a seguito dell’assassinio del marito, recatosi a riscuotere tributi nei territori controllati dalla tribù dei Derevljani. A seguito di tale evento, governò la Rus’ di Kiev in qualità di reggente in nome del figlio Svjatoslav I, aveva solamente 3 anni, e ciò rese Olga la sovrana di fatto fino a quando Svjatoslav non avesse raggiunto l’età adulta. I Drevljani desideravano che Olga sposasse il loro principe Mal, rendendolo sovrano di Kiev, ma Olga era determinata a rimanere al potere e a conservarlo per suo figlio. Olga fingendo di accondiscendere alla richiesta matrimoniale formulata dal capo tribù dei Derevljani, vendicò con fermezza l’assassinio, dapprima seppellì vivi gli ambasciatori inviati presso il suo palazzo per combinare il matrimonio, quindi, giunti altri legati, li arse vivi dentro un bagno a vapore e infine invase con il proprio esercito i territori da loro occupati dando alle fiamme i loro villaggi e uccidendo o riducendo in schiavitù un intero popolo. La ferocia che la contraddistinse nei suoi primi anni di reggenza scompare dalle cronache a seguito della conversione al cristianesimo. I documenti del tempo sono concordi nel descrivere la santità e la misericordia della prima sovrana cristiana della Rus’ di Kiev. Nel 957, in occasione di un viaggio a Costantinopoli, fu infatti battezzata dal patriarca Polieucte e suo padrino fu l’imperatore Costantino VII di Bisanzio. A seguito del battesimo assunse il nome di Elena. Al suo ritorno a Kiev fu molto attiva nel diffondere la religione cristiana e intenta a distruggere «gli altari sui quali si facevano sacrifici al diavolo» e a dedicarsi in opere caritatevoli verso la fascia più indigente del suo popolo. Fallì tuttavia nel tentativo di convertire il proprio popolo al cristianesimo, ella rimase l’unica a essersi convertita, mentre tutto il popolo russo, in particolare l’aristocrazia, rimase pagano. Nel 959 inviò un’ambasciata all’imperatore Ottone I affinché inviasse nella Rus’ di Kiev un missionario avente il compito di evangelizzare la popolazione. Tale richiesta, da cui scaturì un forte dissidio tra l’arcivescovo Adaldago di Amburgo e Brema e Guglielmo di Magonza, sulla scelta del nominativo del religioso da inviare, venne esaudita nel 961 con l’arrivo del monaco Adalberto di Treviri a Kiev. Il missionario rimase sul luogo solo un anno: nel 962 fu infatti costretto a tornare in patria a seguito dei forti dissidi sorti con la popolazione locale. Olga pregava giorno e notte per la conversione del figlio e per il bene dei sudditi. Al termine della reggenza, secondo le leggi di allora, si ritirò nei suoi possedimenti privati, dove continuò nella sua opera di apostolato e missionaria. Morì l’11 luglio 969, a 80 anni.