a cura di don Riccardo Pecchia
Oggi 15 dicembre la chiesa celebra santa Virginia Centurione Bracelli, nacque a Genova il 2 aprile 1587, discendente della più antica nobiltà ligure. Virginia ricevette fin da piccola un’educazione religiosa e una formazione letteraria non comune: conosceva l’italiano e il latino, aveva imparato a leggere la Bibbia, i padri della Chiesa e le vite dei santi. Rimase purtroppo orfana di madre a soli 6 anni e più tardi, pur desiderando darsi alla vita religiosa, dovette sposare Gaspare Bracelli, unico erede di una ricca e nobile famiglia, a cui a sua insaputa era stata promessa dal padre. Il suo fu un matrimonio infelice, pur allietato da due figlie, Lelia e Isabella, perché il marito era portato alla vita sregolata e al gioco. Nel 1606 Gaspare si ammalò di tubercolosi e morì il 13 giugno 1607, a 24 anni, lasciando Virginia vedova a soli 20 anni, quello stesso giorno si consacrò a Dio col voto di castità, rifiutando decisamente un secondo matrimonio offertole dal padre, e dedicandosi alla penitenza e all’assistenza dei poveri. Cominciò con l’opera delle Chiese rurali, a cui forniva denaro e suppellettili; poi fondò quattro scuole per la formazione morale e l’addestramento al lavoro dei fanciulli abbandonati. Il numero dei bisognosi cresceva ogni giorno e Virginia, che aveva rinunciato a tutti i suoi beni per metterli al servizio dei poveri; diede vita all’Opera del Rifugio, ricovero di emergenza per le giovani abbandonate, accogliendole prima nel suo palazzo e successivamente, trasferendole in un ex monastero situato in località Monte Calvario, da lei preso in affitto, e ponendole sotto la protezione di Nostra Signora del Rifugio. Col tempo l’Opera si svilupperà in due Congregazioni religiose: le Suore di Nostra Signora del Rifugio di Monte Calvario e le Figlie di Nostra Signora al Monte Calvario. A queste opere Virginia affiancò, le “Cento Signore della Misericordia protettrici dei Poveri di Gesù Cristo”, con il compito di visitare a domicilio le famiglie per rendersi conto delle loro necessità: faceva recapitare loro denaro e cibo, pensava a ricoverare i malati e gli invalidi, trovava un lavoro per le persone sane e faceva sì che i bambini frequentassero le scuole. Nel 1632 fu chiamata a dirigere il Lazzaretto, un ricovero di fortuna dove arrivava di tutto in promiscuità di uomini, donne e bambini; in precedenza era stata nominata Signora della Misericordia con l’incarico di occuparsi del miserabile rione presso la chiesa del Santissimo Salvatore e lei ne raggiunse gli angoli più nascosti spingendosi nei vicoli per spiegare il catechismo ai bambini e ai marinai, recitare il rosario con la gente davanti alle edicole mariane e cantare laudi spirituali intonate dalla Compagnia degli Orbi da lei fondata a questo scopo. Attorno a sé era però calato l’entusiasmo delle Signore della Misericordia, che cominciavano ad abbandonare l’attività temendo di compromettere la propria reputazione a contatto con la gentaglia della società. A un certo punto, Virginia fu anche allontanata dai Protettori dal governo della sua Opera, ma lei non si scoraggiò: fino all’ultimo fu una fonte inesauribile di aiuto per le categorie meno abbienti, per i sacerdoti, i religiosi, le suore, i vagabondi, le prostitute. Il Signore la favoriva con locuzioni interiori ed estasi che confermavano quanto fosse pervasa dallo spirito di Dio. Nel 1636 cominciò ad accusare disturbi che si aggravarono col continuo alternarsi di febbri, vertigini ed esaurimento nervoso, costringendola a ridurre i suoi giri di carità, dietro consiglio del confessore che le imponeva dei periodi di riposo. Virginia mancò di polmonite. Morì il 15 dicembre 1651, a 64 anni.
