a cura di don Riccardo Pecchia
Oggi 5 agosto la chiesa celebra la Dedicazione della Basilica di Santa Maria Maggiore, il 5 agosto la Chiesa ricorda la dedicazione della basilica di santa Maria Maggiore sull’Esquilino di Roma, che viene considerata il più antico santuario mariano d’Occidente. La eresse, sul precedente edificio liberiano, il papa Sisto III dedicandola a Dio e intitolandola alla Vergine, proclamata solennemente dal concilio di Efeso (431) Madre di Dio (Theotókos). Monumenti di pietà mariana, a Roma, sono quelle stupende chiese, erette in gran parte sul medesimo luogo dove sorgeva qualche tempio pagano. Bastano pochi nomi, tra i cento titoli dedicati alla Vergine, per avere le dimensioni di questo mistico omaggio alla Madre di Dio: Santa Maria Antiqua, ricavata dall’Atrium Minervae nel Foro romano; Santa Maria dell’Aracoeli, sulla cima più alta del Campidoglio; Santa Maria dei Martiri, il Pantheon; Santa Maria degli Angeli, ricavata da Michelangelo dal “tepidarium” delle Terme di Diocleziano; Santa Maria sopra Minerva, costruita sopra le fondamenta del tempio di Minerva Calcidica; e più grande di tutte, come dice lo stesso nome, Santa Maria Maggiore, la quarta delle basiliche patriarcali di Roma, detta inizialmente Liberiana, perché identificata con un antico tempio pagano, sulla sommità dell’Esquilino, che papa Liberio adattò a basilica cristiana. Narra una tardiva leggenda che la Madonna, apparendo nella stessa notte del 5 agosto del 352 a papa Liberio e ad un patrizio romano, li avrebbe invitati a costruire una chiesa là dove al mattino avrebbero trovato la neve. Il mattino del 6 agosto una prodigiosa nevicata, ricoprendo l’area esatta dell’edificio, avrebbe confermato la visione, inducendo il papa e il ricco patrizio a metter mano alla costruzione del primo grande santuario mariano, che prese il nome di “Sancta Maria ad nives”, Santa Maria della neve. Poco meno di un secolo dopo, papa Sisto III, per ricordare la celebrazione del concilio di Efeso (431) nel quale era stata proclamata la maternità divina di Maria, ricostruì la chiesa nelle dimensioni attuali, di quest’opera rimangono le navate con le colonne e i trentasei mosaici che adornano la navata superiore. All’assetto attuale della basilica contribuirono diversi pontefici, da Sisto III che poté offrire “al popolo di Dio” il monumento “maggiore” al culto della beata Vergine (alla quale rendiamo appunto un culto di iperdulia cioè di venerazione maggiore a quello che attribuiamo agli altri santi), fino ai papi della nostra epoca. La basilica venne anche denominata Santa Maria “ad praesepe”, già prima del secolo VI, quando vi furono portate le tavole di un’antica mangiatoia, che la devozione popolare identificò con quella che accolse il Bambino Gesù nella grotta di Betlem. La celebrazione liturgica della dedicazione della basilica è entrata nel calendario romano soltanto nell’anno 1568.
