a cura di don Riccardo Pecchia
Oggi 12 ottobre la chiesa ricorda san Serafino da Montegranaro(al secolo Felice Piampiani), nacque a Montegranaro nel 1540. Il piccolo Felice, fu cristianamente allevato e plasmato all’amore cristiano dalla madre Teodora. Dopo la scomparsa del padre Girolamo, avvenuta attorno al 1550, Felice prima fu mandato a lavorare in campagna, quindi destinato ad aiutare il fratello Silenzio nel mestiere di muratore. Il giovane restò a lavorare col fratello per oltre sei anni, continuamente maltrattato e percosso a causa della sua scarsa attitudine. Nei momenti liberi restava estasiato ad ascoltare le storie sacre che la figlia del padrone leggeva ad alta voce, tanto che fu incoraggiato da lei ad entrare in convento. Nel 1557, dopo brevi contatti con i padri Cappuccini del Convento di Tolentino fu accettato nell’Ordine ed inviato per il noviziato al convento di Jesi. Peregrinò per tutti i conventi delle Marche, perché, nonostante la buona volontà e la massima diligenza che poneva nel fare le cose, non riusciva ad accontentare né superiori, né confratelli, che non gli risparmiarono rimproveri, spesso motivati dalla sua eccessiva generosità. Ma egli dimostrò sempre tanta bontà, povertà, umiltà e purezza. Nel 1590 Serafino si stabilì definitivamente ad Ascoli Piceno, oltre 13 anni, dedicandosi particolarmente all’attività di monaco questuante, visitando così quasi tutta la popolazione di Ascoli, che in breve tempo si affezionò talmente a lui, che quando nel 1602, si temette che potesse essere trasferito altrove, tutta la cittadinanza si rivolse ai superiori dell’Ordine, affinché non venisse allontanato da Ascoli. Aveva la capacità di scrutare nel profondo dell’animo umano, e di dare saggi consigli a tutti coloro che a lui si rivolgevano. Nel corso dei circa 46 anni in cui vestì il saio dei cappuccini, egli si rese artefice di centinaia di guarigioni e di fatti prodigiosi. Arrivato alla soglia dei 60 anni le condizioni fisiche di frate Serafino, a causa delle continue penitenze a cui si sottoponeva, non potevano certo definirsi buone anzi, considerando il suo tenore di vita, la sua costituzione e la scarsezza del nutrimento, ormai da diverso tempo era tormentato da un acuto dolore al petto, di cui non aveva mai fatto cenno a nessuno. Nell’autunno del 1604, particolarmente freddo, il giorno 11 d’ottobre il frate, poco dopo essere tornato dalla questua in città, fu nuovamente preso dal forte dolore al petto e da un diffuso tremore. Non potendo nascondere la cosa, in quella occasione gli fu imposto di riposarsi qualche giorno e la mattina dopo fu anche visitato dal medico ma, nonostante ciò dopo aver chiesto perdono a tutti dei suoi peccati, Serafino, circondato dai confratelli, cessò di vivere. Morì il 12 ottobre 1604.
012 ottobre: Servo di Dio Carlo Acutis, nacque a Londra (Inghilterra) il 3 maggio 1991, dove i suoi genitori si trovano in quel momento per motivi di lavoro. Nel settembre dello stesso anno, rientrano tutti e tre a Milano. A, soli 7 anni, con la Prima Comunione, ricevuta nel monastero delle Romite di Sant’Ambrogio ad Nemus di Perego, iniziò il suo amore per l’Eucarestia. A Milano frequentò le elementari e le medie presso le suore Marcelline e il liceo classico presso l’Istituto Leone XIII, diretto dai padri Gesuiti. La sua fu un’adolescenza normale, dove c’era spazio per gli affetti familiari e l’amicizia. Alla socievolezza si univa in lui un innato amore per il prossimo. Amava il mare, i viaggi, le conversazioni, faceva amicizia con i domestici di casa, era aperto a tutti e a tutti rivolgeva saluto e parola. Aveva un temperamento solare, senza alcuna difficoltà a parlare con i nobili o con i mendicanti che incontrava per strada. Nessuno era escluso dal suo cuore davvero buono. Carlo dimostrava una grande inclinazione per l’informatica, i compagni lo cercano per farsi insegnare a usare al meglio il computer, ma il fulcro della sua giornata era la partecipazione quotidiana alla Celebrazione Eucaristica: ogni giorno si comunicava e recitava il Rosario. Il suo punto di riferimento erano Gesù e Maria, i suoi modelli i beati Francisco e Giacinta Marto, san Domenico Savio, san Luigi Gonzaga e san Tarcisio. A scuola lo conoscono tutti, dal portinaio alla preside. Anche perché quando si accorge che qualcuno soffre gli si fa incontro. Molti sono i compagni che Carlo porta a casa quando li vede affaticati, spesso dalle difficoltà familiari. Sulla via che percorre dal liceo a casa il ragazzo si ferma spesso a chiacchierare anche con i portinai dei palazzi, i negozianti e le loro famiglie. Carlo amava anche andare alla mensa per i poveri di viale Piave, dove era capace di stare fra gli ultimi con la stessa spontaneità con cui restava fra i suoi cari. Poi, improvvisa, all’inizio d’ottobre 2006, come un fulmine a ciel sereno, arriva la leucemia, quella acuta che non lascia scampo, e che lui accoglie con un sorriso, offrendo la sua vita per il Papa e per la Chiesa. Aveva predetto la sua morte: «Morirò giovane». In ospedale soffrirà moltissimo, ma sempre minimizzando i dolori che i medici descriveranno come atroci. Cerca la guarigione perché amava la vita, ma sorride alla morte come all’incontro con l’Amato e perché sa che oltre ad essa non c’è il nulla. È ricoverato in ospedale. Si confessa molto spesso, riceve l’Unzione degli infermi. Sorride a tutti con uno sguardo bellissimo, con un coraggio senza pari. Muore, a soli 15 anni, e lo seppelliscono nella nuda terra ad Assisi, la città di san Francesco che più di altre ha amato e nella quale tornava così volentieri per ritemprare lo spirito. Morì il 12 ottobre 2006