Oggi 29 gennaio la chiesa celebra san Gelasio II (al secolo Giovanni Caetano), 161º papa della Chiesa cattolica; nacque tra il 1060 e il 1064 a Gaeta, appartenente a una nobile famiglia. Morto il padre Giovanni viene affidato alla madre e allo zio, che si occupò della sua educazione insegnandogli a leggere e a scrivere e accostandolo alle prime opere letterarie, fu destinato alla vita clericale. Negli anni dell’infanzia entrò come puer oblatus nel monastero benedettino di Montecassino, retto dall’abate Desiderio (futuro papa Vittore III). Nell’abbazia benedettina ricevette gli ordini minori e il suddiaconato. La sua formazione culturale e l’attività svolta
presso il grande scriptorium benedettino predestinarono Giovanni alla successiva carriera ecclesiastica nella corrente del Papato riformatore. Dal maggio 1098 al 1099 Giovanni fu introdotto nella Cancelleria pontificia già da Vittore III, l’abate Desiderio di Montecassino. Dopo la morte di Vittore III, fu creato, da papa Urbano II, cancelliere della Chiesa di Roma. Il successore di Urbano II, Pasquale II, confermò Giovanni a capo della Cancelleria e trovò in lui un leale consigliere. Morto Pasquale II, il 24 gennaio 1118, gli elettori del papa si riunirono nella chiesa di Santa Maria in Pallara presso il Palatino, e all’unanimità elessero il cancelliere pontificio, il quale da Montecassino, dove si trovava al momento della morte di Pasquale, era stato portato a Roma. Giovanni assunse il nome di Gelasio II, esprimendo in tal modo la volontà di tutelare, nel conflitto tra potere spirituale e temporale. Il nome Gelasio indicava l’intenzione del neoeletto di continuare gli sforzi dei suoi predecessori per la riforma della Chiesa e di volersi ricollegare idealmente alla Chiesa delle origini, incarnata da Gelasio I. La famiglia Frangipane osteggiò l’elezione. Era favorevole alle tesi dell’imperatore Enrico V di Franconia, che intendeva porre sotto il proprio controllo le gerarchie ecclesiastiche. Poco dopo l’elezione i filo-imperiali guidati da Cencio Frangipane, riuscirono a entrare nel monastero e presero Gelasio e lo trascinarono fuori con la forza. Lo percossero a sangue e lo fecero prigioniero. Dopo aver fatto arrestare Gelasio, Cencio Frangipane lo fece rinchiudere in catene dentro una sua torre, da dove il pontefice venne subito liberato grazie ad una rivolta popolare dei romani. Gelasio, uomo mite, perdonò il suo carceriere, e a Roma si festeggiò l’avvenimento. Enrico V, chiamato in Roma dai Frangipane, partì immediatamente e vi giunse il 2 marzo 1118. Non riuscendo a ottenere dal Pontefice né la conferma dei privilegi concessigli dal predecessore Pasquale II nel 1111, né l’incoronazione in San Pietro, cacciò Gelasio, e, dichiarando nulla la sua elezione, insediò al suo posto Burdino, arcivescovo di Braga, come antipapa col nome di Gregorio VIII. Gelasio riuscì a sfuggire alle truppe tedesche trovando rifugio nel Castello di Ardea. Poi si diresse prima a Terracina e poi a Gaeta, qui Gelasio scomunicò Enrico V e l’antipapa, e, sotto protezione dei Normanni, fu in grado di ritornare a Roma. La persecuzione di Enrico V nei confronti di Gelasio non aveva sosta, per cui il 2 settembre 1118 il pontefice decise di partire per la Francia, dove sapeva di poter ricevere protezione. Arrivò a Marsiglia in ottobre. Gelasio II stava progettando di tenere un nuovo Concilio ecumenico in marzo per appianare la controversia sulle investiture, quando si ammalò gravemente mentre era ospite nel monastero dell’Abbazia di Cluny. Morì il 29 gennaio 1119 per una pleurite.