15 dicembre: santa Maria Crocifissa di Rosa (al secolo Paola Francesca Maria Di Rosa), nacque a Brescia il 6 novembre 1813, da famiglia nobile e facoltosa. A soli 11 anni perdette la madre e allora il padre la sistemò nel collegio gestito a Brescia delle suore Visitandine, dove la ragazza si distinse per l’impegno nello studio e per la condotta esemplare. Quando il padre le propose il matrimonio con un giovane di pari condizione, lei rispose che non si sentiva fatta per quel genere di vita. Dopo aver fatto voto di verginità perpetua, a 19 anni, accettò l’invito a dirigere una grossa filanda di seta che il padre aveva ad Acquafredda, nel Mantovano, e ad occuparsi dell’annessa casa che ospitava una settantina di operaie, da lei seguite anche dal punto di vista spirituale. Nel 1836 un’epidemia di colera fece numerose vittime nel bresciano e Paola, con il consenso del canonico Faustino Pinzoni, si dedicò ad assistere i contagiati nel lazzaretto della città, svolgendovi i servizi più umili e faticosi. Calmatasi l’epidemia le venne affidata la direzione della cosiddetta “Casa d’Industria” dove le ragazze imparavano un mestiere; e poiché a causa di difficoltà di carattere economico una dozzina di esse, le più povere, ne erano state escluse, lei le accolse in uno stabile preso in affitto. In quel periodo collaborò anche alla gestione di una scuola per sordo-mute progettata da suo fratello Filippo insieme al Pinzoni. Nell’assistere i malati, Paola aveva notato la scarsità delle infermiere e per questo le venne l’idea di fondare una pia associazione di infermiere che fossero in grado di garantire un servizio completo ed efficace ad ogni tipo di malato. Così nel 1840, sempre con l’appoggio del canonico Pinzoni, insieme a Gabriella Echenos Bornati, con la quale aveva condiviso l’assistenza ai colerosi, riunì nell’ex convento di San Domenico un primo gruppo di giovani disposte a seguirla in questa nuova avventura di carità. Il 18 maggio di quello stesso anno, la direzione dell’ospedale femminile cittadino autorizzò la presenza delle prime 32 infermiere, guidate da Paola come superiora, che cominciarono a chiamarsi “Ancelle della Carità”. Gli eventi politici del 1848-49 aprirono alle Ancelle nuovi campi di apostolato: le vediamo occuparsi dei feriti, piemontesi e austriaci, a Montichiari, a Valeggio e in occasione delle “dieci giornate di Brescia”, nonché dei poveri e degli affamati dopo la forte repressione austriaca. Il 18 giugno 1852, solennità del Sacro Cuore di Gesù, nella chiesa di San Lorenzo, ebbe luogo l’erezione canonica della Congregazione. Paola fece la sua professione religiosa assumendo il nuovo nome di Maria Crocifissa e le prime diciotto compagne ricevettero l’abito religioso e tre giorni dopo fecero anch’esse la professione, mentre la Maria Crocifissa veniva nominata superiora generale dell’Istituto. Nel 1855 la salute della santa, già cagionevole da tempo, cedette sotto il peso delle fatiche apostoliche. Il 16 novembre, mentre si trovava a Mantova per gli esercizi spirituali con le Ancelle, Maria Crocifissa si ammalò gravemente a causa di un attacco cardiaco. Riuscì a stento a farsi accompagnare a Brescia nella casa madre. Prima di morire chiese perdono alle sue figlie e le esortò alla carità fraterna, morì il 15 dicembre 1855, a 42 anni.
15 dicembre: san Valeriano di Avensano, vescovo di Avensa (Bordj-Hamdouna nell’odierna Tunisia), era un’antica sede episcopale della provincia romana dell’Africa Proconsolare, suffraganea dell’arcidiocesi di Cartagine, che, a più di 80 anni, durante la persecuzione vandalica, si rifiutò fermamente di consegnare gli arredi sacri della Chiesa come richiesto dal re Genserico e fu per questo scacciato tutto solo fuori della città, con l’ordine che nessuno gli prestasse ospitalità né in casa né tra i campi; giacque, dunque, per lungo tempo a cielo aperto sulla pubblica strada, giungendo, in tal modo, al termine della sua santa vita da confessore della retta fede.
15 dicembre: beato Carlo Steeb, nacque a Tubinga (Germania) il 18 dicembre 1773, in una agiata famiglia di fede luterana.
