a cura di don Riccardo Pecchia
Oggi 19 agosto la chiesa celebra san Sisto III, 44° vescovo di Roma e Papa della Chiesa cattolica; nacque a Roma, ma non si conosce la data di nascita. Prima della sua elezione, Sisto era un personaggio di spicco del clero romano e già teneva una certa corrispondenza con sant’Agostino. Fu eletto papa il 31 luglio 432. Durante il suo papato prosegue la lotta contro le eresie di Pelagio e di Nestorio; cerca di essere conciliante con loro ed i loro seguaci, ma questo atteggiamento lo fa accusare ingiustamente di simpatizzare con le idee eretiche. Come papa approvò gli Atti del Concilio di Efeso, in cui il dibattito sulla natura umana e divina di Gesù si trasformò in una discussione sul tema se Maria potesse essere chiamata “Madre di Gesù” in quanto uomo, o “Madre di Cristo” in quanto uomo e Dio. Il concilio attribuì, infine, a Maria il titolo greco di Theotokos (portatrice di Dio). Una delle sue principali preoccupazioni fu anche quella di riportare la pace tra Cirillo di Alessandria e Nestorio patriarca di Costantinopoli. Nel 437 restituì il vescovo Brizio alla cattedra di Tours dopo che questi ne era stato allontanato sette anni primi per delle accuse rivelatesi infondate. Nella controversia pelagiana, inoltre, frustrò il tentativo di Giuliano di Eclano di essere riammesso in comunione con la Chiesa cattolica. Difese anche i diritti del papa sull’Illiria sia contro i vescovi locali che contro gli ambiziosi disegni di Proclo Patriarca di Costantinopoli. Confermò, infine, la posizione dell’arcivescovo di Salonicco come capo della Chiesa illirica. Il suo nome è inoltre collegato all’espansione dell’edilizia religiosa a Roma, facendo completare i lavori di costruzione del Battistero della Basilica di San Giovanni in Laterano, eseguì la ricostruzione per intero della Basilica Liberiana sull’Esquilino, decorandola di mosaici, rinominandola Santa Maria Maggiore e dedicandola alla Madre di Dio. Fa costruire anche la seconda Basilica di San Lorenzo al Verano, quella di Santa Sabina sull’Aventino e fa decorare la Basilica dei Santi Apostoli. Morì il 19 agosto 440
19 agosto: san Giovanni Eudes, nacque a Ri (Normandia) il 14 novembre 1601, da una famiglia di origini contadine. Studiò nel collegio dei Gesuiti a Caen, a 22 anni entrò nella Società dell’Oratorio di Gesù di Parigi, fondata nel 1611 da Pietro De Berulle, ricevendo poi l’ordinazione sacerdotale a Parigi il 20 dicembre 1625, due anni dopo si recò a piedi al suo paese natale per assistere gli appestati durante l’epidemia. Più tardi fu destinato dai superiori alla casa che l’Oratorio aveva aperto a Caen e si dedicò alla predicazione, alla catechesi e alle confessioni. Dal 1632 si impegnò nelle missioni popolari dimostrandosi uno straordinario predicatore: con la sua parola commuoveva l’uditorio al punto che gli ascoltatori scoppiavano a piangere. Si rese conto che non erano tanto i fedeli a mancare, quanto i buoni sacerdoti, da qui la decisione di aprire delle case per la formazione dei sacerdoti, cioè i seminari. Con l’approvazione del cardinale Armand-Jean du Plessis de Richelieu, nel 1643 Giovanni abbandonò l’Oratorio e decise di dedicarsi alla formazione del clero secondo i dettami del Concilio di Trento: a tale scopo, il 25 marzo 1643 fondò a Caen la Congregazione di Gesù e Maria (eudisti), una istituzione destinata alla direzione dei seminari e alle missioni parrocchiali. Alcuni sacerdoti si unirono a lui per coadiuvarlo. Egli propose a tutti, per realizzare la vita di Cristo in loro e nei fedeli, la devozione ai Sacri Cuori di Gesù e di Maria ed egli stesso ne compose la Messa e l’Ufficio. La festa liturgica del Sacro Cuore di Maria fu da lui introdotta nel 1648, e quella del Sacro Cuore di Gesù nel 1672, un anno prima delle apparizioni a santa Margherita Maria Alacoque. Fondò nel 1641 la Congregazione di Nostra Signora della Carità del Rifugio, un istituto religioso femminile destinato al recupero delle prostitute in cerca di redenzione. Non mancarono al santo, come sempre accade quando si inventa qualcosa di nuovo, ostacoli e opposizioni: si scatenarono contro di lui calunnie, lo accusarono di ribelle verso i superiori e di spergiuro. Le fatiche di un apostolato svolto senza soste e le pene causate dai suoi nemici misero a dura prova la sua salute, già aggravata da forti dolori alla schiena che lo tormentarono per circa un ventennio; negli ultimi anni sopraggiunsero forti febbri, dolorose emorroidi e un’ernia. Morì il 19 agosto 1680, a 80 anni.
