a cura di don Riccardo Pecchia
Oggi 4 luglio la chiesa festeggia sant’Elisabetta del Portogallo,nacque a Saragozza (Spagna) il 4 gennaio 1271, da una regale famiglia spagnola. Le fu imposto il nome della sua prozia, santa Elisabetta d’Ungheria. Isabella andò in sposa, a solo 12 anni, al re Dionigi, figlio del re del Portogallo, il 2 febbraio 1282, a Barcellona, per procura e il 24 giugno, in persona, a Trancoso. Isabella sopportò con cristiana pazienza il difficile carattere del marito, le sue prepotenze e le sue infedeltà. Ebbero due figli: la principessa Costanza ed il figlio Alfonso. Suo marito condusse una vita dissoluta e mise al mondo molti figli illegittimi, Elisabetta si occupò anche di loro e provvide alla loro istruzione. Dionigi era, comunque, un abile governante e il suo regno fu successivamente descritto come un’età d’oro. Quando Alfonso impugnò le armi contro il padre, a causa dei favori del re verso un suo figlio illegittimo, Alfonso Sanchez, Elisabetta si guadagnò la reputazione di pacificatrice, tentando di porre termine a queste dispute, chiedendo aiuto anche a Ferdinando IV di Castiglia, che aveva sposato sua figlia Costanza, oltre che a vari altri principi. Dionigi la bandì dalla corte, confinandola nella cittadina di Alenquer, pensando che appoggiasse suo figlio, e in questo periodo d’esilio Elisabetta visse osservando una regola severa, stabilendo momenti da dedicare alla preghiera e facendo elemosina. Intensificò la sua devozione e si fece conoscere per la carità verso i malati e i poveri, oltre che per l’assistenza dei pellegrini; offrì doti per il matrimonio di ragazze povere e istituì ricoveri per prostitute pentite. Alla fine si riconciliò con il marito, che la ricompensò per aver portato la pace tra lui e il figlio, che si era ribellato una seconda volta nel 1323 e aveva assediato Lisbona. Il marito la richiamò vicino a se, ha bisogno di lei e del suo consiglio; Elisabetta torna e riprende il suo posto accanto al re. E quando una malattia mortale lo colpisce, assiste quest’ultimo fino alla morte; l’affettuosa dedizione della moglie pare ne favorì la conversione in extremis al cattolicesimo. Elisabetta, poi decise di dedicare il resto della propria vita a opere di bontà e donò ai poveri quasi tutte le sue ricchezze. Vestita da terziaria francescana, si recò in pellegrinaggio a piedi nudi al Santuario di San Giacomo di Compostella, dove donò la corona, e in seguito decise di entrare in un convento di Clarisse, che aveva fondato a Coimbra. Non prese i voti, ma visse semplicemente in una casa attigua al convento. Uscì da questo, una sola volta, nell’inutile missione di riconciliazione per pacificare i dissidi tra suo figlio, diventato re, Alfonso IV e il di lei genero, Ferdinando di Castiglia. Elisabetta ha ormai 65 anni, il suo fisico è indebolito dalle dure penitenze, e in piena estate il viaggio è troppo faticoso per lei. Incontra il figlio e la nuora, fa sosta nella cittadina di Estremoz, ma non riesce ad andare più avanti: la stanchezza e le febbri troncano rapidamente la sua vita. Morì il 4 luglio 1336.
