a cura di don Riccardo Pecchia
Oggi 13 luglio la chiesa celebra sant’Enrico II, nacque a Bad Abbach (Germania) il 6 maggio 973, dal duca bavarese Enrico il Litigioso e Gisella di Borgogna. Enrico fu istruito dai canonici di Hildesheim e, in seguito, dal vescovo di Ratisbona, san Wolfgang. Enrico crebbe in un ambiente cristiano: il fratello Bruno rinunciò agli agi della vita di corte per divenire vescovo di Augusta, la sorella Brigida si fece monaca e l’altra Gisella andò in sposa a un santo, re Stefano d’Ungheria. Nel 1002, in seguito alla morte del cugino Ottone III, venne eletto re di Germania a Magonza. Enrico si dedicò fondamentalmente a risolvere i problemi della Germania, poiché fin dalla sua elezione gli equilibri di potere tra i vassalli si erano di nuovo spezzati, soprattutto a seguito dell’orientamento prevalentemente italiano nella politica dei suoi predecessori. Si preparò così a un giusto esercizio del potere, dapprima come duca di Baviera, e poi nel 1014 come imperatore, quando, già re di Germania e d’Italia, il 14 febbraio dello stesso anno, papa Benedetto VIII lo incoronò, dopo Ottone III. Venne tre volte in Italia, dove appunto fu incoronato. Si dice che vivesse in castità perfetta con la moglie santa Cunegonda, con la quale compì opere sante tra il popolo. Lottò poi in difesa del papato e della Chiesa; fece copiose elemosine e riattivò sedi vescovili. Animato da profondo spirito missionario costituì, nel 1007, la diocesi di Bamberga e vi fondò chiese e monasteri. In Italia fondò il vescovado di Bobbio e un monastero a Benevento. Si impegnò in particolare a portare alla fede lo stesso Stefano, re di Ungheria e futuro santo, con quasi tutto il suo regno. Molto religioso e convinto assertore delle responsabilità dell’imperatore, nei confronti della fede e della prosperità dei suoi sudditi, esercitò sulla Chiesa e sui monasteri tedeschi un forte controllo, inteso, in primo luogo, a promuovere una riforma morale dei costumi nello spirito dell’ordine cluniacense di cui aveva conosciuto sant’Odilone, abate appunto di Cluny. Fu lui a sollecitare l’introduzione del Credo nella messa domenicale. Morì a Grône il 13 luglio 1024.
13 luglio: santa Clelia Barbieri, nacque a Le Budrie di San Giovanni in Persiceto (Bologna), da un’umile famiglia di profonda fede cristiana. Si dedicò fin da piccola in particolar modo a cucire, filare e tessere la canapa. Alla prima comunione fu ammessa quando aveva solo undici anni (un’eccezione per quei tempi), con un fervore sicuramente superiore alla sua età: la sera prima si mise in ginocchio davanti alla mamma chiedendole perdono dei dispiaceri che poteva averle dato. A 14 anni Clelia entrò a far parte degli “Operai della dottrina cristiana” con i quali si adoperò per il rinnovo della catechesi alle Budrie, coinvolgendo anche altre compagne. Il gruppo fu molto solerte nell’insegnamento del catechismo ai giovani e nelle opere assistenziali ai poveri ed agli ammalati e ben presto la giovane Clelia ne assunse il ruolo di guida, tanto che nonostante i suoi 22 anni veniva chiamata “Madre”. Con il passare del tempo cominciò anche ad assistere i malati poveri a domicilio, non vergognandosi di elemosinare per aiutarne le famiglie. Un giovane benestante se ne innamorò, e la mamma desiderava che Clelia lo sposasse anche per migliorare le condizioni precarie in cui versavano, ma lei aveva già deciso di consacrarsi al Signore e rifiutò questa e altre lusinghiere proposte, intensificando la preghiera e l’adorazione eucaristica accompagnata dalla meditazione sulla Passione di Cristo. Si verificarono in lei anche degli strani fenomeni come svenimenti che duravano anche mezz’ora senza però che il volto impallidisse. In casa pensavano ad una malattia, ma in realtà si trattava di estasi. Non mancarono però momenti di grande aridità spirituale quando la giovane ebbe la sensazione di avere ingannato con il suo comportamento il parroco e le sue compagne, non provando più attrattiva per la preghiera e per i sacramenti. Passata questa crisi, sopravvenne un attacco di tubercolosi, conseguenza anche della insufficiente alimentazione a causa delle ristrettezze familiari; le fu portato il Viatico perché pareva che per lei non ci fosse più nulla da fare. Si ristabilì quasi subito e pensò di dar vita ad un “ritiro” in cui vivere insieme alle sue tre compagne; per questo si trasferì nella casa del maestro comunale che, rimasto vedovo, l’aveva lasciata libera. Ad ostacolare l’iniziativa intervenne lo zio di Clelia, medico condotto del paese, il quale pensava che il “ritiro” non fosse altro che una «concentrazione di monache» e per questo sporse denuncia alla prefettura. Ma le autorità diedero il riconoscimento al ritiro perché presentava carattere laicale e aveva fini sociali. Così il 1 maggio 1868 Clelia e le compagne entrarono nella “Casa del maestro” dando vita a una famiglia religiosa che in seguito si chiamerà “Suore Minime dell’Addolorata” per la devozione di Clelia per sant’Antonio di Paola e perché la Vergine Maria era veneratissima alle Budrie sotto questo titolo. Il gruppo crebbe presto e attorno a esso anche il numero dei poveri, dei malati, dei ragazzi e ragazze da catechizzare e istruire. Fin dai 20 anni, Clelia convisse con la tisi, malattia che la rendeva fragile e la costringeva a condurre una vita molto ritirata. La malattia esplose violenta appena due anni dopo la fondazione della congregazione. Morì il 13 luglio 1870, a 23 anni