Oggi 12 agosto la chiesa celebra beato Innocenzo XI (Benedetto Odescalchi), 240º papa della Chiesa cattolica; nacque a Como il 19 maggio 1611, dalla nobile famiglia degli Odescalchi. Benedetto studiò nel locale collegio dei padri gesuiti. A 15 anni terminati gli studi presso i gesuiti, si trasferì a Genova, a far pratica nella sede commerciale, la “Società Odescalchi” un banco di cambiavalute, appartenente alla sua famiglia. Aiutato da un amico cardinale, nel 1636, studiò giurisprudenza all’Università La Sapienza di Roma e concluse gli studi a Napoli, dove si laureò in utroque iure il 21 novembre 1639. Nel frattempo andava meditando la vita religiosa e l’anno successivo, sempre a Napoli ricevette la tonsura. Ritornato a Roma, spinto dal fratello Carlo, intraprese la carriera ecclesiastica, ricoprendo vari incarichi presso la Sede Apostolica, ma senza farsi coinvolgere dallo sfarzo della vita romana settecentesca. Innocenzo X lo creò cardinale, con il titolo diaconale dei Santi Cosma e Damiano nel 1645, legato di Ferrara nel 1648 e vescovo di Novara nel 1650. In tutte queste cariche si distinse sempre per l’austera pietà, carità e impiegò le sue rendite a beneficio dei poveri. Nel 1654 chiese al papa Clemente X di essere esonerato per motivi di salute dal compito di vescovo residenziale e visse per qualche tempo a Roma impegnato negli affari curiali. Il 21 settembre del 1676, con una unanimità di consensi fu eletto papa, assumendo il nome di Innocenzo XI. Durante il suo pontificato durato 13 anni, combatté il nepotismo abolendo la carica di “cardinale-nepote”, condannò l’usura, il lusso, esortando alla carità e alla beneficenza, dando il suo personale esempio all’ascetismo, ridusse le cariche e gli stipendi e facendo drastiche economie riuscì a far rifiorire le finanze vaticane. Si adoperò per favorire la predicazione del Vangelo e l’insegnamento del catechismo, la rigorosa selezione dei sacerdoti e dei vescovi e la comunione frequente, inoltre conservava un atteggiamento critico verso i gesuiti. Innocenzo XI soffrì molto nel fisico per varie malattie che l’avevano colpito, ma che accettava con piena fiducia in Dio. Morì il 12 agosto 1689, a 78 anni.
12 agosto: santa Giovanna Francesca Frémiot de Chantal(Jeanne-Françoise Frémiot de Chantal), nacque a Digione (Francia) il 23 gennaio 1572, da una famiglia dell’alta nobiltà borgognona. A 1 anno rimane orfana di madre. Educata virilmente dal padre, uomo insigne per pietà e fede, andò sposa, il 29 dicembre 1592, a 20 anni, a Cristoforo de Rabutin barone di Chantal, da questa unione perfetta nascono sei figli: i primi due muoiono alla nascita, poi arrivano Celso Benigno, Maria Amata, Francesca e Carlotta. Fu sposa teneramente amata e che amava con lo stesso ardore il proprio marito. Un giorno della primavera del 1601 durante una battuta di caccia, inavvertitamente il barone di Chantal è a terra, ucciso da un colpo di archibugio durante una battuta di caccia, resta vedova all’età di 29 anni. Giovanna si ritrova improvvisamente a soli 29 anni, vedova e madre di quattro creature, di cui la più grande ha cinque anni e la più piccola solo pochi giorni. Deve cominciare una nuova vita. Sente subito dentro di sé una nuova attrazione a consacrarsi al Signore, ma i gravi doveri famigliari non le permettono di realizzare questo desiderio. Nel 1604 incontra il vescovo di Ginevra san Francesco di Sales, che predicava la quaresima a Digione: colpita dal suo carisma, si affidò alla sua direzione spirituale, divenendo la sua più fedele discepola e il 6 giugno del 1610, con un atto notarile si spoglia di tutti i beni in favore dei figli, presso la residenza del vescovo di Ginevra, nella casa della Galerie ad Annecy, fondò, con san Francesco di Sales, Giacomina Favre e Charlotte di Bréchard, la congregazione dell’Ordine della Visitazione di Santa Maria (visitandine). Giovanna Francesca de Chantal, dopo un anno di noviziato, fece la sua professione religiosa nelle mani del vescovo e divenne religiosa dell’istituto da lei fondato. Dal 1618 al 1622 fu madre superiora del monastero di Parigi che lei stessa aveva eretto. Si spense, presso il convento della Visitazione di Moulins, dopo aver pronunciato per tre volte il santo nome di Gesù. Morì il 13 dicembre 1641.