29 gennaio: san Valerio di Saragozza, nacque nel III secolo, probabilmente a Saragozza (Spagna). Secondo lo storico Prudenzio avrebbe fatto parte della famiglia romana dei Valerii, la quale avrebbe lasciato Roma per trasferirsi in Spagna proprio nel III secolo. Durante l’impero di Diocleziano, Valerio reggeva la diocesi di Saragozza e verso l’anno 300 con altri diciotto vescovi prese parte, intorno al 306, al Concilio di Elvira, città che si trovava nelle vicinanze dell’attuale Granada. Il governatore Daciano attuava nella provincia Tarraconensis la persecuzione contro i cristiani indetta, nel 303, dagli imperatori Diocleziano e Massimiano: così fece imprigionare Valerio e il suddiacono Vincenzo e ordinò che entrambi fossero condotti a Valenza per essere interrogati. Qui giunti li fece rinchiudere in una orribile prigione e li lasciò per molto tempo con pochissimo cibo nella speranza di piegare la loro resistenza. Dopo gli interrogatori subiti a Valenza, Valerio fu condannato all’esilio, mentre Vincenzo subiva il martirio. Valerio, durante l’esilio ad Anet (Aragona), apprese la notizia del martirio del diacono e in suo onore avrebbe fatto costruire una chiesa. Dopo circa dodici anni di esilio, Valerio morì nel 315 ad Anet senza mai tornare dall’esilio, anche se nel 313 l’Editto di Milano avesse posto fine alle persecuzioni.
29 gennaio: san Costanzo di Perugia, nacque a Foligno, è stato il primo vescovo di Perugia. È morto il 170 circa, martirizzato al tempo delle persecuzioni dell’imperatore Marco Aurelio nei confronti dei cristiani. Secondo la tradizione fu condotto da alcuni soldati davanti al console Lucio e barbaramente flagellato, quindi immerso nell’acqua bollente, da dove uscì miracolosamente illeso. Ricondotto in carcere, convertì i suoi custodi, che lo aiutarono a fuggire. Rifugiatosi a casa del cristiano Anastasio, fu con questo di nuovo arrestato. Dopo varie peripezie nelle carceri di Assisi e Spello, fu decapitato presso Foligno. Il corpo del santo, dopo il martirio, fu portato a Perugia e sepolto non lontano dalla città in un luogo detto Areola fuori Porta San Pietro, dove venne costruita la prima cattedrale di Perugia; patrono di Perugia.
29 gennaio: sant’Aquilino di Milano, nacque a Würzburg (Germania) nel 970, da nobile famiglia di ambiente ereticale. Sin da giovane molto attento e sensibile nei riguardi della fede, volle studiare teologia
a Colonia, per allontanarsi dalla famiglia, e qui fu ordinato prete. Eccellente predicatore e ben voluto dai suoi concittadini, seppe ben presto distinguersi per la sua intelligenza e per le sue grandi energie, tanto che gli venne offerto, alla morte del vescovo, la cattedra di Colonia. Rifiutò senza esitazioni, affermando che intendeva dare seguito in tutta umiltà alla sua vocazione di sacerdote, dedicandosi molto alla preghiera. Trasferitosi a Parigi, si dedicò in particolare agli ammalati di colera. Alcune sue guarigioni ebbero risvolti miracolosi e gli abitanti, entusiasti anche per il suo straordinario carisma, vollero candidarlo alla carica di vescovo. Ma Aquilino, anche qui, rifiutò la possibile nomina e si mise di nuovo in cammino raggiungendo Pavia verso l’anno 1005. In quegli anni, in Lombardia, stavano diffondendosi diversi movimenti eretici, i catari, che contestavano il clero, respingevano i dogmi e addirittura i sacramenti. Aquilino volle combattere a suon di omelie tutte quelle storture che offendevano la fede cristiana e da Pavia raggiunse Milano. Qui attaccò in modo particolare il catarismo, il cui credo si era introdotto in diverse zone europee, cercando di ostacolarne la diffusione e combattendolo sistematicamente. L’intensità delle sue prediche ebbe effetti contrastanti: convertì parecchi fedeli, ma suscitò enorme rabbia tra i catari. Un gruppo di scalmanati, la sera del 29 gennaio 1015, lo attese al buio presso la basilica di San Lorenzo. Venne assalito e dopo essere stato malmenato, fu pugnalato alla gola e poi gettato, ormai morente, in un corso d’acqua. Il giorno seguente, alcuni facchini avvistarono il cadavere e lo ripescarono. Riconobbero il corpo di Aquilino, che proprio in San Lorenzo aveva lanciato tutte le sue frecce contro i catari, e lo riposero nell’oratorio della chiesa.
