Oggi 7 dicembre la chiesa celebra sant’Ambrogio di Milano (Aurelius Ambrosius), nacque a Treviri (Gallia) nel 339-340, da un’importante famiglia senatoria romana, la famiglia degli Aurelii. Rimasto orfano del padre, che a Treviri era forse prefetto al pretorio, si recò a Roma con la madre, la sorella Marcellina e il fratello Satiro. Ambrogio compì gli studi di retorica insieme al fratello Satiro e iniziò la carriera statale a Sirmio (Mitrovica, in Jugoslavia) come avvocato della prefettura Italiana, Illirica e Africana. Gracile ma volitivo e pratico, divenne una delle figure più eminenti del suo tempo, infatti il prefetto Sesto Petronio Probo lo fece nominare, nel 370, governatore delle provincie di Liguria ed Emilia, con sede a Milano, dove divenne una figura di rilievo nella corte dell’imperatore Valentiniano I. Il suo governo fu talmente apprezzato dal popolo che, nel 374, quando morì il vescovo ariano Aussenzio, imposto dall’imperatore Costanzo nel 355, cattolici e ariani, dopo prolungati e aspri dissensi, si accordarono per eleggere vescovo Ambrogio che anche in quelle circostanze aveva mostrato raro equilibrio. Inizialmente Ambrogio fu talmente sorpreso che, per sottrarsi all’incarico, fuggì fuori Milano, ma dopo averci pensato decise di accettare. Ambrogio, ancora catecumeno, e in pochi giorni ebbe il battesimo e la consacrazione, il 7 dicembre 374. Iniziò la preparazione teologica e compose dapprima scritti esegetici e in lode della verginità. In quell’occasione, Ambrogio si spogliò di ogni bene terreno a beneficio della Chiesa (eccetto il necessario per la sorella Marcellina). Vitaliano I confermò la nomina vincendo ogni resistenza di Ambrogio. Quando divenne vescovo, adottò uno stile di vita ascetico, uomo di grande carità, tenne la sua porta sempre aperta, prodigandosi senza tregua per il bene dei cittadini affidati alle sue cure. Ambrogio fu una delle più grandi e belle figure della cristianità: uomo di governo, pastore d’anime, maestro, apostolo, difensore dei popoli, scrittore, musicista e poeta. È annoverato insieme ad Agostino, Girolamo e Gregorio, fra i quattro massimi dottori della Chiesa latina. Morì a Milano all’alba del sabato santo, di ritorno da un viaggio a Pavia dove aveva consacrato il nuovo vescovo. Morì il 4 aprile 397; patrono di Milano e degli apicoltori.
7 dicembre: santa Fara (al secolo Borgundofara), nacque nel castello di Champigny a Pipimisicum (oggi Poincy, Francia) nel 595. Battezzata da san Colombano, abate di Luxeuil, che dopo aver lasciato l’abbazia di Luxeuil, aveva trovato ospitalità dai suoi genitori, perché colpito dalle ire della regina merovingia Brunechilde. I genitori di Borgundofara promisero all’abate irlandese che la loro prima figlia sarebbe stata votata a Dio e che avrebbe preso i voti monastici. Infatti Colombano, dopo la nascita di Fara, benedisse lui stesso la bambina promettendo che Dio l’avrebbe preservata da ogni male per il voto fatto. Essa ebbe due fratelli che divennero anche loro santi: Cagnoaldo, che divenne monaco colombaniano a Luxeuil e fu poi priore con la sorella nel monastero di Faremoutiers, e Farone, che prese anche lui i voti monastici e che in seguito divenne vescovo di Meaux. La giovane, fin dalla prima adolescenza sentiva forte il desiderio di consacrarsi al Signore, anche se il padre le aveva riservato ben altra sorte: sposarla. Borgundofara d’improvviso si ammalò gravemente, perse del tutto la vista e rimase in stato catatonico, fino a che la madre, addolorata, ricordò al marito la promessa fatta a Colombano e chiamò san Eustasio, succeduto come priore nella direzione dell’abbazia di Luxeuil dopo l’arresto del santo irlandese. Egli rivelò al padre che la figlia, lasciata libera di consacrarsi a Dio, sarebbe prontamente guarita. Il padre fu costretto a cedere, dietro le pressioni della madre e dello stesso Eustasio: miracolosamente Borgundofara si svegliò e riebbe la salute. La sua promessa però non venne mantenuta, così, accortasi che si cominciava a riparlare di nozze, abbandonò la casa paterna e si rifugiò, con un’amica fedele, presso la chiesa di San Pietro, contando sulla protezione del parroco. Scoperta, le fu chiesto di ritornare in famiglia e venne minacciata di morte se avesse rifiutato. Il padre la rinchiuse nelle prigioni del castello e la nutrì a pane e acqua, ma ella non tornò indietro dalla decisione presa. Eustasio, informato di ciò che stava accadendo, intervenne: ammonì il padre severamente e impose il velo alla fanciulla, che da allora prese il nome di Fara. Essa poi si rifugiò a Luxeuil assieme ai fratelli Cagnoaldo e Farone. A questo punto il padre si pentì e promise davanti all’abate di non ostacolare più la vocazione della figlia anzi, utilizzò la ricca dote di lei per la costruzione di un monastero a Brieseue nella collina di Evoriacum (oggi Faremoutiers) del quale Fara divenne la badessa per 40 anni, seguendo prima la regola di san Colombano e poi quella di san Benedetto. Morì il 7 dicembre del 658; è invocata specialmente contro i mali degli occhi.
