Oggi 9 ottobre si celebra sant’Abramo, nacque nella città di Ur Kassdim, in Caldea circa nel 1813 a.C. Era discendente di Sem, uno dei tre figli di Noé e dimorava con il padre Terah e con tutta la famiglia ad Ur Kassdim, antica città della Bassa Mesopotamia (attuale Iraq). Terah poi, con Abramo e sua moglie Sara e con il nipote Lot, lasciò Ur per emigrare nella terra di Canaan; arrivarono fino a Carran stabilendosi lì per lungo tempo, fino alla morte di Terah che visse 205 anni. Con Abramo, inizia la storia dei Patriarchi d’Israele, che va dal XIX al XVII secolo a.C. La sua storia è raccontata dal capitolo 12 al capitolo 50 nel primo libro della Bibbia: la Genesi ed è ripresa dal Corano. Secondo Genesi (17,5), il suo nome originale era אַבְרָם (Avram), poi cambiato da Dio in Abraham (padre di una moltitudine). Abramo è il primo dei patriarchi, degli antenati di Israele di cui si raccontano storie che si perdono nella notte dei tempi e si tramandano di generazione in generazione come storie sante. La storia di Abramo comincia con un ordine di Dio e una promessa: «Esci dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò. Farò di te un grande popolo e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e diventerai una benedizione». Ma chi era Abramo? La storia di Abramo non è solo quella di un pastore nomade in cerca di pascoli, ma la storia religiosa di un pellegrino che cammina verso la «terra promessa». La storia di Abramo è una storia umanissima. Non è sempre facile, per lui, credere e sperare: deve superare prove molto dure; tutti i suoi progetti sembrano fallire; viene espulso dall’Egitto dove sperava di trovare pascoli per il suo bestiame; vorrebbe adottare Ismaele, il figlio che ha avuto dalla sua schiava, ma Dio non glielo permette e quando crede di vedere finalmente realizzato in Isacco la promessa divina, Dio gli chiede di offrirgli in sacrificio il primogenito. Così Abramo si ritrova a tu per tu con Dio. Questa è la chiave della sua profonda personalità religiosa: un’obbedienza sincera. Quando Dio lo chiama per la prima volta, Abramo ha 75 anni. È sposato con Sara e non ha figli. Possiede del bestiame ma non dispone di pascoli di sua proprietà. Da un punto di vista umano sono poche le cose che possono ormai cambiare nella sua esistenza. Tutto ciò rende ancor più stupefacente la grandezza d’animo di questo arameo errante che alla sua età è capace di dare un indirizzo nuovo alla sua vita, lasciandosi guidare da Dio e confidando nella sua parola. Dio gli promette proprio quello che gli manca e di cui ha bisogno: una discendenza e una terra, qualcosa da amare e di cui avere cura. Per fede egli divenne padre: di Isacco e di una discendenza numerosa come le stelle. Per fede ebbe un figlio quando era ormai vecchio e vecchia e sterile sua moglie Sara. Per fede riebbe il figlio destinato alla morte e offerto in sacrificio. La sua fede inaugura un modo nuovo di intendere la vita dell’uomo e la sua storia. Questo è il grande contributo di Abramo alla storia dell’umanità. Milioni di uomini appartenenti alle tre grandi religioni monoteiste (ebraismo, cristianesimo, islamismo) lo invocano come “padre dei credenti”. In questo senso si compie ciò che Dio gli aveva promesso e ciò che dice il nome Abraham datogli da Dio in luogo di Abram. Morì a 175 anni nella terra di Canaan, lasciando erede universale Isacco.
9 ottobre: san Dionigi di Parigi, nacque in Italia nel III secolo, fu convertito da san Paolo e inviato da papa Fabiano ad evangelizzare la Gallia. Fu il primo vescovo della città di Lutezia (odierna Parigi), nell’allora Gallia romana. Fu decapitato a Parigi poco dopo la metà del III secolo (verso il 250 o 270 d.C.) insieme ai compagni Rustico ed Eleuterio. Varie leggende sorsero intorno alla sua morte. Secondo alcuni fu flagellato e arrostito; mentre era incarcerato, venne Cristo stesso a porgergli l’ostia. Infine fu decapitato sulla collina di Mont Martre; dopo la decapitazione prese la sua testa e si avviò verso il luogo della sepoltura. I due compagni, di cui non parlano le fonti più antiche, sono visti oggi come personificazioni legate al nome del santo, Dionigi, cioè letteralmente “Consacrato al dio Dioniso” (Bacco): Eleuterio è “Libero” (altro nome del dio Bacco) e Rustico “dei campi”. La scena in cui Dionigi prende in mano la sua testa sembra un’interpretazione ingenua dell’iconografia tradizionale, in cui il martire per decapitazione regge la propria testa fra le mani; patrono della casa reale di Francia e protegge contro il “mal francese” (la sifilide) e i morsi dei cani rabbiosi.
