a cura di don Riccardo Pecchia
17 settembre: san Roberto Bellarmino, nacque a Montepulciano il 4 ottobre 1542, il 20 settembre 1560, entrò a 18 anni, nella Compagnia di Gesù, compì gli studi al Collegio Romano (odierna Pontificia Università Gregoriana), poi a Padova e Lovanio. Ordinato sacerdote nel 1570, iniziò a insegnare teologia a Lovanio. Nel 1576 fu richiamato a Roma, da papa Gregorio XIII, perché insegnasse nel Collegio Romano, dove ebbe la nuova cattedra di controversie e dall’insegnamento nacquero le celebri «Disputationes de controversiis christianae fidei adversus huius temporis haereticos», un’opera contro le dottrine protestanti. Nel 1589 fece parte della legazione, guidata dal cardinal legato Enrico Caetani, che papa Sisto V aveva inviato in Francia per difendere la Chiesa cattolica nelle difficoltà scaturite dalla guerra civile tra cattolici ed ugonotti. Al ritorno a Roma, nel 1590, fu nella commissione per la revisione della Vulgata, richiesta dal Concilio di Trento per controbattere le tesi protestanti; poi fu rettore del Collegio Romano, quindi, nel 1595, a Napoli preposito in quella provincia del suo ordine. Nel 1597 papa Clemente VIII lo richiamò a Roma, dopo la morte nel settembre 1596 del suo consultore teologo pontificio, il cardinale gesuita Francisco de Toledo Herrera, nominandolo teologo della Penitenzieria, consultore del Sant’Uffizio, esaminatore per la nomina dei vescovi; due anni dopo nel concistoro del 3 marzo 1599 il papa lo fece cardinale presbitero e il 17 marzo gli consegnò la berretta rossa con il titolo di Santa Maria in Via. Nonostante questa nomina, egli non cambiò il suo austero e sobrio stile di vita, e tutte le sue rendite e gli introiti economici conseguenti alla sua nomina e alle sue attività furono devolute per i poveri. Il papa lo nominò il 18 marzo1602 arcivescovo di Capua, sede resasi proprio allora vacante. Clemente VIII stesso volle consacrarlo con le sue mani, un onore che abitualmente i papi concedono come segno di stima speciale. Durante il suo ministero episcopale a Capua si distinse per santità e dottrina. Appena arrivato in diocesi volle conoscere le famiglie più povere, che visitava e sosteneva regolarmente. Morto Clemente VIII, nel 1605, intervenne ai conclavi che elessero Leone XI e Paolo V. Trattenuto a Roma da quest’ultimo, che lo volle suo consigliere e aiuto, intervenne attivamente nelle principali questioni del tempo, come l’interdetto di Venezia (1606), la controversia anglicana (1607-09), i processi di Galileo Galilei, Giordano Bruno e Tommaso Campanella. Negli ultimi anni Bellarmino continuò il suo austero modo di vivere che aveva sempre praticato, dedicando molto del suo tempo alla preghiera e ai digiuni, nonostante la sua salute piuttosto precaria. Continuò a fare molte elemosine ai poveri, ai quali lasciò praticamente tutti i suoi averi, tanto che fu sempre molto amato dai romani; contribuì a far concedere l’approvazione pontificia alla fondazione del nuovo Ordine della Visitazione di san Francesco di Sales; si impegnò per la beatificazione di san Filippo Neri e portò a termine la stesura di un “grande catechismo” e di un “piccolo catechismo”. Egli visse ancora per assistere ad un altro conclave, quello che elesse Gregorio XV nel febbraio 1621. La sua salute stava rapidamente declinando e nell’estate dello stesso anno gli fu permesso di ritirarsi a Sant’Andrea al Quirinale, sede romana del noviziato dei gesuiti, per prepararsi al trapasso. Qui spirò il 17 settembre 1621.
