a cura di don Riccardo Pecchia
Oggi 15 giugno la chiesa celebra sant’Amos profeta, nacque in un villaggio non lontano da Betlemme (Palestina) nell’VIII secolo a.C. Amos profetizzò al tempo di Geroboamo II, tempo di prosperità notevole (la prosperità materiale fu accompagnata ben presto da una grave decadenza religiosa e morale). A quel tempo il regno fondato da Saul era stato diviso nel Regno di Israele, a nord, e in quello di Giuda a sud. Le sue profezie e il suo pensiero sono contenuti nella Bibbia, nel Libro di Amos, composto da nove capitoli. Questo profeta semplice contadino, rude e schietto rimase colpito dalla corruzione dilagante che egli individuò in due settori soprattutto: l’ingiustizia sociale e la degenerazione del culto. Egli interviene contro tale stato di cose con la forza della parola profetica che da lui erompe implacabile e terribile; il suo ministero non dovette durare più di un anno. In patria riprese le precedenti occupazioni e attese a riordinare i suoi oracoli. Un giorno Dio lo chiamò dicendogli di andare a portare agli uomini il suo pensiero e lo invitò a spingersi al nord, nel regno di Israele e Amos, senza avere alcuna dimestichezza con le orazioni pubbliche e con le profezie, non esitò ad abbandonare le sue terre e i suoi animali. Il regno di Israele era governato da re Geroboamo II, che si trovava a dominare in un periodo eccezionalmente prospero e anche di grande fervore religioso, a giudicare dalle apparenze. I più amati santuari del regno, Bet-El e Dan, erano sempre affollati di fedeli e le offerte a Dio erano più che abbondanti. Amos si fermò a Bet-El e, tra i fedeli che accorrevano a rendere grazie al Signore, iniziò a parlare con la voce di Dio. Amos, dapprima inveiva contro i nemici di Israele e andava dicendo che Dio li avrebbe puniti per le loro malefatte, poi però le sue profezie cambiarono tono ed eccolo scagliarsi contro i ricchi. Li accusava di aver venduto i giusti per ottenere denaro, di aver venduto i poveri per un paio di sandali. I poveri sono stati calpestati come fossero polvere: ecco qual era il motivo della prosperità del regno. Ingiustizia, truffe sul commercio, sfruttamento dei poveri, riduzione in schiavitù dei debitori, usura, questi erano i peccati degli israeliti: inutile professarsi fedeli vivendo sulle spalle degli altri. La vera fede non era fatta di offerte opulente al Signore, ma di verità. Le parole di Amos erano durissime e intervenne Amasia, il capo dei sacerdoti del santuario Bet-El che, parlando a nome del re, lo invitò a ritornarsene a Tekoa, ma le parole del profeta furono ancora più drammatiche. Affermava di parlare in nome di Dio e profetizzò al sacerdote la morte dei figli e che la moglie si sarebbe prostituita senza mancare di annunciare che il regno avrebbe avuto ancora vita breve prima di cadere nelle mani dei nemici. Le sue profezie si avverarono pochi anni dopo quando Israele venne conquistato dagli Assiri (722 a.C.). Che ne fu di Amos, dopo le sue fosche profezie, nessuno lo sa. Probabilmente tornò al suo villaggio, quel che è certo è che le sue parole potenti sono giunte fino a noi attraverso la Bibbia.
0715 giugno: , nacque a Mazara del Vallo (Trapani) intorno all’anno 286, da Hila, di nobile stirpe ma pagano, e da Bianca, virtuosa matrona cristiana. Ancora in fasce perdette la mamma, per cui venne affidato alla nutrice Crescenzia. Si dice che quando al dodicesimo giorno dalla nascita, il padre Hila volle attaccare al collo del bambino la bulla, cioè una medaglia con l’effigie degli dei Penati della casa, l’infante si mise a strillare e si strappò dal collo quell’amuleto pagano buttandolo via. Accettò invece la crocetta che Crescenzia gli aveva messo al collo di nascosto del padre, come pure accolse di buon grado gli insegnamenti cristiani impartitigli dalla nutrice. Quando Vito fu cresciuto, suo padre gli diede come precettore Modesto, uomo saggio e dotto di Mazara, affinché lo istruisse nelle lettere e nelle scienze: ma anche questo pedagogo era cristiano. Durante un’assenza del patrizio Hila, molti del suo palazzo si convertirono e ricevettero il battesimo da Modesto: primo fra tutti fu il giovanetto Vito. Si narra che a questi, appena battezzato, sia apparso il suo angelo custode che gli consegnò una croce, come presagio del suo martirio. Di ritorno Hila, venuto a conoscenza di ciò, non trascurò nessun mezzo, per indurre il figlio a rinnegare la religione abbracciata in sua assenza, ma nulla valse a smuovere la fede incrollabile dell’adolescente. Allora il crudele genitore, visto inutile ogni tentativo, consegnò il figlio al prefetto della Sicilia Valeriano affinché questi, con la sua autorità, riportasse Vito al culto degli dei dell’impero. Egli ordinò che il giovane venisse sottoposto alla flagellazione, ma ad un tratto, mentre i carnefici aizzati da Valeriano, infierivano contro quelle membra innocenti, ecco che le loro braccia si paralizzarono e soltanto per le preghiere di Vito, ritornarono a muovere gli arti. Solo allora il crudele tiranno rimandò Vito alla casa paterna. Tuttavia un angelo del Signore apparve in sonno a Vito, lo invitò a fuggire di casa con i suoi educatori e a rifugiarsi, nottetempo, su di una barca ormeggiata sul lido. Guidati dall’angelo in sembianze di nocchiero, navigarono verso Capo Egitarso, dove si rifugiarono in un bosco ed iniziarono il loro apostolato evangelizzando pastori e contadini. Vennero, però, ritrovati dai soldati dell’imperatore che li portarono a Roma. Nella città eterna Vito guarì nientemeno che la figlia, posseduta dal demonio (soffriva di epilessia), dell’imperatore Diocleziano, il quale gliel’avrebbe data in sposa ricolmandolo di onori, a patto però che abiurasse la fede cristiana. Vista vana ogni lusinga, l’imperatore ordinò che i tre santi venissero immersi in una caldaia di pece bollente e piombo liquefatto: ma da questo martirio uscirono indenni. Furono allora condotti nell’anfiteatro e dati in pasto ai cani idrofobi ed ai leoni, che si ammansirono stendendosi ai piedi di Vito. L’imperatore, molto adirato perché la folla degli spettatori cominciava a agitarsi, comandò di porre i tre confessori della fede su di un rogo, affinché consumassero il loro martirio. Morì il 15 giugno 304; patrono dei ballerini