7 dicembre: santa Maria Giuseppa Rossello (al secolo Benedetta Rossello), nacque ad Albissola Marina (Savona), il 27 maggio 1811, i genitori erano modesti fabbricanti di stoviglie, molto devoti e religiosi. Imparò presto dal padre l’arte di modellare la creta e presto dovette anche prendersi cura dei fratelli minori. Si distinse fin dall’infanzia per amore verso lo studio, carità verso i poveri e devozione al Crocifisso e alla Vergine e si iscrisse alle congregazioni del Carmine, dell’Addolorata e dell’Immacolata. All’età di 16 anni si iscrisse al Terz’Ordine francescano e nel 1830, a 19 anni, fu accolta nella casa della famiglia Monleone di Savona per assistere il capofamiglia infermo, immobilizzato a letto. Quando, nel 1837, questi morì, Maria rifiutò l’offerta della vedova Monleone di farla sua erede e adottarla se fosse rimasta in casa con lei. Chiese invece di entrare come religiosa presso le figlie di Nostra Signora della Neve, ma si vide respinta in quanto la sua famiglia non era in grado di fornirle la dote necessaria. Seguirono anni di dure prove: perse la madre, il fratello Luigi, la sorella Giuseppina e infine il padre; toccò così a lei il ruolo di unico sostegno della famiglia. Finalmente nel 1837 Maria rispose all’appello del vescovo di Savona, Agostino De Mari, che cercava giovani per affidare loro l’educazione dei bambini poveri. Il vescovo si impegnò a procurare la sede adatta, mentre Maria avrebbe dovuto cercare altre compagne per aprire una prima scuola. Si unirono a lei Angela e Domenica Pescio e Paolina Barla, il 10 agosto 1837 fu aperta la scuola in una modesta casa in affitto, di proprietà dei Cavalieri di Malta, e Maria ebbe gli incarichi di maestra delle novizie, vicaria ed economa. Il 22 ottobre vestì l’abito religioso prendendo il nome di suor Maria Giuseppa, mentre la nuova Congregazione veniva ufficialmente chiamata Figlie di Nostra Signora della Misericordia e adibita alla cura delle fanciulle povere e dei malati. Il 2 agosto 1839, insieme con le prime compagne, pronunciò i voti perpetui. Nel 1840, quando le suore professe erano sette e quattro le novizie, Maria fu eletta superiora, incarico che ricoprì, per 40 anni, fino alla morte. Dal 1856 cominciò a collaborare all’opera di riscatto degli schiavi africani accogliendo nell’istituto gruppi di ragazze africane. Nel 1854 iniziò l’opera di assistenza dei malati a domicilio e nel 1859 aprì la casa della Provvidenza per la rieducazione delle ragazze povere. Nel 1869 aprì la «piccola casa dei chierici» per seminaristi poveri. Nel 1879 fondò a Savona la casa delle pentite, con lo scopo di recuperare alla vita le ragazze di strada. La spiritualità di Maria fu caratterizzata da una grande fiducia nella Provvidenza, dalla devozione a san Giuseppe e da un illimitato spirito di iniziativa, che può ben riassumersi nel motto da lei coniato: «Cuore a Dio, mani al lavoro». La sua genialità caritativa evade dal contesto religioso per inserirsi tra le più nobili benemerenze sociali, soprattutto per la fondazione delle scuole popolari gratuite, un’assoluta novità per la Liguria occidentale. Gravemente malata di cuore fin dal 1875, Maria Giuseppa, esalò l’ultimo respiro nella casa madre di Savona. Morì il 7 dicembre 1880, a 69 anni.