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a cura di don Riccardo Pecchia
Oggi 10 maggio la chiesa festeggia san Giobbe, «Visse nel paese di Hus» (Gb 1,1), che molti autori identificano con la regione posta tra l’Idumea e l’Arabia settentrionale. Tutto fa credere che non fosse ebreo, ma «retto, timorato di Dio» (1,1; 2,3). Giobbe viene descritto come un uomo giusto, ricchissimo e felice, che viveva piamente la sua vita onorando Dio. Satana vuole convincere Dio che Giobbe finge di praticare la sua fede ma solo per conservare i suoi beni materiali con il beneplacito divino. Era al colmo della ricchezza e della felicità quando improvvisamente fu colpito da una serie di disgrazie che lo privarono in breve
tempo di ogni suo avere e perfino dei figli (1,13-19). Allora Jahvè permette che Satana metta alla prova Giobbe che invece, nonostante i mali che lo travagliano per le prove che Satana gli fa subire, sopporterà con rassegnazione la perdita dei suoi beni, dei suoi sette figli e tre figlie che moriranno nel crollo della casa di uno di loro e anche le sofferenze dovute alla malattia che lo ha colpito. Semplici le sue parole di rassegnazione davanti alla perdita delle cose e delle persone più care: «Jahvè ha dato e Jahvè ha tolto: il nome di Jahvè sia benedetto» (1,21). Colpito da una malattia che lo riduce tutto una piaga, non perde la sua calma, neppure davanti allo scherno e alla derisione della moglie (2,7-10). Cacciato di casa, è costretto a passare i suoi giorni in mezzo ad un letamaio. Inoltre egli sopporta i rimproveri di tre suoi amici, senza bestemmiare una sola volta il suo Dio, che sono accorsi a confortarlo. A questo punto il libro introduce un lunghissimo dialogo (3-41) che discute in forma alta mente poetica il problema dell’origine cioè del dolore nel mondo. La vita di Giobbe dopo la prova è compendiata dal libro sacro in pochissimi versetti (42, 11-17). Riebbe i suoi armenti, generò di nuovo sette figli e tre figlie, visse ancora altri 140 anni.
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