12 agosto: beato Karl Leisner, nacque a Rees (Germania) il 28 febbraio 1915. Nel 1921 la famiglia si trasferì a Kleve, dove Karl frequentò la scuola elementare e poi il ginnasio; il 22 luglio 1927 ricevette la Cresima, ma sono anche gli anni in cui s’interessa anche alla vita civile e politica. Intanto in Germania si andava affermando il regime nazista, con l’avvento al potere di Adolf Hitler e il 31 gennaio 1933 cominciarono le intolleranze e aggressioni della Gioventù Hitleriana (Hitlerjugend) contro le associazioni cattoliche e proprio in quel periodo Karl si iscrisse all’Unione Giovanile Maschile Cattolica, rischiando nell’ultimo anno di liceo, l’espulsione dalla scuola per la sua opposizione all’ideologia nazista. Il 2 luglio le autorità chiudono i locali delle organizzazioni cattoliche e ne confiscano i beni. Il giovane è individuato rapidamente per i suoi articoli sulle riviste cattoliche e schedato dalla Gestapo. Durante la Pasqua del 1933 Karl si reca a Schönstatt per un ritiro spirituale, dove comincia a prendere in esame il suo progetto di vita per la vita ecclesiastica. Il 5 maggio 1934, entra nel seminario di Münster, studia filosofia e teologia presso l’Università di Münster. Il vescovo Clemens August von Galen, lo nomina responsabile diocesano della Gioventù Cattolica, il 25 marzo 1939 riceve il diaconato dalle mani di monsignor von Galen. A maggio di quell’anno gli fu diagnosticata la tubercolosi polmonare, causata dal disagiato lavoro fatto nelle paludi; fu ricoverato nel sanatorio di Saint Blasien, le cure diedero ottimi risultati e sarebbe guarito completamente se non fosse stato arrestato e deportato in campo di concentramento. Il 15 febbraio 1940 fu trasferito nel carcere di Mannheim, ricoverato nel reparto dei tubercolotici dove assistette gli ammalati più gravi, poi il 16 marzo, Karl viene internato nel campo di concentramento di Sachsenhausen, vicino a Berlino. Dopo sette mesi, nell’ottobre 1942 arrivò per lui l’ordine di trasferimento al reparto invalidi, che era praticamente l’anticamera della camera a gas; ma per l’intervento di alcuni sacerdoti internati negli uffici, si riuscì a revocare l’ordine. Era il 6 settembre 1944, quando nel campo di Dachau giunse il vescovo di Clermont-Ferrand, monsignor Gabriel Piquet; allora il giovane diacono fece pervenire al vescovo della sua diocesi di Münster, monsignor Clement August von Galen, fiero oppositore del nazismo, la sua richiesta di essere ordinato sacerdote, cosa che il vescovo autorizzò e il 17 dicembre 1944, Karl fu ordinato sacerdote segretamente da monsignor Gabriel Piquet, nella cappella del campo. Con l’aiuto dei sacerdoti internati, il 26 dicembre 1944, il novello sacerdote poté celebrare la sua prima ed unica Messa, in una cappella del duomo di Dachau, esprimendo l’intenzione di sacrificarsi per la gioventù, per il popolo tedesco, per l’Europa cristiana. All’inizio del mese di maggio 1945, Karl viene trasportato al sanatorio di Planegg, vicino a Monaco di Baviera. Morì il 12 agosto 1945.
