Oggi 3 giugno la chiesa festeggia san Giovanni XXIII (Angelo Giuseppe Roncalli), 261º vescovo di Roma e papa della Chiesa; nacque a Sotto il Monte (Bergamo) il 25 novembre 1881, da una famiglia di umili origini. Manifestò fin dalla fanciullezza una seria inclinazione alla vita ecclesiastica, frequentò il collegio di Celana. Il 7 novembre 1892 fece il suo ingresso nel seminario minore di Bergamo, dove fu ammesso alla terza classe ginnasiale. Ottenne una borsa di studio e si trasferì al seminario dell’Apollinare di Roma, l’attuale Pontificio Seminario Romano Maggiore, dove completò gli studi e fu ordinato sacerdote il 10 agosto 1904. Dopo un breve soggiorno nel paese natale, nell’ottobre iniziò a Roma gli studi di diritto canonico, interrotti nel febbraio del 1905, quando fu scelto quale segretario personale dal nuovo vescovo di Bergamo Giacomo Radini Tedeschi, dove si mostrò per la dedizione, la discrezione e la sua efficienza. Furono circa dieci anni di intenso impegno accanto ad un vescovo autorevole, dinamico e ricco di iniziative che contribuirono a fare della diocesi bergamasca un modello per la Chiesa italiana. Oltre al compito di segretario, svolse altri numerosi incarichi. Dal 1906 ebbe l’impegno dell’insegnamento in seminario: storia ecclesiastica, patrologia e apologetica. Lo studio della storia gli consentì la pubblicazione degli Atti della Visita Apostolica di san Carlo Borromeo a Bergamo, avvenuta ne 1575, una fatica durata decenni e portata a termine alla vigilia dell’elezione al Pontificato. Nel 1921 papa Benedetto XV lo nominò prelato domestico (che gli valeva l’appellativo di monsignore) e presidente del Consiglio Nazionale Italiano dell’Opera della Propagazione della Fede. Nel 1925 papa Pio XI lo nominò Visitatore Apostolico in Bulgaria, elevandolo alla dignità episcopale, con titolo arcivescovile di Areopoli, dove Angelo Giuseppe scelse come motto episcopale Oboedientia et pax. Dopo l’ordinazione episcopale avvenuta a Roma il 19 marzo 1925, partì per la Bulgaria con il compito soprattutto di provvedere ai gravi bisogni della piccola e disastrata comunità cattolica. L’incarico inizialmente a termine si trasformò in una permanenza decennale, durante la quale Angelo Giuseppe pose le basi per la fondazione di una Delegazione Apostolica. Il 27 novembre 1934 fu nominato Delegato Apostolico in Turchia ed in Grecia, paesi anche questi senza relazioni diplomatiche con il Vaticano. Durante la Seconda Guerra Mondiale conservò un prudenziale atteggiamento di neutralità, che gli permise di svolgere un’efficace azione di assistenza a favore degli Ebrei, salvati a migliaia dallo sterminio, e a favore della popolazione greca, stremata dalla fame. Inaspettatamente, Pio XII, lo nominò Nunzio Apostolico a Parigi, dove giunse il 30 dicembre 1944. Coerentemente al suo stile di obbedienza, accettò prontamente la proposta di trasferimento alla sede di Venezia dove giunse il 5 marzo 1953, fresco della nomina cardinalizia decisa nell’ultimo Concistoro di Pio XII. Il suo episcopato si caratterizzò per lo scrupoloso impegno con cui adempì i principali doveri del vescovo, la visita pastorale e la celebrazione del Sinodo diocesano. A Venezia poté finalmente esercitare quel lavoro pastorale immediato, a stretto contatto con i sacerdoti e il popolo che aveva sempre desiderato fin dal giorno della sua ordinazione sacerdotale. Alla sua partenza per il Conclave del 1958, per la morte di Pio XII, una grande folla l’accompagnò alla stazione facendogli a gran voce gli auguri di buon viaggio e di buon lavoro. Il 28 ottobre 1958, con grande sorpresa della maggior parte dei fedeli, Giuseppe Angelo fu eletto papa, con il nome pontificale di Giovanni XXIII. Indisse il Concilio Vaticano II, non portandolo a termine per la comparsa di un tumore dello stomaco che lo affliggeva da tempo. Morì il 3 giugno 1963.
3 giugno: santi Carlo Lwanga e 12 compagni martiri dell’Uganda, nacque a Bulimu (Uganda) nel 1865, apparteneva al clan Ngabi, fu convertito al cattolicesimo dai Padri Bianchi fondati dal cardinale Charles Martial Allemand Lavigerie. Carlo Lwanga che, insieme ad altri suoi 12 compagni, fanno parte del gruppo dei Santi Martiri Ugandesi. Alla fine dell’800 c’erano zone dove i cristiani ancora non erano visti di buon occhio, una di queste si trovava alle sorgenti del fiume Nilo, in Uganda. In questa zona si trovava la tribù Buganda, la quale aveva origini Etiopi di razza Bantù e si pensava fosse stata evangelizzata del tutto da san Matteo, ma all’interno della tribù persistevano stregoni e curatori che portavano avanti le antiche religioni degli antenati che adoravano il dio Katonda. All’epoca, il re era Mwanga, che pur avendo frequentato la scuola fondata dai missionari cattolici, non aveva imparato né a leggere né a scrivere, perché era violento, incapace di concentrarsi e potenzialmente insano di mente. Questo re, per i suoi comportamenti, fece dubitare più volte delle sue facoltà mentali e oltre a questo prese brutte abitudini restando a contatto con i mercanti del nord, che lo introdussero alle pratiche dell’omosessualità, all’ubriachezza e al fumare le droghe. In questo periodo storico viveva Carlo Lwanga e altri missionari che cercarono di dissuadere il re che voleva scagliassi contro le religioni che non fossero quelle pagane. Vedeva nel cristianesimo una forte minaccia per la cultura e le tradizioni antiche. Tutto questo rancore verso i cristiani esplose quando il re fece uccidere il vescovo anglicano James Hannington. Carlo Lwanga successe quindi come prefetto della sala reale a Giuseppe Mkasa Balikuddembè, ucciso anche lui per aver rimproverato il re dell’assassinio del vescovo anglicano e per aver difeso i paggi dalle continue attenzioni del sovrano. Carlo però, cristiano anche lui, diventa ben presto la nuova valvola di sfogo per Mwanga, un pò perché comincia ad essere oggetto di desiderio del re, un pò perché persiste e cerca di rafforzare la sua opera di evangelizzazione. Il sovrano a questo punto decide per la completa eliminazione fisica dei cattolici dall’Uganda e comincia una persecuzione atroce nei confronti delle persone di fede cristiana: in poco tempo vengono uccise nelle maniere più atroci più di 200 persone e il 26 maggio 1886 Carlo Lwanga assieme ad altre 12 persone viene condannato a morte. Dopo essere stato rinchiuso per giorni ed aver nonostante la prigionia convertito e battezzato in prigionia parecchie persone, Carlo viene portato sulla collina Namugongo e viene arso vivo assieme ad un’altra trentina di cristiani, che non emisero un gemito e continuarono a pregare fino all’ultimo secondo di vita. Questo ultimo crimine, porterà alla conversione di molte altre persone, fino alla completa evangelizzazione della tribù che si oppose fermamente al re per accogliere la fede cristiana. Morì il 3 giugno 1886.