a cura di don Riccardo Pecchia
Oggi 4 novembre la chiesa celebra san Carlo Borromeo, nacque il 2 ottobre del 1538 ad Arona (Novara), giovane rampollo della nobile e potente famiglia dei Borromeo. Dopo aver studiato a Pavia diritto civile e canonico, nel 1558 alla morte del padre prende il controllo degli affari di famiglia; nel 1559 si laurea in utroque iure. A Milano ricevette l’abito clericale e la tonsura, il 13 ottobre 1547. All’età di circa 12 anni, ottenne in affidamento l’abbazia di San Leonardo di Siponto nella provincia di Manfredonia, con l’ufficio e la dignità di abate commendatario, il reddito della quale fu da lui devoluto interamente per la carità verso i poveri. Poco dopo suo zio Giovan Angelo Medici di Marignano, fratello di sua madre, viene nominato papa, con il nome di Pio IV. Carlo si trasferisce a Roma e viene nominato cardinale a poco più di 20 anni (suo fratello Federico diventa segretario privato). Carlo sfruttò la propria influenza come segretario di stato pontificio per riaprire il Concilio di Trento. Il Borromeo intervenne direttamente perorando la causa cristiana nella visione della messa come vero e proprio sacrificio di Cristo riproposto ad ogni celebrazione, contrastando la visione protestante secondo la quale l’eucarestia sarebbe solo il ricordo dell’ultima cena. Sempre su impulso di san Carlo vennero approvati i decreti relativi agli ordini sacri ed all’istituzione dei seminari, giungendo a toccare temi importanti e molto sentiti all’epoca come il valore del matrimonio ed il celibato sacerdotale. Dedicandosi a una vita di ascetica povertà, si impegna nella riforma dei costumi e cerca di porre in evidenza l’importanza del culto esteriore, composto da processioni, preghiere e riti liturgici, utili a ravvivare l’identità cristiana e la fede tra i ceti più popolari. Il 7 dicembre 1563 fu consacrato vescovo nella Cappella Sistina. È nel 1566 che Carlo giunge a Milano, alla morte dello zio papa che lo induce a trasferirsi da Roma. La diocesi in cui viene a trovarsi, tuttavia, è ormai abbandonata a se stessa, complice il fatto che da decenni gli arcivescovi titolari sono impegnati a pensare più al denaro che non allo spirito. Durante gli anni del suo episcopato, tra il 1566-84, Carlo ristabilisce disciplina all’interno del clero, preoccupandosi di rafforzare la preparazione religiosa e la moralità dei sacerdoti e fondando i primi seminari. Non solo: si impegna nella costruzione di nuove chiese e nel rinnovamento di quelle esistenti e viene nominato visitatore apostolico per le diocesi di Bergamo e Brescia, visitando tutte le parrocchie presenti sul territorio. Si impegnò in opere assistenziali in occasione di una durissima carestia nel 1569-70 e, soprattutto nel periodo della terribile peste del 1576-77, detta anche “peste di San Carlo”, famosa è la sua processione a piedi nudi per chiedere l’intercessione affinché il morbo si placasse. Incredibilmente, il morbo si placò e ciò fu interpretato da molti come una manifestazione della santità dell’arcivescovo. Scampato alla peste, fu comunque indebolito in salute negli ultimi suoi anni e rimase in cura costante del suo medico personale. Il 2 novembre 1584, l’arcivescovo, febbricitante e di ritorno da una visita pastorale sul Lago Maggiore, tornò a Milano dove si spense per sempre, all’età di soli 46 anni, il 3 novembre 1584, l’intero suo patrimonio venne lasciato in eredità ai poveri; patrono dei vescovi.
4 novembre: beata Teresa Manganiello, nacque a Montefusco (Avellino) il 1 gennaio 1849; i suoi genitori erano onesti contadini, pieni di fede e di profonda pietà cristiana, Teresa non ebbe modo di frequentare la scuola elementare e quindi era analfabeta; aiutava la numerosa famiglia sempre con dedizione e generosità, sia nei lavori domestici che in quelli dei campi. Amava tutti in Dio, ma soprattutto i poveri, i malati di ogni specie di cui non temeva i contagi; gli sventurati, i carcerati, gli orfani. Per Teresa i bisognosi, i sofferenti erano immagini di Dio e personificazioni di Gesù, per cui amava soccorrerli tutti. Particolare attenzione aveva per i malati. Per essi aveva creato nella sua casa la “farmacia”, con medicinali ricavati dalle erbe che lei stessa coltivava. La “farmacia” di Teresa non conosceva turni o chiusura, sempre aperta, luogo dove Teresa vive nell’abbraccio giubilante con la povertà; si sente in comunione autentica con chi soffre e fra le varie faccende, svolge anche quella di infermiera: leniva il dolore, lavava con acqua tiepida le lesioni, con delicatezza le medicava con una pozione particolare preparata da lei stessa. La ragazza, quando raggiunse l’età di 22 anni, nel 1871, volle entrare nel Terz’Ordine Francescano che era stato istituito, nel 1869, a Montefusco dal Superiore del convento dei Cappuccini di Montefusco, padre Lodovico Acernese. Il 15 maggio del 1870 la giovane Teresa divenne così la “prima terziaria” del suo paese, col nome di sorella Maria Luisa. Essa cominciò a seguire con passione il Movimento francescano in Irpinia e nel Sannio, fornendo un consistente aiuto nell’opera di evangelizzazione. Per questo motivo fu chiamata l’Analfabeta Sapiente di Montefusco: il suo scopo era l’aiuto ai poveri, agli orfani e a tutti coloro che si trovavano nella malattia e nel dolore. L’adesione di Teresa al Terz’Ordine fu una scelta radicale e profonda, un’offerta di tutta se stessa al Signore. La vita della giovane terziaria era pervasa di preghiera mariana così intensa, che potrebbe sembrare incredibile se si considera che lei era impegnata in faccende domestiche della mattina alla sera. Il Rosario riempiva tutta la sua giornata. Il suo zelo e la sua santa vita fecero presagire al padre Acernese la fondazione di una famiglia religiosa femminile, che avesse come carisma la fisionomia spirituale di Teresa: lo spirito francescano, la devozione alla Madonna Immacolata e la formazione dei fanciulli, specialmente delle giovani. Si fecero progetti, preparativi. Teresa si recò personalmente a Roma con una famiglia nobile di Benevento per chiedere al Santo Padre, Pio IX, la benedizione per la nascente Congregazione. Fu ricevuta in udienza privata dal Sommo Pontefice, il quale benedisse e incoraggiò il progetto fondazionale. Ma Teresa non poté realizzare questo progetto perché, tre anni dopo l’udienza papale, morì 4 novembre 1876, a soli 27 anni. Nel 1881, cinque anni dopo la sua morte, il padre Acernese fondò la Congregazione delle Suore Francescane Immacolatine a Pietradefusi (Avellino) per rendere realtà il proposito di Teresa.