19 agosto: san Ludovico d’Angio (o di Tolosa), nacque a Brignoles (Francia) nel febbraio 1274, ma secondo altri studiosi egli sarebbe nato nel castello di Nocera di Pagani (Salerno), cosa possibile perché il padre Carlo II d’Angiò, detto “lo Zoppo”, futuro re di Napoli, nel 1274 era ancora principe di Salerno e governatore della Provenza. Proveniva da una famiglia nelle cui vene scorreva sangue di ascendenza capetingia e, al contempo, una famiglia santa perché contava il re Luigi IX santo prozio di Ludovico, la beata Isabella di Francia, sorella di Luigi IX, santa Elisabetta d’Ungheria, sant’Edvige d’Angiò. A soli 14 anni, insieme ai due fratelli Roberto e Raimondo Berengario, Ludovico fu dato in ostaggio ad Alfonso III d’Aragona in cambio del padre catturato in battaglia durante i Vespri siciliani del1284. Il periodo della prigionia fu doloroso, ma anche significativo sotto il profilo spirituale, fu proprio durante l’esilio che Ludovico avvertì con forza di voler diventare frate dell’Ordine dei Frati Minori. I giovani principi erano stati affidati alle cure di due frati minori, di Francesco Brun, vescovo di Gaeta e di Pietro Scarrier, vescovo di Rapolla. Brun fu, oltre che il maestro, anche il direttore spirituale e il confessore di Ludovico. Durante il forzato soggiorno aragonese i principi angioini scrissero a Pietro di Giovanni Olivi, legato da amicizia personale a Pietro Scarrier. Questo intensificò le ‘simpatie’ che i giovani già nutrivano nei confronti dell’ala spirituale dei francescani, ma conquistarono soprattutto Ludovico. Pietro di Giovanni Olivi il 18 maggio 1295 indirizzò loro una missiva volta a consolarli. Olivi svelava il significato cristiano della sofferenza, inserendo la sciagura personale dei principi all’interno di una più vasta riflessione teologica sulla storia, soffusa di venature escatologiche. In breve fu in quel contesto che Ludovico maturò la propria vocazione religiosa, determinando di abbandonare il mondo per darsi completamente a Dio. Il papa Celestino V concesse la tonsura e i primi quattro ordini minori a Ludovico già nel 1294. Concesse la dispensa alle limitazioni relative all’età, gli conferì l’amministrazione dell’arcivescovato di Lione, che tuttavia egli rifiutò. Nel medesimo anno il giovane principe fu designato come successore di Carlo II al trono di Napoli: per tutta risposta egli richiese l’accettazione tra i Frati Minori di Montpellier. Il ministro generale non lo accolse, temendo le ire di Carlo d’Angiò, allora Ludovico si recò a Napoli, dove Bonifacio VIII gli concesse il suddiaconato nel giorno di Natale del 1295. Alla fine di gennaio 1296 il suddiacono reale rinunciò ai propri diritti ereditari in favore del fratello Roberto, dopodiché ricevette il diaconato nella chiesa francescana di San Lorenzo Maggiore a Napoli. Il 24 dicembre 1296 ottenne dal pontefice il permesso di entrare nell’Ordine dei Frati Minori e indossò il saio francescano in gran segreto, malgrado l’opposizione di Carlo II alla scelta dell’Ordine perché non tollerava che il figlio diventasse un Minore. L’opposizione paterna non si affievolì affatto dopo la tonsura di Ludovico, tanto da indurre Bonifacio VIII a nominarlo vescovo di Tolosa. Questa volta egli non poté sottrarsi all’obbligo episcopale: nel febbraio 1297 partì alla volta di Tolosa. Già nel giugno del medesimo anno si allontanò dalla sede diocesana diretto in Catalogna, dove rappacificò Giacomo I re d’Aragona, suo cognato, e il conte di Foix. Compiuta la missione, mentre si trovava a Brignoles in Provenza, si ammalò. Morì il 19 agosto del 1297 a 23 anni; patrono degli esauriti, tubercolotici, malati di polmonite.
19 agosto: Servo di Dio Alcide De Gasperi, nacque a Pieve Tiesino (Trento) il 3 aprile del 1881, da una famiglia di umili origini. Completò i suoi studi grazie ad una borsa di studio concessa dal governo austriaco (all’epoca il Trentino era una regione appartenente all’impero Austro-Ungarico) laureandosi in Filologia all’Università di Vienna, dapprima come studente, poi come membro del parlamento austriaco, si batté per la minoranza italofona. A Roma, nel 1921, venne eletto tra le fila del Partito Popolare Italiano di don Luigi Sturzo, divenendone, quattro anni dopo, il segretario. Per le sue idee, contrarie al regime fascista, fu arrestato alla stazione di Firenze l’11 marzo del 1927, insieme alla moglie Francesca Romani, mentre si stava recando in treno a Trieste. Al processo che seguì venne condannato a 4 anni di carcere e a una forte multa. Impegnato durante il conflitto nel “Comitato di Liberazione Nazionale”, nel 1942 fondò la Democrazia Cristiana, di cui fu il primo segretario e presidente dal 1946 al 1954. Durante gli ultimi governi del Regno d’Italia, venne nominato Ministro degli Esteri nel 1944 e come Presidente del Consiglio l’anno seguente. Quest’ultima carica riuscì a mantenerla anche dopo la proclamazione della Repubblica nel giugno del 1946, guidando il governo di unità nazionale per due anni, fino all’approvazione della Costituzione Italiana. In politica estera, le sue più grandi conquiste sono state il prestito di cento milioni di dollari ottenuto dagli Stati Uniti, e la difesa di territori importanti come l’Alto Adige e la Valle d’Aosta, durante gli accordi con i vincitori del secondo conflitto mondiale. Anche se fortemente cattolico, difese la laicità delle istituzioni rifiutando l’alleanza con monarchici e post-fascisti, caldeggiata dal Vaticano in occasione delle elezioni amministrative di Roma. Amava trascorrere lunghi periodi assieme alla famiglia in un paesino della Val di Sella dove morì e le sue ultime parole furono: «Gesù! Gesù!». Morì il 19 agosto 1954.