a cura di don Riccardo Pecchia
Oggi 20 luglio la chiesa festeggia sant’Elia profeta, nacque a Thesbe nel IX sec. a.C., proveniente dalla tribù di Beniamino. Svolse gran parte della sua missione profetica sotto il regno Acab, docile strumento nelle mani dell’intrigante moglie Jezabel, di origine fenicia, che aveva dapprima favorito e poi imposto il culto del dio Baal. Quando la maggioranza del popolo aveva abbracciato l’idolatria, Elia si presentò dinanzi al re Acab ad annunciargli, come castigo, tre anni di siccità. Abbattutosi il flagello sulla Palestina, Elia ritornò dal re e per dimostrare la inutilità degli idoli lanciò la sfida sul Monte Carmelo contro i 400 profeti di Baal. Quando sul solo altare innalzato da Elia si accese prodigiosamente la fiamma, e l’acqua invocata scese a porre fine alla siccità, il popolo esultante uccise i sacerdoti idolatri. Elia credette giunto il momento del trionfo di Javhè, e perciò tanto più amara e incomprensibile gli apparve la necessità di sottrarsi con la fuga all’ira della furente regina Jezabel. Inseguito nel deserto come un animale da preda, l’energico e intransigente profeta sembrò avere un attimo di cedimento allo sconforto. Il suo lavoro, la sua stessa vita gli apparvero inutili e pregò Dio di tagliare il filo che lo teneva ancora legato alla terra, ma un angelo lo confortò, porgendogli una focaccia e una brocca d’acqua; poi Dio stesso gli apparve, restituendogli l’indomito coraggio di un tempo. Elia comprese che Dio non propizia il trionfo del bene con gesti spettacolari, ma agisce con fiduciosa pazienza, poiché egli è l’Eterno e domina il tempo. Il fiero profeta, che indossava un mantello di pelle sopra un rozzo grembiule stretto ai fianchi, tornò con rinnovato zelo in mezzo al popolo di Dio, ma non assistette al pieno trionfo di Jahvè. L’opera di riedificazione spirituale, tanto faticosamente iniziata, venne portata avanti con pieno successo dal suo discepolo Eliseo, al quale comunicò la divina chiamata mentre si trovava nei campi dietro l’aratro, gettandogli sulle spalle il suo mantello. Eliseo fu anche l’unico testimone della misteriosa fine di Elia avvenuta su un carro di fuoco. Morì misteriosamente sul Monte Carmelo nell’850 a.C. circa.
20 luglio: sant’Apollinare di Ravenna, nacque ad Antiochia di Siria (Turchia) nel I secolo, è considerato il primo vescovo di Ravenna e fu ordinato vescovo da san Pietro apostolo, di cui era ritenuto discepolo, questi lo avrebbe destinato a ricoprire per primo la carica episcopale nella città imperiale di Ravenna. La Passio Sancti Apollinaris, un testo che la critica data tra il VI ed il VII secolo, è un documento agiografico, scritto dall’arcivescovo Mauro, che permette di ricostruire la vita, il culto e l’iconografia del protovescovo ravennate. Apollinare era un giovinetto che viveva ad Antiochia nei tempi in cui l’apostolo Pietro andava per il mondo predicando il Vangelo. San Pietro dovette notare questo ragazzino ammodo, educato, che sembrava pendere dalle sue labbra, e lo prese sotto la sua ala protettiva. Lo istruì con particolare cura fino a convincersi che fosse indicato per diventare a sua volta uno dei ministri di Cristo. Apollinare ne era ben lieto e comunicò la sua volontà di battezzarsi, diventare un cristiano, e di più, di diventare un sacerdote, ai suoi genitori, che erano pagani Ciononostante essi non si opposero, anzi, si avvicinarono a loro volta alla fede del figlio e si convertirono anche loro. Apollinare decise così di partire per Roma insieme a Pietro. In questo luogo che sarebbe diventato la culla della cristianità egli approfondì la sua formazione e iniziò il suo percorso sulla via del sacerdozio, fino ad essere insignito di una delle più alte onorificenze della gerarchia cattolica. Apollinare divenne infatti vescovo, e non solo, divenne il primo vescovo della città di Ravenna. A quei tempi essere un vescovo non comportava alcun privilegio, ma significava doversi scontrare con coloro che ancora osteggiavano la