29 gennaio: beata Villana de’ Botti, nacque a Firenze nel 1332, era figlia del ricco mercante fiorentino Andrea de’ Botti. Ella crebbe in un periodo assai movimentato e drammatico della storia di Firenze, un periodo di profonde crisi, economiche e sociali, e anche di profonde mutazioni spirituali. Villana era appena nata quando la città venne devastata dalla terribile inondazione del 1333. Dieci anni dopo, la crisi politica della tirannia del Duca di Atene portò i fiorentini alla rivolta, con conseguente cacciata del Duca, e nel rinnovamento delle istituzioni democratiche cittadine. Poco dopo, l’economia fiorentina franò, a seguito del fallimento dei grandi banchieri Bardi e Peruzzi. A tredici anni fuggì da casa per entrare in convento, ma suo padre riuscì a riprenderla. La timida fanciulla non seppe opporsi e dopo qualche tempo la diedero in sposa a Rosso di Piero di Stefano Benintendi, fiorentino benestante. La terribile “peste nera” del 1348, falcidiò quasi centomila fiorentini. Passata la grande paura, per reazione molti dei sopravvissuti si abbandonarono alla frivolezza e ai piaceri, ognuno in base alle proprie possibilità economiche. Molti altri, invece approfondirono i motivi della loro pietà religiosa, corressero la propria condotta, castigarono i costumi. Villana, testimone e partecipe dei travagli del suo tempo, sembra rappresentare, in un’unica persona, ambedue gli atteggiamenti della società fiorentina negli anni del «dopo-peste», alla metà del 1300. Dopo il matrimonio anche Villana si diede a una vita mondana, anzi addirittura dissoluta, non pensò che ad abbigliare e a divertirsi. Seguitò a passare davanti allo specchio la maggior parte del suo tempo, ma Dio, geloso di quell’anima, che aveva scelta per sé dall’infanzia, intervenne in modo insolito. Una sera, Villana, davanti a uno specchio, splendida nella sua acconciatura, cercò invano di contemplare la sua figura. Un orribile mostro le stava davanti. Non era un’illusione, tutti gli specchi gli mostrarono il medesimo spettacolo. Allora capì, corse al convento di Santa Maria Novella e, ai piedi di un confessore, dove si confessò e si propose di vivere per espiare i propri peccati. Dopo aver venduto tutte le sue sostanze, decise così di entrare nel Terz’Ordine di San Domenico, convertì il padre e il marito. Non aveva ancora 30 anni quando si ammalò, ed accettò la malattia come un’espiazione. Morì il 29 gennaio 1360.
29 gennaio: Servo di Dio Francesco Palliola, nasce in una delle più antiche famiglie della città di Nola (Na) nel palazzo di famiglia in via San Paolino, ordinato sacerdote il 17 maggio 1636, il suo ingresso nella Compagnia di Gesù fu favorito da un incontro con, un altro gesuita, il concittadino padre Marcello Mastrilli; dopo il primo anno di noviziato, insegnò grammatica e fu Prefetto della Congregazione degli studenti prima al Collegio di Amantea e successivamente a Salerno; scrisse diverse lettere al Padre Generale, chiedendo di essere mandato in missione, fu destinato alle Filippine per diffondere il Vangelo, salpò da Cadice al seguito di 41 gesuiti guidati da padre Diego de Bobadilla, inviato a Dapitan, nell’isola di Mindanao, si preparò all’opera missionaria apprendendo, primo fra gli europei, la lingua subani. Gli fu pertanto affidata la guida pastorale dei Subanos, che occupavano il territorio sulla costa nord-orientale di Mindanao. Il frutto della sua opera tra i Subanos, ancora non battezzati, si denotava nell’assidua partecipazione alla Messa e in altre pratiche di devozione; il 6 gennaio 1647, a Dapitan, pronunciò gli ultimi voti della Compagnia di Gesù, alcuni indigeni mal tollerarono la sua zelante opera di evangelizzazione e presero a odiarlo. Lo stesso Palliola aveva il presentimento che la sua vita fosse in pericolo ed era convinto che a breve lo avrebbero ucciso, nonostante questo, fece a meno della scorta che gli era stata assegnata e il 29 gennaio 1648 a Ponot gli fu annunciato che i suoi nemici stavano avvicinandosi, pronti ad ucciderlo. Palliola prese il rosario tra le mani e si inginocchiò in preghiera, attendendo i suoi aguzzini, fu barbaramente crivellato da moltissimi colpi di lancia, agonizzante riuscì ancora a pronunciare i nomi di Gesù e Maria, aveva solo di 37 anni.