9 ottobre: san Giovanni Leonardi, nacque a Diecimo (Lucca), nel 1541, da una famiglia di agricoltori benestanti, ultimo dei sette figli. Dopo aver compiuto dal 1553 al 1558 i primi studi presso lo zio sacerdote fu inviato a Lucca dal padre per apprendere l’arte di farmacista. A partire dal 1564 Giovanni fece parte della Pia Società laicale dei colombini che coniugava la tradizione savonaroliana dei domenicani lucchesi alle istanze riformatrici provenienti da Roma, in parte ispirate a san Filippo Neri. In questo periodo chiese di essere ammesso nell’Ordine francescano, ma la sua domanda non fu accolta. Dopo la morte del padre, nel 1567, intraprese gli studi ecclesiastici e il 22 dicembre 1571 fu ordinato sacerdote. Il vescovo Alessandro Guidiccioni gli affidò la chiesa di San Giovanni della Magione, commenda dei cavalieri di Malta, dove iniziò l’insegnamento della dottrina cristiana ai ragazzi secondo le norme del Concilio di Trento. Visti i buoni risultati, il vescovo gli permise l’insegnamento del catechismo in tutte le chiese di Lucca, rivolto sia ai bambini sia agli adulti. Allo scopo di potenziare l’opera catechetica, fondò la Compagnia della dottrina cristiana, strutturata come congregazione di laici con il fine unico di insegnare il catechismo ai ragazzi. Assieme ad altri due o tre sacerdoti, il 1 settembre 1574 fondò presso la chiesa di Santa Maria della Rosa di Lucca la congregazione dei Preti Riformati della Beata Vergine, dedita all’apostolato ed alla formazione del clero. La congregazione venne elevata ad ordine religioso il 3 novembre 1621 da Gregorio XV, assumendo l’attuale nome di Ordine dei Chierici Regolari della Madre di Dio (leonardini). Venne poi espulso dalla Repubblica di Lucca con l’accusa di disturbo all’ordine pubblico e mancanza di rispetto alle autorità costituite e si rifugiò a Roma. L’incidente aprì una nuova fase nella vita di Giovanni, permettendogli di introdursi negli ambienti riformatori romani e di venire a stretto contatto con san Filippo Neri. Nel settembre 1592 fu inviato dal cardinale Michele Bonelli a dirimere un’annosa controversia tra il vescovo di Nola e le autorità comunali del casale di Sant’Anastasia relativa all’amministrazione dei beni del Santuario di Santa Maria dell’Arco, nella quale era intervenuto anche il viceré di Napoli Juan de Zúñiga, conte di Miranda. Dopo un fallito tentativo di instaurare la vita comune tra i preti responsabili della chiesa, questa fu affidata ai domenicani riformati di San Severo, che ne presero possesso l’8 marzo 1594. Nell’ottobre successivo si ritirò a Napoli, restandovi fino al mese di dicembre, colpito da una grave malattia. Ritornato a Roma, ottenne dal Senato lucchese il permesso di rientrare in città e vi rimase per alcuni mesi, durante i quali si dedicò alla revisione delle regole del suo istituto, che furono approvate da Clemente VIII il 13 ottobre 1595. A Lucca lo raggiunse un breve pontificio del 29 marzo 1596 che lo nominava commissario apostolico per la riforma della Congregazione di Montevergine. Dal 16 al 18 giugno riunì il capitolo generale, nel quale, in rispetto alle istruzioni ricevute dalla Curia romana, soppresse i conventi abitati da un numero esiguo di religiosi, nominò i superiori delle case ed emanò norme per la formazione dei novizi e per la corretta amministrazione dei beni. Una volta superati gli ostacoli opposti dai ricorsi di religiosi e laici il 22 febbraio 1597 ricevette da Clemente VIII l’approvazione per il suo operato, insieme con l’incarico di assistere in futuro la Congregazione verginiana. Nel 1601 i Chierici della Madre di Dio aprirono una casa a Roma, presso la chiesa di Santa Maria in Portico, dedicandosi all’istruzione religiosa, in particolare dei ragazzi. Giovanni trascorse gli ultimi anni della sua vita a Roma dove fu colpito da febbre violenta. Morì il 9 ottobre 1609, a 68 anni; patrono dei farmacisti.