5 agosto: sant’Emidio d’Ascoli, nacque a Treviri (Germania) nel 273, da una nobile famiglia pagana. Non si hanno notizie sui primi anni della sua vita fonti e tradizioni sono assai povere; la sua conversione al Cristianesimo avvenne grazie alla predicazione dei santi Nazario e Celso: diventò catecumeno, fu battezzato e si dedicò allo studio delle Sacre Scritture. Entrato in conflitto con la famiglia che tentò in tutti i modi di ricondurlo al paganesimo, partì per l’Italia insieme ai tre amici Euplo, Germano e Valentino. Giunto a Milano fu consacrato sacerdote dal vescovo Materno e stette per tre anni all’oratorio di San Nazario. In questo periodo la sua attività di predicatore fu particolarmente feconda ed ebbe come risultato la conversione di molti dei suoi ascoltatori. In seguito alla persecuzione di Diocleziano dovette fuggire a Roma dove trovò rifugio presso un certo Graziano. Qui gli vennero attribuite molte guarigioni miracolose (tra cui la figlia paralitica dello stesso Graziano), tanto che il popolo lo credette la reincarnazione del dio Esculapio. La fama del sacerdote ben presto destò l’interesse di papa Marcellino che ordinò Emidio vescovo di Ascoli Piceno ed Euplo diacono e affidò loro la difficile missione di diffondere il cristianesimo nell’importante centro Piceno, ancora quasi completamente pagano. Durante il suo cammino Emidio si fermò ad evangelizzare i centri di Pitino, L’Aquila e Teramo ed infine giunse ad Ascoli. Ad Ascoli era prefetto Polimio che ordinò subito a Emidio di non predicare la buona novella, ordine che fu completamente ignorato. Anche ad Ascoli Emidio si prodigò nella guarigione dei malati, cosa che gli consentì di convertire un gran numero di Ascolani. Polimio lo credette la reincarnazione del dio Esculapio, e gli chiese di offrire sacrifici agli dei, promettendogli in matrimonio Polisia, sua figlia, il santo non solo rifiutò di offrire agli dei, ma addirittura convertì Polisia alla fede cristiana e la battezzò nelle acque del fiume Tronto. Polimio avvertito di questo, ordinò l’arresto di Emidio e lo condannò alla pena capitale. Il vescovo non si nascose e fu decapitato, durante la quale avvenne l’ultimo miracolo del santo, che invece che stramazzare al suolo raccolse il proprio capo e camminò fino al monte ove aveva costruito un oratorio dove morì, mentre Polisia, fatta ricercare dal padre, fuggì sul monte Ascensione e scomparve in un crepaccio, nei pressi del quale in seguito nacque il paese di Polesio. Morì il 5 agosto 303; protettore contro i terremoti.
5 agosto: san Paride di Teano, nacque ad Atene (Grecia), la leggenda narra che Paride, giovane presbitero di origini greche, sia sbarcato a Napoli con un gruppo di mercanti e di lì si sia incamminato verso l’interno della Campania. Giunto a Teano, restò incantato dallo splendore degli edifici che fiancheggiavano la strada. A Teano trova una grande città, retta da una oligarchia superba e gelosa della propria romanità. Trova una città percorsa da gente di tutte le razze. Trova anche una comunità cristiana, ancora timida, allo stato nascente. Vi è anche un santuario dedicato al culto del dragone presso un tempio adagiato lungo le sponde del Savone. Era senza dubbio un culto esotico ed esoterico, il dragone probabilmente era solo un serpentone d’acqua. In età precristiana, i serpenti erano tenuti in grande considerazione come entità in possesso del segreto dell’immortalità. Mentre osservava la bellezza della città vide avanzarsi un corteo e, curioso di conoscerne la ragione, chiese spiegazioni a degli abitanti del luogo, gli fu spiegato che in quella città veniva adorato un dio serpente e che a lui ogni giorno le vergini appartenenti alle famiglie nobili della città portavano doni e cibarie. Paride restò sconvolto dall’assurdità di tali riti e decise di intraprendere una lotta con il drago per estirpare un culto pagano che stringeva la popolazione nell’idolatria e nella paura. E lo fa con l’ausilio della piccola ma agguerrita comunità cristiana già esistente. Non appena il drago si fu affacciato all’imbocco della sua tana, Paride gli schiacciò la testa con il bastone da pellegrino, lo legò con una fune e lo trascinò fino al vicino fiume Savone dove il drago trovò la morte. I cittadini, indignati per l’offesa recata alle loro credenze, gettarono Paride davanti ai leoni perché fosse sbranato. Soltanto quando videro che queste si piegarono dinanzi a lui, si convertirono al cristianesimo e fu eletto primo vescovo della città, da papa Silvestro I, da una comunità cristiana fiorente. Morì il 5 agosto 346.