a cura di don Riccardo Pecchia
Oggi 18 luglio la chiesa festeggia san Federico di Utrecht, nacque nell’isola di Walcheren (Paesi Bassi) nel 781 circa, da una famiglia nobile. Federico sin dai primi anni della propria esistenza dimostrò una certa predisposizione verso il cristianesimo a cui ha dato seguito con appropriati studi e soprattutto facendosi ordinare prete all’interno della diocesi di Utrecht. Uno dei suoi primi incarichi fu quello di occuparsi della educazione religiosa dei catecumeni, cioè di coloro che si stava avvicinando alla fede cristiana e si preparavano a ricevere il primo sacramento, quello del battesimo. Il suo operato fu sempre molto positivo il che gli consentì di ricavarsi un posto sempre più grande all’interno della diocesi olandese fino al momento in cui venne indicato, nell’820, quale successore dell’allora vescovo Ricfrido alla guida della stessa diocesi. Durante il suo episcopato, il principale obiettivo portato avanti da Federico fu quello di portare avanti nel miglior modo possibile l’opera di evangelizzazione dei Frisi (nativi delle zone costiere dei Paesi Bassi e della Germania) dando peraltro incarico ad un altro importante personaggio della storia della Chiesa come sant’Odulfo. In Frisia fece tutto il possibile per bandire la pratica dei matrimoni incestuosi, grazie all’appoggio dell’imperatore Lotario, che l’invasione Vichinga aveva diffuso, e che creava situazioni per noi inimmaginabili, come ragazzine che si ritrovavano sposate a zii, o il figlio maggiore che, morto il padre, prendeva in moglie la matrigna, ma la sua voce scomoda non risparmiò nessuno; nemmeno lo stesso imperatore Lodovico il Pio, notoriamente di “Pio” aveva solo il soprannome, questi aveva sposato Giuditta di Baviera nonostante la prima moglie Ermengarda di Hesbaye fosse ancora viva. Il vescovo di Utrecht, nonostante dovesse proprio a Ludovico la sua cattedra, non ebbe esitazione a denunciare pubblicamente l’ingiustizia subita da Ermengarda e questa gli costò la vita. Fu assassinato mentre celebrava la messa dai sicari dell’imperatrice Giuditta di Baviera (seconda moglie di Ludovico) di cui aveva pubblicamente condannato i costumi. Altri però attribuiscono l’assassinio di Federico ad un nobile dell’isola di Walcheren da lui rimproverato. Morì sull’Isola di Walcheren (Paesi Bassi) il 18 luglio 838, a 57 anni.
18 luglio: santa Sinforosa e i sette figli, moglie di san Getulio, aveva 7 figli che si chiamavano: Crescente, Giuliano, Nemesio, Primitivo, Giustino, Statteo ed Eugenio. Le vicende della vita della santa sono riportate nella Passio Sanctae Sympherosae, che tramanda che sulla via Tiburtina, al IX miglio (oggi km. 17,450) viveva una donna chiamata Sinforosa con i suoi 7 figli, la donna viveva nei pressi della villa dell’imperatore Adriano. L’imperatore Adriano dopo aver ultimato la sua villa, si dice che volesse, prima di inaugurarla con rito pagano, consultare gli dei i quali gli dissero: «La vedova Sinforosa e i suoi sette figli ci straziano ogni giorno invocando il loro Dio. Perciò, se costei coi suoi figli sacrificherà, noi promettiamo di soddisfarti in tutto quello che domandi». Adriano allora, chiamò il prefetto Licinio e ordinò che Sinforosa fosse arrestata insieme ai suoi figli e condotta al tempio di Ercole, poi con lusinghe, con minacce e con ricatti cercò di farla desistere e sacrificare agli idoli, ma la santa con animo nobile si appellò all’esempio di Getulio e degli altri compagni di martirio del marito. Visto che la donna non si piegava ai suoi voleri, l’imperatore le rinnovò la proposta di sacrificarsi insieme ai suoi figli agli dei pagani, oppure sarebbero stati sacrificati essi stessi, ma Sinforosa fu irremovibile, come pure lo furono i suoi sette figli, allora l’imperatore, visto vano ogni tentativo, ordinò che fosse torturata a sangue. Fu appesa per i capelli ad un olmo, e vedendo che non cedeva e la sua fede non crollava, decisero di legarle un masso al collo e la gettarono ancora viva in un fiume adiacente. Il giorno dopo. Adriano fece piantare sette pali intorno al tempio d’Ercole Vincitore (in Tivoli) e su essi fece stendere i figli di Sinforosa che fece poi massacrare. E, uno ad uno vennero trucidati ma trovati fedeli fino alla fine. I loro corpicini furono gettati in una fossa profonda. Il giorno seguente l’imperatore Adriano, recatosi al tempio d’Ercole Vincitore, dispose che i cadaveri fossero rimossi e gettati in una fossa sulla via Tiburtina al IX miglio da Roma. Tempo dopo, un Pontefice dedicò quel luogo “ai sette assassinati”. Solo due anni dopo, calmata la cattiva persecuzione contro i cristiani, il fratello di Sinforosa poté raccogliere i resti dei piccini, dando loro degna sepoltura.