a cura di don Riccardo Pecchia
Oggi 21 dicembre la chiesa celebra san Michea profeta, il suo nome significa: “Chi è come il Signore?”. È un profeta che vive e opera nel secolo VIII a.C., ed è originario di un villaggio chiamato Moreset-Gat, a circa 35 chilometri da Gerusalemme. Michea assiste a due avvenimenti decisivi per la storia biblica: la distruzione di Samaria da parte degli eserciti assiri, nel 721 a.C., e l’invasione di Gerusalemme da parte del re assiro Sennacherib, nel 701 a.C. Anche per il profeta Michea, come per gli altri profeti biblici, questi avvenimenti vanno compresi alla luce delle infedeltà del popolo di Israele. Più che per la forza degli eserciti invasori, Samaria e Gerusalemme cadono o sono assediate per i molti peccati dei loro abitanti. Questa riflessione è importante e attuale anche per noi oggi: il male più profondo che ha il potere di distruggerci definitivamente è il peccato. È il vero ostacolo all’amicizia tra noi e il nostro Dio. È il peccato, più che le catastrofi naturali o le malattie o le sofferenze, a deformare e a distruggere la bellezza dell’immagine e della somiglianza con Dio che è in noi. Accanto ai peccati del popolo, il profeta Michea richiama pure le gravi responsabilità dei capi, dei sacerdoti e dei profeti. Essi, anziché esercitare il ruolo di guide esemplari, ricercano il proprio interesse e sfruttano la loro posizione per arricchire e accumulare denaro. Si trasformano, così, da difensori in oppressori dei poveri «perché in mano loro è il potere, sono avidi di campi e li usurpano, di case e se le prendono; e così opprimono l’uomo e la sua casa» (2,1-2). Ma, dopo la condanna del male che domina il popolo e le sue città, anche il messaggio di Michea si apre alla speranza e alle promesse messianiche. I profeti, infatti, sono portatori di un annuncio di salvezza, che culmina nella venuta del Messia, il Salvatore definitivo. Questo messaggio è presente nei capitoli 4, 5 e 7. Soprattutto emerge, all’orizzonte di Michea, la figura del Messia Gesù. Ciò che le guide di questo popolo avevano trascurato di fare, troverà piena attuazione in Gesù. Egli sarà il buon Pastore, si prenderà cura del suo popolo e in tutto ricercherà la volontà del Padre e l’obbedienza a lui. Betlemme, “casa del pane” e casa del Messia, sarà anche casa del povero, dell’orfano, della vedova e di ogni altra persona che si sente abbandonata, sola, emarginata, sfruttata e non amata.
21 dicembre: san Pietro Canisio (Pieter Kanijs), nacque a Nimega (Olanda) l’8 maggio 1521, dopo la laurea in giurisprudenza fu avviato alla professione forense, fu brillane oratore e soprattutto buon cattolico, in un’epoca di guerre di religione, tra Riforma e Controriforma. Entrò, a 22 anni, nella Compagnia di Gesù, è il primo tedesco, l’8 maggio 1543 a Magonza (Germana), dopo aver seguito un corso di esercizi spirituali sotto la guida del beato Pierre Favre, uno dei primi compagni di sant’Ignazio di Loyola. Ordinato sacerdote nel giugno 1546 a Colonia, già l’anno seguente, come teologo del vescovo di Augusta, il cardinale Otto Truchsess von Waldburg, fu presente al Concilio di Trento. Nel 1548, sant’Ignazio gli fece completare a Roma la formazione spirituale e lo inviò poi nel Collegio di Messina a esercitarsi in umili servizi domestici. Conseguito a Bologna il dottorato in teologia il 4 ottobre 1549, fu destinato da sant’Ignazio all’apostolato in Germania. Il 2 settembre 1549, fece visita a papa Paolo III a Castel Gandolfo e poi si recò nella Basilica di San Pietro per pregare. Qui implorò l’aiuto dei grandi Santi Apostoli Pietro e Paolo per la sua nuova missione. Seguendo la missione ricevuta da Ignazio, Pietro partì per la Germania, che per parecchi anni fu il luogo del suo ministero. Come decano, rettore e vicecancelliere dell’Università di Ingolstadt, curò la vita accademica dell’Istituto e la riforma religiosa e morale del popolo. A Vienna, dove per breve tempo fu amministratore della Diocesi, svolse il ministero pastorale negli ospedali e nelle carceri, sia nella città sia nelle campagne. Nel 1556 fondò il Collegio di Praga e, fino al 1569, fu il primo superiore della provincia gesuita della Germania superiore. In questo ufficio, stabilì nei Paesi germanici una fitta rete di comunità del suo Ordine, specialmente di Collegi, che furono punti di partenza per la riforma cattolica, per il rinnovamento della fede cattolica. La caratteristica della spiritualità di Pietro è una profonda amicizia personale con Gesù. Questa sua amicizia con Gesù, che è il centro della sua personalità, nutrita dall’amore della Bibbia, dall’amore del Sacramento, dall’amore dei Padri, questa amicizia era chiaramente unita con la consapevolezza di essere nella Chiesa un continuatore della missione degli Apostoli. Nel 1580 si ritirò a Friburgo (Svizzera), tutto dedito alla predicazione e alla composizione delle sue opere. Morì il 21 dicembre 1597; patrono della Germania.