4 luglio: beato Pier Giorgio Frassati, nacque a Torino il 6 aprile 1901, da una delle famiglie più in vista dell’alta borghesia torinese. Come era usanza nelle famiglie signorili di un tempo, la prima istruzione venne impartita privatamente, in casa. Poi frequentò le scuole statali, ma Pier Giorgio non dimostrava molto entusiasmo per lo studio e subì una bocciatura. Venne poi iscritto dai genitori all’Istituto Sociale di Torino, un ginnasio-liceo retto dai padri della Compagnia di Gesù, dove si avvicinò anche alla spiritualità cristiana. Pier Giorgio conseguì la maturità classica nell’ottobre 1918. Il mese successivo si iscrisse alla facoltà di Ingegneria meccanica (specializzazione in mineraria) presso il Regio Politecnico di Torino. Motivò questa scelta universitaria con l’intenzione di poter lavorare al fianco dei minatori, per aiutarli a migliorare le loro condizioni di lavoro. All’Università ebbe inizio un periodo di intensa attività all’interno di numerose associazioni di stampo cattolico: Gioventù Italiana di Azione Cattolica, la Fuci e il Circolo “Cesare Balbo”, affluente alla Fuci stessa, a cui si iscrisse nel 1919. Inoltre aderì anche alla Società San Vincenzo De Paoli del “Cesare Balbo”, profondendo un impareggiabile impegno in favore dei poveri e dei più bisognosi. Pier Giorgio era un ragazzo solare, sempre allegro e ricco di energie. Praticò numerosi sport, ma furono soprattutto le escursioni in montagna a costituire la sua più grande passione, fu questa passione per la montagna che gli fece conoscere Laura Hidalgo, una ragazza orfana e di modeste origini sociali, Pier Giorgio se ne innamorò, anche se non le confessò mai il proprio sentimento, «per non turbarla», come scrisse ad un amico. La ragione per cui non le dichiarò il suo amore fu l’opposizione della famiglia di lui, che non avrebbe mai accettato per l’erede dei Frassati una consorte che non fosse altolocata e di prestigiosa provenienza sociale. Rinunciò a questo amore per non suscitare pesanti discussioni in casa e non incrinare ulteriormente il rapporto tra padre e madre, che già in quel momento versava in gravi difficoltà. Nonostante le ricchezze della famiglia venissero elargite ai figli con grande parsimonia, Pier Giorgio era spesso al verde perché il più delle volte i pochi soldi di cui disponeva venivano da lui donati ai poveri e ai bisognosi che incontrava o a cui faceva visita. Non di rado gli amici lo vedevano tornare a casa a piedi perché aveva dato a qualche povero i soldi che avrebbe dovuto utilizzare per il tram. Come già accennato, fece parte della Conferenza di San Vincenzo, aiutando tantissime persone che spesso non avevano di che vivere. In famiglia nessuno sapeva alcunché delle sue opere caritative; inoltre non compresero mai appieno chi fosse veramente Pier Giorgio, questo figlio così diverso dal modello alto-borghese di famiglia, sempre pronto ad andare in chiesa e mai a prendere parte alla vita mondana del suo stesso ceto. È visitando i poveri nelle loro abitazioni che Pier Giorgio contrasse una poliomielite fulminante che lo portò alla morte in meno di una settimana. La mattina del 30 giugno 1925, Pier Giorgio accusò una strana emicrania e anche un’insolita inappetenza. Nessuno però diede molto peso al suo malessere, pensando a comuni sintomi influenzali. Inoltre, in quegli stessi giorni, tutta l’attenzione dei familiari era rivolta all’anziana nonna materna, Linda Ametis, che morì il 1 luglio. La notte prima della morte della nonna, non potendo prendere sonno per l’assillante dolore, Pier Giorgio tentò di alzarsi per camminare un pò, ma cadde più volte in corridoio e si rialzò sempre da solo e senza che nessuno, a parte i domestici, se ne accorgesse. I genitori compresero la gravità delle condizioni del figlio proprio il giorno della morte della nonna, quando egli non riuscì più ad alzarsi dal letto per partecipare alla celebrazione delle esequie. Pier Giorgio stava morendo senza che nessuno se ne rendesse conto e quando il medico accertò le condizioni disperate in cui versava, era ormai troppo tardi per qualsiasi rimedio. Morì il 4 luglio 1925; patrono dei giovani di Azione Cattolica.
4 luglio: beato Gaspare de Bono , nacque a Valencia (Spagna) il 5 gennaio 1530, da una poverissima famiglia di origini francesi, dai piissimi genitori e ricevette una profonda educazione religiosa. Nel 1549, a 20 anni si arruolò nell’esercito dell’imperatore Carlo V, combattendo in Italia, dove prestò servizio per 10 anni nella cavalleria conducendo una vita onesta: un giorno, mentre combatteva in Lombardia, precipitò da cavallo, cadde in un fosso, e fu ferito alla fronte da un colpo di alabarda dai nemici. In quel frangente, si rivolse con fervore all’intercessione della Vergine Maria e fece voto di entrare nell’Ordine dei Frati Minimi di san Francesco di Paola se si fosse salvato. Soccorso dai compagni e curato, quando guarì si congedò dalla milizia e appena giunto a Siviglia, nel 1560, si recò al convento di San Sebastiano, chiedendo di essere ammesso al noviziato. A 30 anni emise la professione, il 17 giugno 1561, vestì l’abito religioso e si diede subito all’osservanza delle regole con grande diligenza, non disdegnando gli uffici più umili. Dal momento della sua ordinazione sacerdotale trascorse la sua vita nella solitudine, nella preghiera e nella penitenza, tutta la sua consolazione era starsene a pregare giorno e notte vicino all’altare del Santissimo Sacramento. Morì il 14 luglio 1604, a 74 anni esclamando: «Nelle tue mani, o Padre, affido il mio spirito»