a cura di don Riccardo Pecchia
Oggi 14 settembre la chiesa celebra sant’Alberto di Gerusalemme, Alberto Avogadro dei conti di Sabbioneta, di origine francese, nacque a Castrum Gualtierii (odierno Castel Gualtieri), in Emilia, verso il 1150. Divenne, nel 1180, Canonico Regolare di sant’Agostino della chiesa di Santa Croce di Mortara (mortariensi) di Pavia, della quale fu anche priore. Nel 1184 fu nominato vescovo di Bobbio per un anno. Eminente per la sua vita, per il suo sapere e per la sua reputazione, Alberto governò la diocesi di Vercelli per 20 anni. Fu mediatore di pace (tra Milano e Pavia, 1194; tra Parma e Piacenza, 1199). Come vescovo si impegnò in materia di legislazione ecclesiastica e nel 1194 formulò gli Statuti dei Canonici di Biella. Nel 1205 papa Innocenzo III lo nominò Patriarca latino di Gerusalemme, con l’ufficio di Legato papale per la Terrasanta. Sbarcò a San Giovanni d’Acri nel 1206, vale a dire l’anno della morte di san Bertoldo, e si legò in stretta amicizia con san Brocardo. Appena quest’ultimo ebbe preso le redini del governo dell’Ordine carmelitano, chiese al santo Patriarca di scrivere una “norma di vita” (formula vitae), sulla maniera in cui doveva intendersi la vita comune nel Carmelo. Regola piena di saggezza, ammirabile transazione tra l’Oriente e l’Occidente, che riunì a poco a poco tutti gli spiriti, e non ha cessato di produrre, d’allora in poi, frutti divini di santità in un numero quasi infinito di cuori generosi. La regola fu poi approvata prima da papa Onorio III, nel 1226, e confermata definitivamente, il 1 ottobre 1247, da parte di papa Innocenzo IV, con la bolla “Quae honorem Conditoris”. Alberto morì, durante la processione dell’Esaltazione della Santa Croce, pugnalato, ad Acri, da un altro religioso, dal Maestro dell’Ospedale di Santo Spirito, da lui rimproverato e rimosso dal suo ufficio, per cattiva condotta. Morì il 14 settembre 1214.
14 settembre: san Crescenzio di Roma, di nobile famiglia romana, figlio di Eutimio, fu battezzato con i genitori dal prete san Epigmenio di Roma. Durante la persecuzione di Diocleziano la famiglia riparò a Perugia, dove morì il padre Eutimio. Ricondotto a Roma, sebbene avesse solo 11 anni, fu inquisito dal giudice Turpilio, per la sua fede cristiana. Il 24 febbraio 303 Diocleziano promulgò da Nicomedia un editto con cui si proibivano le riunioni dei cristiani, si ordinava la distruzione delle chiese e dei libri sacri, e s’imponeva ai cristiani l’abiura della propria fede. L’anno seguente un nuovo editto imponeva a tutti i cristiani dell’impero di offrire pubblicamente sacrifici agli dei pagani. Perciò si imbastirono processi, si sottoposero a tortura i cristiani per farli abiurare e restituirli al paganesimo, si condannarono i più ostinati e irriducibili. Crescenzio fu uno di questi; resistette all’interrogatorio, si mantenne saldo nella fede, e fu ucciso, colpito da una spada, sulla via Salaria a Roma, fuori della porta. Morì il 14 settembre 303.