Oggi 4 marzo la chiesa celebra san Casimiro di Polonia, nacque a Cracovia (Polonia) il 3 ottobre 1458, erede della nobile famiglia dinastica dei Jagelloni, da Casimiro IV re di Polonia e dalla regina Elisabetta d’Asburgo. Dall’età di 9 anni ricevette la propria educazione da Giovanni Dlugosz, storiografo e canonico di Cracovia, e da Filippo Buonaccorsi. A 13 anni gli fu offerto il trono d’Ungheria dalle fazioni avverse al re Mattia Corvino al momento in carica, ma che una parte della nobiltà locale vorrebbe detronizzare. Casimiro, inizialmente entusiasta di difendere i territori cristiani dai Turchi, esternò la propria disponibilità in tal senso e si recò in Ungheria per essere incoronato. Ma l’impresa fallisce, Mattia Corvino resta al potere, e Casimiro, che era stato già condotto in Ungheria, ritornò in Polonia nel 1472. Due anni dopo si stabilisce, a 16 anni, a Cracovia, sede dell’università jagellonica fin dal 1364, qui il giovane continua a studiare. Conosce il Trattato sull’educazione dei bambini, di Enea Silvio Piccolomini, futuro papa Pio II. Segue anche gli affari di stato, il giovane Casimiro. Assiste ai consigli della corona. E nel 1481 addirittura governa al posto di suo padre, che si recò per 5 anni in Lituania, lasciando di fatto il figlio al potere in Polonia. Casimiro è un principe che già respira aria di Rinascimento. Elegantemente modesto, governa in nome di suo padre, ma non cessa mai di presentarsi come “figlio secondogenito del re” per sottolineare la propria collocazione subalterna. Dal 1481 al 1483 amministrò lo Stato con grande saggezza ed equilibrio. Suo padre nel frattempo cercò di combinare il suo matrimonio con la figlia dell’Imperatore Federico III, ma Casimiro preferì rimanere celibe. La sua giornata è fatta di messa, preghiera, libri, povera gente da soccorrere. Ma non più da sovrano. Casimiro, ora, è per chiunque un fratello. Per la sua grande devozione religiosa, si esponeva a frequenti e prolungati digiuni che forse minarono il suo stato di salute. Indebolito nel fisico, fu colpito dalla tubercolosi, dalla quale non riuscì più a guarire. Nel 1484, durante un suo viaggio in terra lituana, morì a Hrodna il 4 marzo 1484, a 26 anni; patrono della Polonia e Lituania.
4 marzo: san Giovanni Antonio Farina, nacque a Gambellara (Vicenza) l’11 gennaio 1803, fin dall’infanzia fu educato allo studio e alla pratica religiosa da uno zio paterno, don Antonio, per lunghi anni parroco di Cereda. A 15 anni entrò nel seminario vescovile di Vicenza dove frequentò tutti i corsi distinguendosi per una particolare attitudine allo studio. A 21 anni, mentre ancora frequentava i corsi di Teologia, venne destinato all’insegnamento nella scuola di Grammatica del seminario minore e maggiore. Ricevuta nel 1827 l’ordinazione sacerdotale, rimase come docente in seminario per 18 anni, dove ricevette gli incarichi di maestro di Umanità, di Teologia pastorale, di Sacra eloquenza, di Metodica, di Catechetica e dove divenne anche bibliotecario e vice direttore dello studio teologico; fu anche canonico della cattedrale. Durante i primi 10 anni di sacerdozio prestò anche servizio come cappellano nella parrocchia di San Pietro, in Vicenza, che era una delle più popolose e povere della città. Incaricato della direzione della Pia Opera di Santa Dorotea, un’istituzione fondata nel 1827 per la formazione della gioventù femminile, decise nel 1831 di fonderla con la Pia scuola di carità per le fanciulle povere, una scuola di carità, esistente in parrocchia per l’istruzione e l’educazione cristiana delle fanciulle povere costrette all’accattonaggio, che era decaduta per l’inefficiente organizzazione. Diede vita in tal modo ad una nuova istituzione, destinata all’istruzione ed educazione delle fanciulle povere, che sotto la sua direzione divenne in breve tempo fiorente e attiva; era l’origine delle Suore Maestre di Santa Dorotea, figlie dei Sacri Cuori, un istituto religioso femminile che si dedicava all’istruzione e all’educazione cristiana della gioventù e prestando servizio anche negli ospedali e in istituzioni formative. Nel 1850, a 47 anni, fu nominato vescovo di Treviso. Nella diocesi trevigiana, favorì la nascita e l’istituzione nelle parrocchie di associazioni per il soccorso materiale e spirituale ai poveri, sollecitando la costituzione di una congregazione di sacerdoti per l’assistenza spirituale e sanitaria degli ammalati. Particolare cura dedicò alla catechesi dei fanciulli e degli adulti, tanto da essere chiamato “il vescovo dei poveri”. Nel 1860, resasi vacante la sede episcopale di Vicenza, Giovanni fu trasferito dietro sua richiesta alla guida della diocesi vicentina, che resse per 28 anni fino alla morte. Particolare sollecitudine egli mostrò per la formazione dei futuri sacerdoti nel seminario vicentino. Come già a Treviso, forte attenzione riservò al catechismo per i fanciulli e all’istruzione religiosa per gli adulti, favorendo il riordino delle scuole della dottrina cristiana e sottolineando il fondamentale ruolo dei genitori e la necessità della collaborazione dei laici. Partecipò al Concilio Vaticano I fino al 14 giugno 1870, dovendo poi abbandonarlo per motivi di salute. Dopo una prima grave malattia nel 1886, le sue forze fisiche si indebolirono gradatamente. Un ictus lo portò alla morte. Morì il 4 marzo 1888.
