Oggi martedì 9 maggio la chiesa festeggia sant’Isaia profeta, nacque nel 765 a.C. circa, da un uomo di nome Amoz. Purtroppo le notizie relative all’infanzia di Isaia, sono per la maggior parte sconosciute. Nel suo libro si accenna a due figli con nomi simbolici, e ad una moglie chiamata Profetessa, non si sa bene se perché dotata dello stesso carisma del marito o solo perché sua moglie. Le profezie di Isaia ebbero inizio nel 740 a.C. quando, prima della morte di Ozia, ebbe una visione circa la caduta di Israele e continuarono per altri 44 anni. Le profezie di Isaia coincisero con l’avanzata dell’Impero Assiro, avanzata che il profeta proclamò come un avvertimento di Dio alle persone senza fede. Essendo uno dei profeti più politici, Isaia è noto per essere stato testimone di uno dei periodi più instabili della storia di Gerusalemme, sia dal punto di vista politico che religioso. Egli intrattenne ottimi rapporti con i reali tanto da avere libero accesso a palazzo. Definendosi membro dell’aristocrazia di Gerusalemme, Isaia fu molto presente nella vita politica e sociale ritagliandosi un ruolo decisamente in rilievo ma, malgrado ciò, tale posizione non gli impedì di essere schietto e a volte molto critico nei confronti della classe politica che egli accusava di corruzione e di poco riguardo verso le persone comuni. Quando Ezechia, re del regno di Giuda e figlio di Acaz, si alleò con gli egiziani per contrastare il potere degli Assiri, Isaia si dichiarò contrario a tale alleanza profetizzando la distruzione per il regno e chiedendo al re ed al popolo di non ricercare alleanze tra gli uomini ma di rivolgersi solamente a Jahvè. Isaia suoi scritti condanna il popolo per i peccati e per la mancanza di fede in Dio. Molti, nel corso dei secoli, hanno criticato il pessimismo del profeta anche se c’è da notare che in tutta la sua vita egli, pur scagliandosi contro l’idolatria e l’ipocrisia, fu sempre dalla parte degli umili e degli oppressi difendendoli dal mondo del potere terreno. Le notizie di Isaia si perdono nel 700 a.C., secondo una tradizione ebraica fu arrestato e condannato a morte sotto il regno di Manasse, re di Giuda. Secondo il Talmud di Gerusalemme, egli venne trovato nascosto in un albero di cedro e segato a metà insieme al tronco, come accennato nel capitolo 11 della Lettera agli Ebrei.
9 maggio: san Pacomio abate, nacque Esna (Egitto) nel 292, da una famiglia di pagani. Fin dall’infanzia dimostrò di avere ricevuto da natura un temperamento dolce. I genitori lo educarono al culto degli idoli, ma egli provò sempre una grande avversione per le cerimonie profane. Spinto dalla famiglia, si arruolò nell’esercito imperiale all’età di 20 anni, finì in prigione a Tebe con tutte le reclute. Protetti dall’oscurità, verso sera, alcuni cristiani portarono ai soldati stanchi e affamati cibi e denari con la stessa sollecitudine con cui avrebbero soccorso i loro cari. Pacomio fu colpito dai gesti e dalle parole dei cristiani e pregò il loro Dio di ottenere la libertà e in cambio promise che avrebbe dedicato a Lui tutta la sua vita. Una volta libero abbandonò la sua vita da militare e si convertì al cristianesimo e, nel 314, ricevette il battesimo. Pacomio, invece di ritornare alla casa dei genitori, stabilì la propria residenza presso la comunità cristiana di Senesit (l’attuale Kasr-es-Sayad). Fu seguace per 7 anni di un monaco eremita di nome san Palamone. In questi anni maturò l’idea di una comunità di monaci intenti a condividere una vita comune basata sul lavoro, la condivisione dei pasti, la penitenza, la carità, la fratellanza e la povertà. Pacomio pensò anche che queste comunità monastiche avrebbero avuto bisogno di una vera regola valida per tutti e di una guida spirituale a cui obbedire con devozione. La regola e i precetti di Pacomio vennero ricavate dalla Bibbia. Nella sua convinzione lasciò Palamone e si trasferì nel villaggio di Tabennisi presso il Nilo. Qui ebbe una visione, udì una voce che lo invitata a prendere dimora in quei posti e gli predisse che sarebbe stato raggiunto da una miriade di fedeli. Costruì un monastero e istituì la regola della vita comune. Si unirono a lui molti fedeli, molte furono le conversioni al cristianesimo e quando il numero di adesioni fu sostanziale decise di costruire un altro monastero a Pbōw (Egitto) e una chiesa. Il numero degli uomini e delle donne che volevano vivere secondo i suoi insegnamenti aumentò sempre più, al punto che in pochi anni vennero costruiti nove monasteri con uomini e due con donne. Due di questi monasteri furono guidati da un fratello e una sorella di Pacomio che seguirono il suo esempio. In ogni monastero vigeva l’assoluto silenzio e si poteva comunicare solo con gesti manuali. Ogni monastero aveva il suo padre spirituale designato dallo stesso Pacomio. A nessun monaco era permesso di accettare i voti sacri, difatti il santo rifiutò più volte l’ordine sacro di sacerdozio che gli veniva chiesto insistentemente dal suo vescovo. Per la celebrazione della messa si affidavano ai sacerdoti dei villaggi vicini. In vari momenti della giornata monastica si studiava la Bibbia, si cantavano i salmi e si pregava anche durante il lavoro. Il pasto giornaliero era composto principalmente da legumi, pane, formaggio e frutta, mentre due giorni a settimana era imposto il digiuno. Durante la consumazione del pasto si stava in silenzio e si mangiava con il cappuccio in testa. Nel 346 scoppiò la peste a Pbōw e Pacomio ne fu vittima. Morì il 9 maggio 346.
