Oggi 2 maggio la chiesa celebra sant’Antonino Pierozzi, nacque a Firenze nel 1389, rimasto orfano di madre a 6 anni, fu affidato all’educazione severa del padre e alla formazione culturale e spirituale del frate domenicano Giovanni Dominici (beato), discepolo di santa Caterina da Siena e promotore di una profonda riforma della Chiesa e dell’ordine domenicano. Non ancora sedicenne, entrò nell’ordine dei domenicani, vestì l’abito in Santa Maria Novella a Firenze e, dopo la preparazione filosofica e teologica, fu ordinato sacerdote nel 1413. Sin da giovane ricevette numerosi incarichi di responsabilità, priore dei conventi domenicani San Pietro Martire a Napoli, quello sopra Minerva a Roma, Gaeta e Siena, mentre il 28 maggio 1437 il generale dell’ordine, Bartolomeo Texier, lo nominò vicario dell’Osservanza per tutta l’Italia. Nel 1439, grazie alla munificenza di Cosimo de’ Medici, Antonino è eletto priore a Firenze del nuovo convento di San Marco. Durante questa carica papa Eugenio IV lo nominò e consacrò arcivescovo di Firenze il 12 marzo 1446. Accettò l’incarico seppur con riluttanza, provò anche a fuggire, ma venne bloccato a Fiesole, e svolse il suo compito contraddistinguendosi per magnanimità, carità e profonda dottrina. Cominciava così un periodo diverso della sua vita, quello del pastore tutto dedito al suo gregge, sia dal punto di vista materiale, con l’assistenza ai poveri, che spirituale, con la riorganizzazione delle parrocchie, il ripristino degli ideali evangelici nel clero, l’istruzione dei fedeli. Le sue quaresime erano improntate al tentativo di scuotere il clero e suscitare il riconoscimento dei propri peccati in vista di una salutare penitenza. Morì il 2 maggio 1459, presso Montughi, un colle abitato appena fuori Firenze; patrono di Firenze.
2 maggio: sant’Atanasio di Alessandria detto il Grande, nacque ad Alessandria d’Egitto (Egitto), il 295 circa, pochi anni prima dell’ultima grande persecuzione contro i cristiani scatenata dall’imperatore Diocleziano. Profondamente legato all’Egitto si formò nell’ambiente alessandrino, dove esisteva una rinomata scuola cristiana, e iniziò la carriera ecclesiastica come segretario del vescovo Alessandro. Ricevette una buona educazione prima di divenire diacono e segretario del vescovo, sant’Alessandro di Alessandria. Stretto collaboratore del suo vescovo, il giovane ecclesiastico prese parte con lui al Concilio di Nicea, il primo a carattere ecumenico, convocato dall’imperatore Costantino nel maggio del 325 d.C. per assicurare l’unità della Chiesa. I Padri niceni poterono così affrontare varie questioni, e principalmente il grave problema originato qualche anno prima dalla predicazione del presbitero alessandrino Ario, circa la natura di Cristo. Il concilio elaborò un “simbolo”, cioè una definizione dogmatica relativa alla fede in Dio, nel quale compare, attribuito al Cristo, il termine ὁμοούσιοςhomooùsios (consustanziale al Padre, letteralmente “della stessa sostanza”), che costituisce, tuttora, la base dogmatica del Cristianesimo storico. Il “simbolo niceno” si poneva in netta antitesi con il pensiero di Ario, che predicava invece la creazione del Figlio ad opera del Padre e quindi negava la divinità del Cristo. Atanasio fu per tutta la vita testimone e strenuo difensore dei principi stabiliti dal concilio. Morto il vescovo Alessandro, Atanasio divenne, nel 328, suo successore come vescovo di Alessandria, e subito si dimostrò deciso a respingere ogni compromesso nei confronti delle teorie ariane condannate dal Concilio niceno. La sua intransigenza, tenace e a volte molto dura, anche se necessaria, contro quanti si erano opposti alla sua elezione episcopale e soprattutto contro gli avversari del Simbolo niceno, gli attirò l’implacabile ostilità degli ariani e dei filoariani. Nonostante l’inequivocabile esito del Concilio, che aveva con chiarezza affermato che il Figlio è della stessa sostanza del Padre, poco dopo queste idee sbagliate tornarono a prevalere, in questa situazione persino Ario fu riabilitato, e vennero sostenute per motivi politici dallo stesso imperatore Costantino e poi da suo figlio Costanzo II. La crisi ariana, che si credeva risolta a Nicea, continuò così per decenni, con vicende difficili e divisioni dolorose nella Chiesa. E per ben cinque volte, durante un trentennio, tra il 336 e il 366, Atanasio fu costretto ad abbandonare la sua città, passando 17 anni in esilio e soffrendo per la fede. Ma durante le sue forzate assenze da Alessandria, il vescovo ebbe modo di sostenere e diffondere in Occidente, prima a Treviri e poi a Roma, la fede nicena e anche gli ideali del monachesimo, abbracciati in Egitto dal grande eremita sant’Antonio abate con una scelta di vita alla quale Atanasio fu sempre vicino, tra l’atro fu anche l’autore della celebre Vita di Antonio. Atanasio poté rientrare dall’esilio solo in seguito all’editto di tolleranza nei confronti di tutte le fedi e confessioni religiose, del 361, dell’imperatore Flavio Claudio Giuliano, detto l’Apostata. Reinsediato nella sua sede, Atanasio poté convocare, nel 362, ad Alessandria un concilio d’Oriente che pose fine a tutte le dispute dogmatiche, rifacendosi interamente ai decreti del Concilio di Nicea e alla riorganizzazione delle comunità cristiane. Morì il 2 maggio 373.