Oggi 22 novembre: santa Cecilia, nacque a Roma nel II secolo, da una nobile famiglia, era una fanciulla sensibile alle necessità dei poveri, che aveva deciso di donarsi interamente, offrendo anche la sua verginità, a Dio. Cecilia fu data in sposa a un uomo di nome Valeriano, e a questo proposito un episodio della sua vita è all’origine della sua fama di patrona dei musicisti: si narra che, mentre ella andava in sposa a Valeriano, e mentre si sentivano suonare gli strumenti musicali, il giorno delle sue nozze, ella nel suo cuore cantava d’amore solo per il Signore. Cecilia comunicò con coraggio a Valeriano che aveva preso la decisione di essere vergine per il Signore, e gli testimoniò la sua fede nel Dio che amava, aiutandolo così a convertirsi al cristianesimo, e nella prima notte di nozze ricevette il Battesimo per mano del pontefice Urbano I, e con lui il fratello di Valeriano Tiburzio. Il giudice Almachio aveva proibito, tra le altre cose, di seppellire i cadaveri dei cristiani, ma i due fratelli convertiti alla fede si dedicavano alla sepoltura di tutti i poveri corpi che incontravano lungo la loro strada. Vennero così arrestati e dopo aver convertito l’ufficiale Massimo che aveva il compito di condurli in carcere, sopportarono atroci torture piuttosto che rinnegare Dio e vennero poi decapitati. Cecilia pregò sulla tomba del marito, del cognato e di Massimo (tutti e tre santi venerati il 14 aprile), anch’egli ucciso perché divenuto cristiano. Alla morte di questi, Almachio volle impossessarsi dei beni dei due fratelli, mandò a prendere Cecilia, la interrogò e la condannò a morte, i suoi carnefici provarono prima a farla morire nel calidarium, un ambiente con vapori bollenti, ma la donna ne uscì illesa, si narra che “la santa invece di morire cantava lodi al Signore. Si decise allora per la decapitazione, e anche in questo caso visse un lungo supplizio perché fu colpita tre volte sul collo, rimase viva ancora tre giorni, e pur non potendo parlare indicò con le dita della mano la Santissima Trinità, il Dio Uno e Trino. Al pontefice Urbano I, recatosi a visitarla, la fanciulla agonizzante lasciò in eredità tutti i suoi beni ai poveri e la propria casa con la preghiera di tramutarla in chiesa; patrona della musica, dei musicisti.
22 novembre: beato Salvatore Lilli, nacque a Cappadocia (L’Aquila) il 19 giugno 1853 e vestì l’abito francescano il 24 luglio 1870, nel convento di Nazzano (Roma); emise la sua professione religiosa il 6 agosto 1871. A seguito della soppressione degli Ordini Religiosi da parte del governo italiano, Salvatore da Cappadocia, questo il suo nome da frate, partì nel 1873 per i Luoghi Santi della Palestina, per restarvi come missionario. Nel convento di Betlemme proseguì nello studio della filosofia, che aveva già iniziato a Castelgandolfo, facendosi ammirare per la sua vita di perfetto claustrale. Il 6 agosto 1874 fu trasferito nel convento del Santissimo Salvatore a Gerusalemme, per completare gli studi in teologia, venendo ordinato sacerdote il 6 aprile 1878. Prestò il suo servizio per due anni, nelle basiliche custodite dai francescani, venendo poi inviato a Marasc nell’Armenia Minore, dove per 15 anni espletò con passione il suo apostolato. La sua opera fu vasta e densa di risultati; i confessionali sempre affollati e le comunioni molto frequenti anche nei giorni feriali; riallacciò buoni rapporti con le persone più eminenti della città, cattoliche, ortodosse, turche; eresse una nuova cappella, inaugurata il 4 ottobre 1893 e con le offerte dei benefattori, acquistò un grande terreno e molti attrezzi agricoli per lavorarlo. Nel novembre 1890, a Marasc scoppiò il colera e lui per 40 giorni assisté da solo i colpiti dal morbo, senza esserne miracolosamente contagiato. Padre Salvatore nel 1894 fu nominato parroco e superiore dell’ospizio di Mugiukderesi e qui fu raggiunto dai rivolgimenti politici del 1895, quando i turchi effettuarono tanti massacri, specie tra i cattolici armeni. Fu sollecitato più volte dai confratelli, presenti in altri luoghi più sicuri, di rifugiarsi presso di loro, ma egli rispose: «Dove sono le pecore, lì deve restare il pastore», fu ferito dai soldati che aveva accolto con tanta benevolenza. Il 22 novembre 1895, fu arrestato con altri dodici cristiani e condotto a Marasc; lungo il viaggio vennero più volte invitati a rinnegare la religione cattolica e a darsi alla fede di Maometto, se volevano salvare la vita. Al loro deciso rifiuto, furono uccisi con crudeltà a colpi di baionetta e i loro corpi furono dati alle fiamme, in una zona chiamata Mujuk-Deresi. I nomi di sette dei dodici fedeli armeni martiri insieme a padre Salvatore Lilli sono: Baldji Ohannès, Khodianin Kadir, Kouradji Tzeroum, Dimbalac Wartavar, Ieremias Boghos, David Oghlou, Toros David; degli altri non si conosce il nome.