a cura di don Riccardo Pecchia
Oggi 12 novembre la chiesa celebra san Diego d’Alcalá, nacque verso il 1400 a San Nicola del Puerto, in Andalusia (Spagna). Nulla però sappiamo della sua famiglia e dei suoi primi anni. I genitori, molto poveri, gli avevano dato al fonte battesimale il nome di Jago (Giacomo). Desideroso di solitudine e penitenza, condusse da giovanissimo, per diversi anni, vita eremita vicino al paese nativo: prega, coltiva un orto, fabbrica oggetti di uso domestico, che poi scambia con panni per vestirsi. Ma se ne va quando la gente intorno a lui diventa troppa. Entrò nell’Ordine dei Frati Minori di Arizafe, presso Córdoba, e lì egli fa il noviziato come fratello laico, senza gli Ordini, addetto ai lavori vari per la comunità. Nel 1441 lo mandano nelle Canarie, lui che non è prete, ad evangelizzare i nativi, in un ambiente ancora percorso da vecchie superstizioni. La vita missionaria durò otto anni. Diego, nel 1449, ritorna in Spagna e nel 1450 è a Roma per il Giubileo e per la canonizzazione di san Bernardino da Siena. Giunto a Roma, prese alloggio nel convento di Aracoeli, strapieno di francescani, provenienti da molte regioni, molti dei quali, stanchi e debilitati, si erano ammalati di peste e Diego si prodigò alla loro cura, unendo alle sollecitudini umane carismi divini, sia per guarire, come per provvedere il cibo necessario che scarseggiava. Dopo quattro mesi trascorsi a Roma, ritornò in Spagna, a Siviglia, dove chiese ai suoi superiori di essere mandato in un convento non disturbato dalle visite dei curiosi e forestieri, un qualche eremo in cui potesse dedicarsi del tutto alla vita penitenziale e contemplativa. Trascorse cinque anni nel quieto e solitario chiostro di Saliceto, tra privazioni e sofferenze indicibili, come a liberarsi dai vincoli del corpo. Ma i superiori lo richiamarono all’obbedienza, inviandolo, nel 1456, nel convento di Alcalà de Henares, presso Madrid. Qui il 12 novembre 1463 si concludeva l’ultimo atto della sua vita terrena.
12 novembre: san Giosafat Kuncewycz, (al secolo Giovanni Kuncewycz), nacque nel 1580 a Wlodimierz in Volynia (Ucraina), da genitori appartenenti alla nobiltà russa nonché ferventi ortodossi, Giovanni si formò a Vilnius (nell’odierna Lituania) in un periodo caratterizzato dall’intenso scontro tra ortodossi tradizionalisti e quelli di rito greco, i quali, sulla scia del Concilio di Firenze (1451-1452), si erano ricongiunti alla Chiesa cattolica riconoscendo al Papa un ruolo di preminenza sugli altri vescovi. Decidendo di aderire al credo di rito greco, nel 1604, divenne monaco con il nome di Giosafat ed entrò nel monastero, retto dall’ordine di san Basilio della Santa Trinità, sito in Vilnius, dove nel 1617 iniziò la riforma che portò alla nascita dell’Ordine Basiliano di San Giosafat. Divenuto sacerdote nel 1609, nonostante si diede alla predicazione riscuotendo un così grande successo che nel 1617 divenne dapprima Archimandrita (superiore) del suo monastero e, poco tempo dopo, fu nominato vescovo di Polatsk che si trovava in Rutenia, regione che, dalla Russia, era passata in parte sotto il dominio del Re di Polonia, Sigismondo III. La religione dei Polacchi era quella cattolica romana; in Rutenia, invece, come nel resto della Russia, i fedeli aderivano alla Chiesa scismatica Greco-ortodossa. Iniziò nella diocesi, da lui retta, una serie di riforme volte ad affermare il credo uniate (credo delle chiese cattoliche di rito orientale): restaurò completamente la cattedrale, compose un catechismo per il popolo, compì innumerevoli visite pastorali e riformò il credo. La sua predicazione fruttò numerosissime conversioni e gli valse il titolo di “rapitore di anime”. Alleandosi ai poteri civili, e approfittando di un periodo di torbidi politici in Polonia, gli scismatici penetrarono nell’abitazione del vescovo, mentre si trovava a Vitebsk, per ucciderlo a colpi di spada e di moschetto. Poi il suo cadavere nudo fu gettato nel fiume Dvina, era il 12 novembre 1623; patrono dell’Ucraina.
12 novembre: san Renato di Angers, la leggenda narra di san Maurilio, vescovo d’Angers, che chiamato ad assistere un bambino moribondo, si attardò in chiesta per una funzione e giunse alla casa del bambino, quando questi era ormai morto senza ricevere il battesimo. Sentendosi colpevole dell’aver condannato al limbo questa piccola anima il vescovo fu preso da turbamento e deciso a nascondersi lasciò la città, imbarcandosi su di una nave. In mare aperto si rese conto di aver ancora con sé la chiave del tesoro della cattedrale e dei reliquiari che gettò alle acque. Giunto in Inghilterra, s’impegnò come giardiniere reale. Intanto i fedeli lo cercarono, e un giorno, nel fegato di un grosso pesce, ritrovarono le chiavi gettate dal vescovo fuggitivo. La leggenda infiora il ritrovamento del vescovo da parte dei fedeli nelle vesti del giardiniere, convincendolo a ritornare ad Angers. Qui giunto, andò per prima cosa sulla tomba del bambino morto senza battesimo e pregò a lungo con commozione. Con meraviglia le zolle si ruppero e dalla terra si levò sorridendo il bambino come se si stesse levando dal suo lettino dopo un riposino. Fu chiamato Renato, in francese René cioè nato di nuovo, e visse accanto al vescovo, anch’egli destinato a diventar santo