religione cristiana, nel tentativo di convertirne i cuori. In quest’opera Apollinare fu infaticabile: di lui si raccontano molti gesti di carità, e anche molti miracoli. Ad esempio, si dice che guarì la moglie di un tribuno, convertendo lei, il marito, e tutta la famiglia e impartendo loro il battesimo. La voce della sua fama si sparse e giunse fino alle autorità civili di Ravenna, che convocarono il vescovo e gli imposero di abiurare la sua fede, sacrificando davanti all’altare di Giove. Apollinare si rifiutò, obiettando che l’oro e l’argento che veniva dato agli dei meglio sarebbe stato usato meglio se destinato ai poveri. Per questo suo rifiuto venne massacrato di botte in strada, e fu salvato solo dalla bontà di alcuni cristiani che lo raccolsero e lo curarono. La brutta esperienza non scalfì neppure un poco la sua salda fede. Apollinare continuò a condurre il suo gregge di fedeli con fermezza e determinazione, operando altri miracoli che andavano a glorificare Dio. La sua dimora divenne Classe, un piccolo centro vicino Ravenna. Lo zelo del vescovo gli costò nuove sofferenze, e stavolta non riuscì a sopravvivere: brutalmente picchiato, in modo così barbaro che per le piaghe riportate versò il suo sangue, morendo dopo sette giorni per le ferite ricevute. Morì a Classe (Ravenna) il 23 luglio 74 d.C.; patrono di Ravenna e di tutta l’Emilia Romagna, ed è protettore di coloro che soffrono di gotta e di epilessia.
20 luglio: santa Margherita d’Antiochia, nacque ad Antiochia di Pisidia (odierna Turchia) nel 275. Figlia di Edesimo, un sacerdote pagano, ma non abbiamo nessuna notizia della madre: si sa solo che rimasta orfana alla nascita fu affidata dal padre ad una nutrice cristiana che abitava nella campagna vicina e che, all’insaputa del padre, educò la bambina ai principi evangelici. All’età di 15 anni, Margherita, tornò alla casa paterna, dove provò subito disagio. Il padre, mal sopportando gli insegnamenti cristiani della figlia, la cacciò di casa, sicché, la giovane, fece ritorno dalla nutrice, che l’adottò e le affidò la cura del suo gregge. Un giorno mentre conduceva le pecore a pascolare fu notata dal nuovo prefetto della provincia Olibrio, in viaggio verso Antiochia, appena la vide rimase colpito dalla sua bellezza e tentò di sedurla. Dunque, ordinò ai suoi servitori che fosse condotta al suo cospetto. L’alto funzionario romano non riuscì a convincere Margherita a sposarlo, perché la ragazza dichiarò di aver dedicato la sua verginità a Cristo. Alle promesse più allettanti, fecero seguito, dinanzi alle ostinazioni indomabili della giovane, le minacce più terribili. Olibrio, tentò invano di persuadere Margherita ad abbandonare la sua fede e a sposarlo. Di fronte al rifiuto della fanciulla, il prefetto, si vide costretto ad applicare le leggi romane contro i cristiani, che prevedevano in prima istanza, la flagellazione e la carcerazione. Subìta la tortura in cella, Marina fu sottoposta ad un nuovo interrogatorio ma, anche in questa occasione, non accettò di adorare le divinità pagane e tanto meno, le lusinghe del prefetto. Olibrio la fece sottoporre ad una serie di tormenti. Margherita fu gettata in prigione dove il demonio unì i suoi assalti all’accanimento dei carnefici, che le apparve sotto forma di un orribile drago, circondato da serpenti, minacciando di divorarla, ma Margherita, armata della croce, gli squarciò il ventre e si liberò dall’abominevole aggressore, per questo motivo viene invocata per ottenere un parto facile. Dopo un breve periodo di carcere, Margherita è sottoposta ad un nuovo interrogatorio davanti a tutta la cittadinanza, anche in quest’occasione, essa non esitò a proclamare a tutti la sua fede e l’aver dedicato a Cristo la sua verginità, ancora una volta viene invitata ad adorare ed offrire incenso agli dei pagani, ma lei si rifiutò, dopo aver resistito miracolosamente a vari tormenti, fu quindi decapitata. Morì il 20 luglio 290, a 15 anni; patrona delle partorienti in caso di parto difficile