a cura di don Riccardo Pecchia
Oggi 18 novembre la chiesa celebra la Dedicazione delle Basiliche dei santi Pietro e Paolo, come l’anniversario della dedicazione del tempio di Gerusalemme era giorno solenne presso gli ebrei, così i cristiani celebrano la consacrazione delle loro chiese. L’anno 314 d.C. apre un nuovo capitolo nella storia della Chiesa. L’imperatore Costantino, dopo aver restituito la pace alla Chiesa, volle assicurarle il trionfo anche esteriore sulle antiche divinità dei pagani estendendo gli edifici del culto cristiano. La dedicazione della Basilica di San Pietro, edificata dall’imperatore Costantino sul colle Vaticano, venne fatta da papa Silvestro, mentre quella della Basilica di San Paolo, costruita dagli imperatori Teodosio e Valentiniano sulla via Ostiense, da papa Siricio. La memoria della loro dedicazione non vuole celebrare il completamento dell’edificio materiale, che si prorogò nei secoli con rifacimenti vari, ma nella loro comune commemorazione viene simbolicamente espressa la fraternità degli Apostoli e l’unità della Chiesa. Questa memoria è una nuova occasione, per offrire l’occasione per poter riflettere sulla figura e sull’opera dei due grandi apostoli, Pietro e Paolo, i cui nomi e soprattutto la loro evangelizzazione sono legati alla città di Roma dove sopportarono il martirio con l’effusione del loro sangue la testimonianza a Cristo Signore.
18 novembre: santa Filippina Rosa Duchesne, nacque il 29 agosto 1769 a Grenoble (Francia), al battesimo ricevette i nomi dell’apostolo Filippo e di Rosa da Lima, prima santa del continente americano. Fin da bambina si lascia affascinare dai racconti di vita missionaria e a 8 anni sogna di andare ad evangelizzare gli indiani d’America. L’anticlericalismo papà non gli impedisce di rispettare preti e suore e, soprattutto, di affidare a queste ultime l’educazione della sua bambina. Fu educata dalle suore Visitandine nel Monastero di Sainte Marie d’en Haut e, attirata dalla loro vita contemplativa, a 18 anni, entrò nell’Ordine della Visitazione di Santa Maria come novizia. Allo scoppiare della Rivoluzione Francese la comunità fu dispersa e Filippina tornò in famiglia. Consacrò quindi il suo tempo ad alleviare le sofferenze di molti, visitando i prigionieri politici e soccorrendo i malati, i poveri e i bambini. Dopo il Concordato del 1801 tentò con alcune compagne di ridar vita al Monastero di Sainte Marie d’en Haut, dove accolse delle alunne interne. Nel 1804 Filippina, avendo appreso l’esistenza di una nuova congregazione, la Società del Sacro Cuore, decise di offrire se stessa e il monastero alla fondatrice Maddalena Sofia Barat. Nello stesso anno la madre Barat giunse a Sainte Madre d’en Haut e ricevette Filippina e le sue quattro consorelle come novizie nella Società. Dopo la professione religiosa, insieme al desiderio di vita contemplativa, si fece più viva in lei la chiamata alle missioni, nutrita fin dall’adolescenza. Ma attenderà ancora 12 anni, nel 1818 il suo sogno si realizzò. Fu inviata nel territorio della Louisiana per rispondere all’appello del vescovo che cercava una Congregazione di educatrici per aiutarlo ad annunciare il Vangelo ai nativi Indiani e ai giovani francesi della sua diocesi. A Saint Charles, presso Saint Louis (Missouri), Filippina fondò la prima casa della Società, fuori dall’Europa. Filippina e le sue quattro compagne continuarono con coraggio. Nel 1818 viene aperta la prima scuola gratuita ad ovest del Mississipi. Nel 1828 già sei case accolgono le giovani del Missouri e della Louisiana. Filippina si prodigava per loro con amore, ma nel suo cuore rimaneva sempre il desiderio di lavorare al servizio degli Indiani. Quando Filippina aveva ormai 72 anni e non era più superiora, una scuola venne aperta a Sugar Creek, nel Kansas, per gli Indiani Potawatomi. Sebbene molti considerassero Filippina troppo malata per andarvi, il gesuita che dirigeva quella missione insisté: «Deve venire; non potrà fare molto lavoro, ma assicurerà il successo della missione con la sua preghiera. La sua presenza attirerà ogni grazia dal cielo sui nostri lavori». Rimase solo un anno presso i Potawatomi, ma il coraggio della pioniera non era diminuito e le sue lunghe ore di contemplazione impressionarono tanto gli Indiani che la battezzarono: «la donna che prega sempre». La sua salute non poteva però più sostenere la vita del villaggio. Nel luglio 1842 ella ritornò a Saint Charles per quanto il suo desiderio per le missioni fosse sempre più vivo nel suo cuore coraggioso. Filippina morì a Saint Charles (Missouri) il 18 novembre 1852, all’età di 83 anni.