15 dicembre: beato Carlo Steeb, nacque a Tubinga (Germania) il 18 dicembre 1773, in una agiata famiglia di fede luterana. A 16 anni fu inviato a Parigi e due anni dopo a Verona per imparare le lingue e la pratica commerciale. A Verona fu affascinato dalla vitalità culturale e religiosa che vi si respirava, ed ebbe l’opportunità di approfondire il dialogo con sacerdoti e laici, e tutto questo lo portò nel settembre 1792 alla conversione. Nel 1796 fu ordinato sacerdote, con grande amarezza della sua famiglia e la decisione paterna di diseredarlo. Carlo, a Verona, visse gli anni della guerra tra Napoleone e l’Austria, con le battaglie di Bassano, di Arcole, di Rivoli, tra le infermerie, gli ospedali militari e il lazzaretto degli infettivi, come sacerdote, infermiere e interprete in tre lingue, non aveva incarichi retribuiti e si manteneva facendo l’insegnante. Visse tra i sofferenti, in guerra e in pace, come uomo di punta della Evangelica fratellanza dei preti e laici spedalieri, fondata nel 1796 dal sacerdote Pietro Leonardi, oggi venerabile. Si ammalò di tifo e fece testamento, nonostante le resistenze del suo direttore spirituale, padre G.B. Bertolini. Nel 1799, assieme a santa Maddalena di Canossa e a Pietro Leonardi, aveva istituito una scuola per “spedaliere”, sorelle infermiere destinate a prestare servizio negli ospedali militari e di campo: quando, con la sconfitta di Napoleone a Waterloo, terminò il periodo bellico, Leonardi e la Canossa preferirono dedicarsi ad altri ambiti di apostolato. Carlo decise di continuare la sua opera di assistenza sanitaria nel Pio ricovero di Verona e, con l’appoggio dei vescovi Giuseppe Grasser e Pietro Aurelio Mutti e il suo personale sostegno economico, alla morte della sorella ereditò quanto rifiutatogli dal padre, il 2 novembre 1840 introdusse nell’ospedale Luigia Poloni (poi beata Vincenza Maria Poloni) e tre sue compagne, con le quali diede inizio alla congregazione delle Sorelle della Misericordia. L’istituto ottenne l’approvazione diocesana il 10 settembre 1848. Fu un grande direttore spirituale, non dimenticò mai le sue origini luterane e incoraggiò sempre il dialogo con i fratelli separati. Morì a Verona il 15 dicembre 1856.
15 dicembre: Servo di Dio János Brenner, nacque a Szombathely (Ungheria) il 27 dicembre 1931, da una famiglia cristiana. Tutti e tre i figli, ricevettero la vocazione sacerdotale da Dio. Frequentò la scuola primaria episcopale di Szombathely, poi il liceo dei cistercensi a Pécs e il liceo dei Premonstratensi a Szombathely. Dopo la nazionalizzazione delle scuole, fece la maturità a Zirc come oblato cistercense e fu ammesso all’ordine come novizio, con il nome di Anasztáz. Dopo lo scioglimento degli ordini religiosi frequentò l’Accademia di Teologia di Budapest per un anno come studente civile, in seguito proseguì gli studi nel seminario di Szombathely come seminarista della diocesi di Szombathely. A causa della soppressione degli ordini religiosi voluta dal governo comunista, Anastasio fece l’anno di noviziato segretamente e nel 1951 emise la professione temporanea. Dopo la chiusura del seminario proseguì gli studi teologici a Győr. Fu ordinato sacerdote il 19 giugno 1955. Il nuovo sacerdote cominciò il ministero pastorale a Rábakethely come vicario parrocchiale, dove svolse un’attività pastorale intensa, soprattutto tra i giovani ed era rispettato da tutto il popolo: giovani, vecchi, zingari e poveri. Il potere comunista, che perseguitava la Chiesa, non accettava tutto ciò, perché la Chiesa cattolica era vista come il principale nemico del comunismo e, ovviamente, ai capi del partito non poteva piacere un sacerdote come János. Saputo ciò, il vescovo della diocesi cercò di trasferirlo altrove, ma il buon cappellano si rifiutò dicendo che non aveva paura perché la sua fiducia era in Dio. Durante la notte del 15 dicembre 1957 János fu allontanato dalla parrocchia, dove stava preparando l’omelia per il giorno seguente, con la scusa di un malato che aveva urgente bisogno di una cura pastorale. Raccolse in chiesa tutto il necessario per le visite dei malati, che comprendeva anche l’Eucaristia, e partì con un assistente per il villaggio di Zsida sul sentiero che attraversava la collina. Tra i due villaggi fu attaccato e brutalmente accoltellato 32 volte. La gente che viveva lì vicino chiamò il medico, ma era già tardi: il giovane sacerdote era morto. Anche se stava morendo continuava a proteggere l’Eucaristia con la mano sinistra. Fu sepolto il 18 dicembre nella cripta familiare della chiesa salesiana di san Quirino a Szombathely. Le autorità cercarono di mandar via i fedeli riuniti per il suo funerale e diedero il permesso per celebrarlo più tardi rispetto all’ora prestabilita. Sulla sua tomba si legge il suo motto dell’ordinazione: «Tutto concorre al bene di coloro che amano Dio!». Durante l’indagine contro gli assassini, i comunisti cercarono di intimidire gli abitanti della zona; probabilmente l’assassinio fece lo stesso. Tuttavia era impossibile cancellare la memoria del giovane sacerdote e la sua venerazione cresceva di continuo. Nel luogo del martirio del «Tarcisio ungherese», tra i villaggi di Rábakethely e Zsida, è stata costruita nel 1989 la cappella del Buon Pastore che commemora il sacrificio della sua vita. Morì il 15 dicembre 1957.