4 marzo: san Pietro Pappacarbone, nacque a Salerno nel 1038, da nobile famiglia longobarda di Salerno. Pietro, nipote del primo abate sant’Alferio, primo abate e fondatore dell’Abba¬zia della Trinità di Cava dei Tirreni, ne seguì le orme sce¬gliendo l’Ordine Benedettino. Volle comple¬tare la sua formazione nell’Abbazia di Cluny. Qui ri¬mase per 8 anni temprando il suo caratte¬re all’austerità della vita monastica. Verso la fine del 1067 tornò al monastero di Cava e papa Alessandro II lo nominò vescovo di Policastro, ma dopo due anni di intensa opera pastorale, rinunziò alla carica riprendendo la sua vita ascetica a Cava, dove san Leone I molto avanti negli anni, lo associò alla guida dell’abbazia. Pietro volle applicare rigidamente le norme di Cluny che aveva appreso in Francia, provocando una vivace reazione da parte dei monaci, che riuscirono a convincere delle loro ragioni anche il vecchio abate Leone. Pietro allora si allontanò dalla badia, ritirandosi nel monastero di Sant’Arcangelo nel Cilento, dove restaurò la vita monastica secondo il rigore cluniacense. Dopo qualche tempo ritornò al governo di Cava, richiamato dai monaci che si erano ricreduti. Il 12 luglio 1079 morì l’abate san Leone I e Pietro subentrò in pieno nella carica di abate di Cava e delle sue numerose dipendenze, governando con fermezza e sapienza. Resse le sorti del monastero per ben 45 anni, modellando la congregazione cavense su quella di Cluny, pur senza dipendere minimamente da essa. Fu grande nell’esercizio delle virtù monastiche specialmente nell’orazione e la penitenza, praticò con insistenza la dolcezza e l’umiltà, soprattutto con i monaci e nella correzione dei sudditi, di cui ricevette sempre stima ed affetto. Resse il Cenobio come successore dell’abate Leone I, fino a che passò al Monastero di Perdifumo nel Cilento, dove morì il 4 marzo 1123, a 85 anni.
4 marzo: beato Umberto III conte di Savoia, nacque nel Castello di Avigliana (Torino) il 4 agosto 1136, prima di partire per la seconda crociata, dove morì, il padre lo affidò al beato Amedeo, vescovo di Losanna. Sotto la sua guida, Umberto fece progressi negli studi e nella formazione spirituale; disprezzò l’apparente splendore delle cose mondane, per darsi alla preghiera, alla meditazione e alla penitenza. Per meglio riuscire nei suoi scopi, si ritirò sovente nel monastero cistercense di Hautecombe in Savoia, fondato dal padre; e che egli lasciò sempre con rincrescimento, quando la nobiltà savoiarda e la famiglia lo vollero nel mondo per trattare gli affari del contado. Nel 1150 fu dichiarato maggiorenne e l’anno successivo dovette sposare Faidiva di Tolosa, erano entrambi ancora ragazzi, ma la ragione di stato lo imponeva. Faidiva morì presto senza figli e Umberto passò a nuove nozze con la cugina Gertrude di Fiandra. Questa non gli diede eredi, per cui il matrimonio venne annullato, per sterilità. Nel 1164 fu la volta di Clementina di Zähringen. Nacquero due figlie, Alice e Sofia, ma Clementina morì. Umberto decise di entrare nel monastero cistercense di Altacomba e di farsi monaco, ma la nobiltà savoiarda, che si sentiva minacciata dal governo di un principe straniero, lo fece uscire, convincendolo a sposarsi ancora. Così nel 1177 sposò Beatrice di Maçon, da cui ebbe nel 1178 l’erede maschio, Tommaso. Portato alla vita di preghiera e amante della pace, invece dovette occuparsi di politica e di guerra, impegnandosi contro i signori feudali del suo tempo. Governò con saggezza il suo stato con grande amore ai sudditi, specialmente ai più bisognosi. Modesto e severo con sé, in obbedienza alla regola cistercense, fu munifico nelle donazioni a chiese e monasteri, offrendo ingenti ricchezze per sostegno alle molte opere di carità cui deve provvedere il clero. Nei contrasti tra guelfi e ghibellini (che era lo spirito della Casa Savoia) cercò sempre di compiere opera di mediazione, salvando l’imperatore Federico Barbarossa e facendosi mediatore tra questi e la Lega Lombarda dopo la vittoria comunale di Legnano, senza mai dissociare la sua causa da quella pontificia. Mandò il suo amico arcivescovo san Pietro di Tarantasia presso l’imperatore a Milano per dissuaderlo dalla distruzione della città. Appoggiò, tuttavia, l’imperatore quando dovette venire a patti per passare il Moncenisio. La sconfitta tattica di Legnano non ebbe per Federico effetti politici così gravi, grazie al beato Umberto. Si alleò con Enrico II d’Inghilterra, ostile al Barbarossa. Sfuggendo dal comparire davanti alla giustizia imperiale, si ritirò nei suoi domini alpini, meglio difendibili. Morì dopo circa quarant’anni di regno, il 4 marzo 1189, all’età di 52 anni e gli succedette il figlio Tommaso.