18 novembre: sant’Oddone di Cluny, nacque a Le Mans (Francia) nel 878 circa. Era figlio di un feudatario di Deols, vicino a Le Mans, nella regione di Tours. Oddone ricevette la sua prima educazione alla corte di Guglielmo I di Aquitania, studiando a Parigi con il monaco Remigio di Auxerre, considerato uno fra i pensatori più rappresentativi del suo tempo. Oddone era ancora adolescente, sui 16 anni, quando, durante una veglia natalizia, si sentì salire spontaneamente alle labbra questa preghiera alla Vergine: «Mia Signora, Madre di misericordia, che in questa notte hai dato alla luce il Salvatore, prega per me. Il tuo parto glorioso e singolare sia, o Piissima, il mio rifugio». Oddone iniziò a prepararsi alla carriera militare, ma all’età di 19 anni circa, fu colpito da una malattia non identificata e costretto ad abbandonare l’idea. Ritornò a Tours, dove ricevette la tonsura nella chiesa di San Martino, ma lasciò la città per recarsi a studiare a Parigi e Reims per alcuni anni, dove dedicò molto tempo al suo grande amore, la musica. Alla fine ritornò a Tours e divenne canonico della chiesa di San Martino, dove lesse per la prima volta la Regola di san Benedetto; accortosi che la sua vita si era allontanata dall’ideale in essa contenuto, decise di diventare monaco, perciò si recò all’abbazia benedettina di Baume-les-Messieurs, che osservava scrupolosamente la riforma del grande abate Bernone. Guglielmo d’Aquitania donò a Bernone una proprietà a Cluny, in Borgogna, perché fondasse un monastero benedettino. La straordinaria influenza che esercitò sul monachesimo dell’Europa occidentale, dalla metà del X secolo fino all’inizio del XII, fu determinata da due clausole importanti: Guglielmo rinunciava a qualsiasi diritto come fondatore e l’abbazia sarebbe stata posta sotto la diretta giurisdizione della Santa Sede. Divenne presto il centro di una riforma che segnò la fine della dominazione laica sui monasteri. Nel 920 Oddone divenne abate di Aurillac e nel 927, alla morte di Bernone, fu indicato da questi come successore all’abbazia di Cluny, divenendone il secondo abate. Oddone ottenne un privilegio importante dal papa: Cluny avrebbe potuto introdurre la riforma in qualsiasi monastero per sua richiesta e avrebbe potuto accettare monaci provenienti da monasteri non riformati. Cluny, in effetti, non avrebbe potuto portare avanti le sue riforme senza l’appoggio costante che ricevette da Roma. Oddone fu il più grande riformatore di Cluny, che divenne il modello di monachesimo per i successivi secoli avvenire, trasformando il ruolo della pietà religiosa in un perpetuo stile di vita. Fra il 936 ed il 942 visitò l’Italia diverse volte fondando il monastero di Nostra Signora sull’Aventino a Roma e raggiungendo anche Subiaco, Montecassino e Salerno. Fu proprio a Roma che, nell’estate del 942, cadde malato. Sentendosi prossimo alla fine, con ogni sforzo volle tornare presso il suo monastero di San Martino a Tours, si ammalò durante la celebrazione della festa di san Martino e morì una settimana dopo, il 18 novembre 942, a 70 anni.
18 novembre: beata Karolina Kózka, nacque a Wał-Ruda (Polonia) il 2 agosto 1898, in una famiglia contadina, povera, umile e numerosa, i Kozka erano conosciuti come una “famiglia di santa gente”. Chiamavano “chiesetta” la loro casa per indicare come la preghiera fosse uso quotidiano e consueto tra quelle povere quattro mura contadine. La vita infatti si divideva tra la preghiera e il lavoro dei campi. Carolina il suo tempo libero lo impiegava insegnando il catechismo ai fratelli e sorelle ma anche ai ragazzi delle case vicine; inoltre assisteva anziani ed ammalati. Dunque la vita della piccola Kòzka era quella comune, ma preziosa, di una qualsiasi famiglia cattolica di campagna, nella Polonia di quel tempo. Il carattere della ragazzina era vivace e allegro, pur nelle difficoltà del vivere quotidiano. Il 18 novembre 1914, il suo villaggio venne occupato dai russi, nell’ambito della Prima guerra mondiale. Un giorno Carolina venne strappata dalla casa da un soldato russo, mezzo ubriaco, che obbliga il padre e la piccola Carolina, a seguirlo. Una volta arrivati in un bosco, di Wal-Ruda. il soldato chiede al padre di tornarsene al paese, ma di lasciare la ragazzina. Al rifiuto del padre, la piccola tenta di scappare, ma il soldato la insegue. Raggiunta cerca disperatamente di difendersi, opponendosi come può alla violenza sessuale. Carolina viene picchiata e ferita a morte. Morirà dissanguata a solo 16 anni. Il soldato infatti la uccise oltraggiandone il corpo con la spada. Il 4 dicembre, nella boscaglia, fra mucchi di fogliame, viene rinvenuto il corpo martoriato e mutilato della piccola Carolina.