9 maggio: nacque a Nuceria Alfaterna (odierna Nocera Inferiore) nel III secolo. Alcuni storiografi del XIX secolo, leggendo il Martirologio di Adone di Vienne, hanno identificato Prisco come uno dei 72 discepoli di Gesù, proprio quello in casa del quale si svolse l’Ultima Cena. Nei racconti popolari riportati negli scritti sulla vita di Prisco si racconta di un incontro di Prisco con il Papa. Uomo e pastore di grandi carismi, svolse in terra una vita santa, celebrava messa al mattino presto, prima di tutti gli altri sacerdoti. Un segno celeste che lui udiva gli indicava l’ora della celebrazione, in tal modo, quando tutti gli altri andavano a celebrare “l’officio santo” lui avendo già celebrato, andava a mangiare. Tale situazione portò alla mormorazione nel popolo. Si diceva di lui che fosse un uomo superbo in quanto mangiava invece di celebrare la messa, fu infamato come eretico e cercarono di mandarlo via. Molti difendevano Prisco ed il suo operato mettendo in risalto la bontà dell’uomo, la grande fedeltà al suo ministero, nonché la sua carità e misericordia verso tutti. Intanto gli accusatori mandarono un inviato al papa per denunciarlo come indegno, così il papa inviò degli uomini che conducessero Prisco da lui. Dopo alcuni giorni, gli uomini giunti da Roma, entrando nella chiesa dove Prisco stava celebrando l’Eucaristia, con gli stessi abiti della celebrazione lo prelevarono e costretto a recarsi a Roma per discolparsi al cospetto del papa. Lungo la strada, Prisco compì molti miracoli. Trovandosi in un luogo freddo, Prisco, rivestito ancora dalle vesti liturgiche, chiese ad una donna che lì abitava di donargli del fuoco per scaldare gli uomini che viaggiavano con lui. Non avendo la donna recipienti per riporre i tizzoni ardenti, Prisco li fece posare sulla pianeta che ancora indossava la quale riuscì a contenere i tizzoni senza bruciarsi. Gli uomini che erano con lui ne restarono ammirati e da questo momento lo trattarono con grande riverenza. Lungo il cammino per Roma, verso mezzogiorno, si trovarono affamati e senza acqua, non ve ne era nel luogo in cui erano giunti. Gli uomini che lo stavano conducendo dal papa chiesero a Prisco di pregare il Signore Dio affinché li aiutasse anche in quest’altra situazione. Prisco intimò così ad una cerva che lì passava di fermarsi e con il suo latte di estinguere la fame e la sete degli ufficiali del papa e dopo aver insieme ringraziato il Signore, Prisco comandò alla cerva di poter tornare da dove era venuta. Continuando il cammino videro una quantità di papere, Prisco comandò loro di seguirlo per farne dono al papa. Arrivati a Roma i ministri informarono il papa della santità del vescovo, raccontandogli dei prodigi che aveva compiuto lungo il viaggio. Il papa udendo il racconto riconobbe la santità di Prisco e si pentì per averlo costretto ad un viaggio così faticoso. Volle subito incontrarlo. Il papa vedendo le papere, quiete e silenziose, in un angolo della stanza, chiese a Prisco il senso della presenza di quegli animali e Prisco spiegò di averle portate in dono. Il papa vista la santità di Prisco non volle accettare il regalo, ma disse di voler lui donare qualcosa alla Chiesa di Prisco. Rimasti soli il papa con Prisco discussero a lungo, Prisco spiegò al papa il motivo per cui era stato accusato. Celebrarono insieme e condivisero dopo l’Eucaristia il pasto mattutino. Così il papa riconobbe non solo l’innocenza di Prisco, ma anche la sua santità. Il papa fece dono a Prisco di una grande fontana di marmo che il santo trasportò fino a Nocera con il solo ausilio di due “vaccherelle”. Prisco perdonò tutti i suoi accusatori e pregò per loro con grande amore Prossimo alla morte, decise di adagiarsi nella stessa tomba che accoglieva le sorelle, chiedendo ai loro scheletri di spostarsi per fargli posto, desiderio che gli fu esaudito. Morì il 9 maggio 68 d.C.