9 ottobre: beato John Henry Newman, nacque a Londra (Inghilterra) il 21 febbraio 1801, primogenito di una agiata famiglia anglicana. Bambino di intelligenza precoce si distingue per il rapido progresso nello studio; adolescente avido di sapere si appassiona alla lettura, compresi libri contro le verità religiose che lo portano all’incredulità, ma nell’estate 1816 ha una crisi spirituale. Sotto l’influsso di Walter Maser, pastore calvinista, maturò una fede orientata dai principi protestanti e la convinzione che il Papa fosse l’anticristo. A 16 anni entra all’Università di Oxford. Newman, che ben presto cominciò a farsi notare per le sue grandi doti intellettuali, si sente irresistibilmente attratto dalla carriera accademica e dalla vocazione ecclesiastica. Nel 1822 è docente dell’Oriel College. Il 29 maggio 1825 viene ordinato sacerdote anglicano. Nel 1828 è parroco della chiesa universitaria di St. Mary da dove con i suoi sermoni domenicali produrrà una profonda influenza sugli studenti e sullo stesso anglicanesimo. Nel 1832 visita Roma, Malta, Corfù e la Sicilia. In questo viaggio incontrò per la prima volta, nel Collegio Inglese di Roma, Nicholas Wiseman, che diventerà arcivescovo cattolico di Westminster. Nel febbraio 1841, pubblicò uno scritto (il celebre Tract 90) in cui egli cercava di interpretare i 39 articoli della fede anglicana in chiave cristiano-cattolica, operando esattamente come i protestanti al momento della loro stesura. Le violente reazioni del vescovo di Oxford e degli ambienti liberali e protestanti di Oxford spinsero Newman a lasciare definitivamente la sua amata università, rifugiandosi nel villaggio di Littlemore in un periodo di ritiro spirituale che, nel giro di pochi anni, lo porterà a convertirsi al cattolicesimo. Il tempo che intercorse tra il 1843 e il 1845 fu estremamente doloroso per Newman, in quanto non aveva il coraggio di rivelare ai suoi amici più stretti la sua decisione di convertirsi al cattolicesimo romano. Dopo due anni, nell’autunno del1845, decise di compiere finalmente il grande passo. Il 9 ottobre, un padre passionista poi proclamato beato Domenico Barbieri, era di passaggio da Littlemore quando all’improvviso, mentre si stava riscaldando davanti al camino, si trovò davanti Newman che gli chiese di confessarlo e, poi, di battezzarlo. La notizia della conversione sconvolse e indignò la stragrande maggioranza degli anglicani: Henry Edward Manning, i suoi famigliari e l’opinione pubblica gli voltarono le spalle, a causa del fortissimo sentimento anticattolico radicato nella cultura britannica. Inviato a Roma presso il Collegio di Propaganda Fide, vi fu ordinato sacerdote il 30 maggio 1847. Alla ricerca di una regola religiosa che si confacesse al temperamento inglese, rimane affascinato dalla figura di san Filippo Neri ed entra così nella Congregazione dell’Oratorio; fonda nel 1848 l’Oratorio a Birmingham e nel 1849 a Londra. Incompreso e osteggiato dalla gerarchia e dai suoi stessi confratelli vive per oltre quarant’anni a Birmingham, occupandosi della parrocchia, ma è disposto a tornare nell’agone mediatico quando è necessario difendere la propria persona e l’onore della Chiesa Cattolica. Nel 1879, all’età di 78 anni, il nuovo pontefice Leone XIII lo creò cardinale diacono titolare di San Giorgio in Velabro, senza consacrarlo vescovo e senza che egli si trasferisse neanche a Roma come “cardinale di curia”. Il riservato oratoriano, nonostante la popolarità presso il mondo cattolico ed anglicano, desiderava rimanere nella quiete del suo oratorio di Edgbaston, conducendo una vita appartata e dedita alla preghiera, allo studio e alla pastorale. Nel 1889, la salute di John Henry, quasi novantenne, peggiorò rapidamente; dopo una lunga agonia morì nell’Oratorio di Edgbaston. Morì l’11 agosto 1890.
