a cura di don Riccardo Pecchia
Oggi 15 febbraio la chiesa celebra san Claudio de la Colombière, nacque a Saint-Symphorien-d’Ozon (Francia) il 2 febbraio 1641, da famiglia nobile ed educato all’università dei gesuiti a Lione. A 17 anni entrò nel noviziato della Compagnia di Gesù, ad Avignone. In questo stesso luogo, nel 1660, passò al Collegio, per condurre a termine gli studi di Filosofia e pronunciare i primi voti religiosi. Per la sua grande capacità intellettuale, estro letterario ed eloquenza nelle prediche, nel 1666 il Superiore Generale decise di inviarlo a studiare Teologia al Collegio di Clermont, a Parigi. Qui si rivelò un eccellente oratore e professore di retorica. Venne ordinato sacerdote in giovane età, tornò di nuovo a Lione: per qualche tempo in qualità di professore, poi per dedicarsi completamente alla predicazione. Il 6 aprile 1669, Claudio ricevette gli ordini sacri e cinque anni dopo arrivò per lui il tempo chiamato da sant’Ignazio “Scuola dell’Affetto”. La saggezza del fondatore vedeva bene quanto i lunghi anni di studio e apostolato potessero essere per i suoi figli spirituali motivo di diminuzione del fervore iniziale, per questo, stabilì che ogni gesuita passasse per questo periodo di noviziato, chiamato anche Terza Prova, prima di fare la professione solenne. In questo tempo, sotto la guida di un istruttore, il religioso faceva un bilancio della sua vita, per lasciarsi condurre interamente dalla luce divina. La Casa San Giuseppe, a Lione, fu il luogo dove Claudio trascorse questo periodo, durante il quale fece un voto di compimento delle regole dell’Istituto, disponendosi ad accettare con gioia quanto determinato dalla santa obbedienza. Prima ancora di concludere il tempo regolamentare, fu ammesso ai voti solenni, pronunciati quando compiva 34 anni, il 2 febbraio 1675. Subito dopo, ricevette l’incarico di superiore della casa dei gesuiti a Paray-le-Monial, divenendo così anche il padre spirituale di santa Margherita Maria Alacoque, visitandina propagatrice del culto al Sacro Cuore di Gesù. Dopo un anno e mezzo di permanenza a Paray, nel 1676 Claudio partì per Londra, essendo stato nominato predicatore della Duchessa di York, Maria da Modena, che era cattolica fervente e aveva consentito di sposarsi col Duca, fratello di Carlo II, solo dopo aver ricevuto l’autorizzazione del governo inglese ad avere un sacerdote vicino a lei. Era un incarico delicatissimo, considerati gli avvenimenti che in quel tempo agitavano l’Inghilterra. Oltre ai sermoni pronunciati nella cappella e alla costante direzione spirituale, sia orale che scritta, Claudio poté dedicarsi a una solida istruzione nella vera fede di non poche persone che avevano abbandonato la Chiesa Romana. Il lavoro così intenso e il clima poco propizio minarono la sua salute; cominciarono così a manifestarsi i sintomi di un’infezione polmonare. Alla fine del 1678, fu arrestato con un’accusa calunniosa, da parte di Titus Oates, di complotto papista. Dopo due giorni fu trasferito nel carcere di King’s Bench, dove restò tre settimane, sottoposto a gravi privazioni, finché per decreto reale fu espulso dall’Inghilterra. Tutte queste sofferenze minarono ancor più la sua salute andò peggiorando al suo rientro in Francia. Nell’inverno del 1681, essendo già molto aggravato, ritornò a Paray- le-Monial. Morì il 15 febbraio 1682, a soli 41 anni.
15 febbraio: santi Faustino e Giovita, erano figli di una nobile famiglia pagana di Brescia, vissuti nel II secolo. Intrapresero presto la carriera militare e divennero cavalieri. Furono, in seguito, convertiti e battezzati da sant’Apollonio vescovo di Brescia, che li accolse nella comunità dei primi cristiani bresciani. Qui si impegnarono a fondo nell’evangelizzazione; erano efficaci predicatori tanto che il vescovo nominò Faustino presbitero e Giovita diacono. L’efficacia della loro predicazione sollevò l’avversità dei pagani, tra cui molti potenti della città che temevano la diffusione del cristianesimo. Fu coì che alcuni prestigiosi personaggi cittadini invitarono Italico, allora governatore della Reatia (provincia dell’impero romano), a far tacere definitivamente i due, invocando l’attuazione delle direttive imperiali di Traiano, che aveva indetto la terza persecuzione. La morte di Traiano ritardò la repressione del governatore, che attese la visita del nuovo imperatore Adriano a Milano per denunciare i due fratelli come nemici dell’Impero e della religione pagana. Il nuovo imperatore, Adriano, ordinò a Italico di procedere nella persecuzione e Faustino e Giovita furono incarcerati per aver rifiutato di sacrificare agli dei. Intanto l’imperatore, di ritorno dalla campagna militare delle Gallie si fermò a Brescia; qui venne coinvolto nella faccenda ed egli stesso chiese ai due giovani di adorare il dio sole ma essi si rifiutarono ed anzi colpirono la statua del dio pagano. L’imperatore ordinò, quindi, che fossero dati in pasto alle belve del circo: furono rinchiusi in una gabbia con delle tigri ma le fiere rimasero mansuete e si accovacciarono ai loro piedi; il miracolo ebbe come effetto la conversione di molti spettatori tra cui anche la moglie del governatore Italico, Afra. Questa coraggiosa donna sceglierà la fedeltà a cristo, che la condurrà fino al martirio e alla gioia di essere proclamata santa (memoria 4 maggio). Venne, poi, ordinato che i giovani fossero scorticati vivi e messi al rogo. Il fuoco non toccò nemmeno le vesti dei due condannati e le conversioni in città ebbero ancora più larga diffusione, tanto che Adriano decise di portare i giovani via da Brescia. Nel corso della prigionia nelle carceri di Milano subirono molte torture a Milano; trasferiti a Roma, furono di nuovo dati in pasto alle fiere nel Colosseo, ma anche questa volta ne uscirono salvi; furono, allora, imbarcati e mandati a Napoli e pare che, grazie ad una loro intercessione, una tempesta, durante il viaggio, si placò. Le torture continuarono: si decise di spingerli nel mare su una barchetta che però tornò a riva riportata, in salvo dagli angeli. Furono quindi condannati a morte e riportati a Brescia dove il 15 febbraio tra il 120-134, furono decapitati.