17 settembre: santa Ildegarda di Bingen, nacque a Bermersheim vor der Höhe (Germania) nel 1098, all’età di 8 anni, a causa della sua cagionevole salute, era stata messa nel convento benedettino di Disibodenberg, dai nobili genitori Ildeberto e Matilda di Vendersheim, dove fu educata dalla nobile Jutta di Sponheim, maestra delle novizie nel monastero di Disibodenberg, perché ne curasse l’educazione. Ildegarda insieme con altre ragazze fu avviata alla regola benedettina e, per prima cosa, imparò a praticare il canto corale liturgico del salterio. Prese i voti tra il 1112 e il 1115 dalle mani del vescovo Ottone di Bamberga. In seguito frequentò le lezioni di magister Volmaro, uno dei monaci del monastero di Disibodenberg. Per merito del suo insegnante Ildegarda raggiunse un livello di conoscenza della Bibbia molto alto e frequentò gli scritti dei Padri della Chiesa e dei teologi a lei contemporanei. Ildegarda ci dà indicazioni circa l’inizio delle sue visioni, che sono da collocare nella sua prima infanzia, nel terzo anno vita vide una luce così forte che mi misi a tremare dalla paura. Queste visioni continuarono anche in seguito e provocarono inquietudini alla ragazza, tanto più per il fatto che, avendo indagato se la stessa esperienza fosse capitata ad altre persone, constatò che nessun altro aveva fatto esperienze analoghe. Intorno al 1136 quando aveva ormai quasi 40 anni, ricevette l’ordine di mettere per iscritto quanto aveva visto, lo fece con l’aiuto di un segretario, perché non era perfettamente padrona della lingua latina: le sue opere sono considerati pietre miliari della mistica tedesca. Morta Jutta nel 1136, Ildegarda prese le redini dell’abbazia. Trasferitasi nel monastero di Rupertsberg, da lei stessa fondato nel 1150 le cui rovine furono rimosse nel 1857 per lasciare posto a una ferrovia, si dice facesse vestire sfarzosamente le consorelle, adornandole con gioielli, per salutare con canti le festività domenicali. In quel luogo la mistica operò per altri 30 anni e, malgrado i problemi di salute, intraprese molti viaggi presso alti rappresentanti ecclesiastici e politici. Nella sua visione religiosa della creazione, l’uomo rappresentava la divinità di Dio, mentre la donna idealmente personificava l’umanità di Gesù. Nel 1165 fonderà un altro monastero, tuttora esistente e floridissimo centro religioso-culturale, dal lato opposto del Reno ad Eibingen. Morì il 17 settembre 1179 nella sua abbazia di Rupertsberg.
17 settembre: san Francesco Maria da Camporosso (al secolo Giovanni Croese), nacque a Camporosso (Imperia) il 27 dicembre 1804. Da ragazzo fu d’aiuto al padre nella cura del loro piccolo gregge e nel faticoso lavoro di contadino. In famiglia era molto sentita la devozione mariana, quando, a 10 anni, si ammalò gravemente, venne portato in pellegrinaggio al santuario della Madonna del Laghetto, presso Nizza, dove guarì. Egli ne rimase profondamente colpito e cominciò a frequentare i francescani, conoscendo un frate conventuale del paese, fra Giovanni. Lentamente maturò la sua vocazione, così che il 14 ottobre 1822 entrò come terziario, con il nome di frate Antonio, nel convento dei Frati Minori Conventuali di Sestri Ponente. Ma qui la vita, quasi più agiata che in famiglia, non soddisfaceva il giovane che aspirava all’assoluta povertà. Decise perciò di vestire l’abito dei cappuccini e, non riuscendo ad ottenere il consenso dei superiori al trasferimento, accordatosi con padre Alessandro Canepa da Genova, un cappuccino suo conoscente, nel 1824 fuggì da Sestri e venne accolto nel convento di San Francesco di Voltri, dove, ricevuto il nuovo nome di fra Francesco Maria, rimase quasi tre anni come postulante. Si distinse per il suo spirito di carità fino a dare ai poveri il proprio cibo, tenendo per sé gli avanzi che trovava. Fin da piccolo era abituato e si racconta che durante un viaggio a Mentone, dove suo padre cercava di avviare qualche attività commerciale, aveva regalato a un suo coetaneo cencioso il vestitino nuovo appena acquistato, con grande collera del genitore che gli aveva dato un sonoro schiaffo, al quale Giovanni aveva risposto porgendo l’altra guancia, meritandosi dal padre un abbraccio di ammirazione. Nel 1825 fra Francesco Maria, con l’autorizzazione del provinciale Antonio da Cipressa, partiva per il convento di San Barnaba in Genova per trascorrervi l’anno di noviziato e il 17 dicembre compì la vestizione; esattamente un anno dopo emise la professione religiosa. Aveva 22 anni, quando i superiori lo destinarono al convento della Santissima Concezione in Genova, dove rimase fino alla morte. Il nuovo arrivato venne impiegato come infermiere, cuoco, ortolano, sacrestano. Furono quasi cinque anni senza particolarità, ma la sua carità andò affinandosi, tanto che nel 1831 il vecchio questuante, fra Pio da Pontedecimo, non potendone più, venne affiancato da fra Francesco Maria. Fu un apprendistato prezioso che gli insegnò un suo stile di vita e un suo metodo nei rapporti con il pubblico, fatto di parole di fede, di pazienza, di carità, umiltà. Egli ascoltava tutti, piccoli e grandi, potevano affidare con fiducia le proprie ansie quotidiane. Il Signore lo arricchiva di carismi quando rispondeva alle domande non ancora espresse o parlava di cose lontane e future. La lampada della sua pietà si colmava con la penitenza, estremamente rigido con se stesso, dormendo su nude assi o usando solo abiti rattoppati, sempre a piedi nudi, nutrendosi per anni una sola volta al giorno e facendo uso costante del cilicio e del flagello. Negli ultimi anni di vita inasprì ulteriormente le mortificazioni che si infliggeva e proseguì nel suo impegno, nonostante una grave infermità che lo aveva colpito alle gambe. Nel 1866 quando la città di Genova fu colpita da un’epidemia di colera, Francesco Maria, impossibilitato a soccorrere i malati per le sue precarie condizioni di salute, offrì la sua vita per la sconfitta del morbo. Morì, dopo tre giorni di malattia, il 17 settembre 1866.