9 ottobre: Servo di Dio Pio XII (Eugenio Maria Giuseppe Giovanni Pacelli), 260º papa della Chiesa cattolica; nacque a Roma il 2 marzo 1876, discendeva da una famiglia dell’aristocrazia romana. Frequentò un liceo statale e proseguì gli studi presso la Pontificia Università Gregoriana, il Collegio Capranica e il Pontificio Ateneo del Seminario Romano dell’Apollinare. Ordinato sacerdote nell’aprile 1899, entrò nella Curia romana nel 1901 e dal 1904 al 1916 fu collaboratore di fiducia del cardinale Pietro Gasparri nella redazione del Codice di Diritto Canonico; per diversi anni inoltre fu professore di diritto internazionale presso l’Accademia dei Nobili ecclesiastici. Nell’aprile 1917 Benedetto XV lo nominò Nunzio a Monaco di Baviera nonché Arcivescovo titolare di Sardi (Anatolia) e, nel giugno 1920, Nunzio presso la nuova Repubblica di Germania. Creato cardinale il 16 dicembre 1929, succedette al cardinale Gasparri come Segretario di Stato il 7 febbraio 1930 e, come tale, fu responsabile dei concordati con l’Austria e con la Germania di Adolf Hitler. Sotto la minaccia imminente della Seconda Guerra Mondiale, monsignor Pacelli venne eletto Papa col nome di Pio XII nel conclave del 2 marzo 1939. Era dai tempi di Clemente IX che un Segretario di Stato non veniva eletto Papa, ma Pacelli era il Cardinale più conosciuto e possedeva le doti e l’esperienza che apparivano più adeguate al periodo. Nella sua prima enciclica Summi Pontificatus (1939), Pio XII condannò in nome della pace ogni forma di totalitarismo. Sempre nel 1939, proclamò san Francesco d’Assisi e santa Caterina da Siena patroni d’Italia. Nel 1940 riconobbe definitivamente le apparizioni di Fatima e consacrò nel 1942 il mondo intero al Cuore Immacolato di Maria. Il Papa tentò invano di scongiurare il rischio di una nuova guerra mondiale con diverse iniziative fra cui la più famosa è il discorso alla radio del 24 agosto 1939 in cui pronunciò la frase simbolo del suo pontificato: «Nulla è perduto con la pace; tutto può essere perduto con la guerra». Tuttavia tali iniziative furono inutili. Il 18 febbraio 1946, a guerra finita, tenne il suo primo concistoro per la creazione di nuovi cardinali: per la prima volta dopo secoli, il numero di cardinali italiani risultò inferiore a quello dei cardinali stranieri. Nelle elezioni politiche italiane del 1948 si schierò a favore della Democrazia Cristiana e impose al Sant’Uffizio di «lasciar stare Padre Pio». Durante il Giubileo, del 1950, con la bolla Munificentissimus Deus, istituì il dogma dell’Assunzione di Maria. Negli anni successivi, Pio XII, anche per il suo carattere schivo e introverso, ridusse all’osso l’organizzazione della Curia Romana (dal 1944 non nominò nessun nuovo Segretario di Stato). Tuttavia fu un papa particolarmente amato dalla gente: istituì l’Angelus domenicale dalla finestra di Piazza San Pietro e fu il primo papa le cui immagini vennero trasmesse in televisione. Nel 1953 la salute di Pio XII si aggravò: fu afflitto per molto tempo da un singhiozzo continuo, dovuto forse ad una gastrite. Già all’inizio del 1954 una malattia l’aveva portato in fin di vita, ma sopravvisse. Pio XII decedette a Castel Gandolfo a seguito di un’ischemia circolatoria e di collasso polmonare. Morì il 9 ottobre 1958, a 82 anni.