12 agosto: Servo di Dio Leone Giovanni Dehon (Léon Gustave Dehon), nacque a La Capelle (Francia) il 14 marzo 1843, da un’agiata famiglia di possidenti terrieri. L’ambiente famigliare in cui crebbe il piccolo Léon non era molto portato alla pratica cristiana: il padre, difatti, si professava tale soltanto di nome, senza però partecipare ai sacramenti. L’unico spiraglio di una vita cristiana gli venne dalla madre, cresciuta nella devozione al Sacro Cuore di Gesù, devozione che trasmetterà al figlio. Coltivò sin dai primi studi l’intenzione di farsi sacerdote, ma i genitori, soprattutto il padre, che sognava per lui una brillante posizione sociale, cercò subito di ostacolarlo dalla sua vocazione, inviandolo alla Sorbona di Parigi, dove, all’età di 21 anni, conseguì il dottorato in Diritto Civile. Il padre, quasi a volerlo distogliere dall’idea del sacerdozio, gli offrì un viaggio in Oriente. Il giovane Leone gode di percorrere soprattutto la terra di Gesù, ma al suo ritorno, senza cedere alle resistenze familiari, si ferma a Roma, va dal papa Pio IX e gli confida la propria vocazione e così il 25 ottobre 1865, entrò nel seminario francese di Santa Chiara a Roma. Fu ordinato sacerdote nella basilica di San Giovanni in Laterano il 19 dicembre 1868, avendo la gioia di vedere riaccostato ai sacramenti il proprio padre. Dopo la forte esperienza ecclesiale, quale stenografo al Concilio Vaticano I, Leone torna nella sua diocesi d’origine, Soissons, e in obbedienza al proprio vescovo, diviene cappellano di San Quintino. Con quattro lauree (diritto civile, canonico, filosofia e teologia) e soprattutto con una solida esperienza spirituale e ecclesiale, esprimerà tutto il suo fervore e la sua sensibilità in molteplici iniziative pastorali e sociali. Nel 1873 giunsero nella parrocchia di San Quintino un gruppo di suore francescane che presero il nome di Ancelle del Sacro Cuore, Leone ne divenne confessore e direttore spirituale; il contatto con la vita di questo convento, fu decisivo per la sua vita, vedendo ormai chiaro il suo anelito a divenire un religioso, sentendo forte attrazione per una vita dedicata al Sacro Cuore, per potergli offrire amore e riparazione per i peccati degli uomini. Pur esistendo molte Congregazioni femminili con questa spiritualità in quel periodo in Francia, non ne trovò una maschile che lo soddisfacesse, per cui chiese consiglio al suo vescovo, il quale il 13 luglio 1877 diede la sua approvazione. Il giorno dopo Leone comprò il “Collegio San Giovanni” che diventerà la culla della sua Congregazione degli Oblati del Sacro Cuore, che 7 anni dopo cambiò il nome in Sacerdoti del Sacro Cuore (dehoniani). Il 28 giugno 1878, festa del Sacro Cuore, nella cappella del collegio San Giovanni, il canonico Leone emetteva i voti religiosi come primo Oblato del Sacro Cuore e vi univa il voto di vittima d’amore e riparazione. Per questo volle chiamarsi con un nome nuovo: Giovanni del Sacro Cuore. Morì a Bruxelles il 12 agosto 1925, a 82 anni, stendendo la sua mano verso l’immagine del Sacro Cuore, con voce chiara esclamò «Per lui sono vissuto, per Lui io muoio. È Lui il mio tutto, la mia vita, la mia morte, la mia eternità».