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cura di don Riccardo Pecchia
Oggi 2 febbraio si celebra la Presentazione del Signore, è una festa del Signore; ricorda il corrispondente avvenimento della vita di Gesù, narrato nel Vangelo di Luca (2,22-39). È detta popolarmente chiamata festa della Candelora, perché in questo giorno si benedicono le candele, simbolo di Cristo “luce per illuminare le genti”, come il bambino Gesù venne chiamato dal vecchio Simeone al momento della presentazione al Tempio di Gerusalemme, che era prescritta dalla Legge giudaica per i primogeniti maschi. La festa è anche detta della Purificazione di Maria, perché, secondo l’usanza ebraica, una donna era considerata impura del sangue mestruale per un periodo di 40 giorni dopo il parto di un maschio e doveva andare al Tempio per purificarsi: il 2 febbraio cade appunto 40 giorni dopo il 25 dicembre, giorno della nascita di Gesù. Anticamente questa festa veniva celebrata il 14 febbraio (40 giorni dopo l’Epifania), e la prima testimonianza al riguardo ci è data da Egeria nel suo Itinerarium Egeriae (capitolo 26). La denominazione di “Candelora” data popolarmente alla festa deriva dalla somiglianza del rito del Lucernare, di cui parla Egeria: «Si accendono tutte le lampade e i ceri, facendo così una luce grandissima» (Itinerarium 24, 4), con le antiche fiaccolate rituali che si facevano nei Lupercali (antichissima festività pagana che si celebrava proprio a metà febbraio). Durante il suo episcopato, papa Gelasio I ottenne dal Senato l’abolizione dei Lupercali ai quali fu sostituita nella devozione popolare la festa appunto della Candelora. Nel VI secolo la ricorrenza fu anticipata da Giustiniano al 2 febbraio, data in cui si festeggia ancora oggi.
2 febbraio: santa Caterina de’ Ricci, (al secolo Alessandra Lucrezia Romola de’ Ricci), nacque a Firenze il 23 aprile 1522. Intorno ai 4 anni, rimase orfana della mamma, anche se la donna sposata dal padre in seconde nozze tenne degnamente il posto della scomparsa, rispettò la sua disposizione interiore alla preghiera e al raccoglimento, anzi aiutò la piccola ad ottenere dal padre il permesso di entrare come educanda nel monastero benedettino di San Piero a Monticelli, dove era badessa la sorella del padre. Mentre si trovava con la famiglia nella villa di campagna, conobbe due suore del monastero di San Vincenzo a Prato, fondato 30 anni prima ad opera di nove giovani donne conquistate dalla parola di fra Girolamo Savanarola. Direttore spirituale di questa comunità era lo zio padre Timoteo Ricci, ma non per questo il padre acconsentì alla richiesta della figlia di entrarvi; le concesse solo una breve esperienza di dieci giorni. Dopo numerose insistenze, all’età di 13 anni, il 18 maggio 1535, Alessandra prese dalle mani dello zio l’abito domenicano tanto desiderato, insieme al nuovo nome: Caterina, in onore della mamma morta e della grande Santa senese. Dopo alcuni mesi Caterina contrasse il vaiolo, che stava decimando gli abitanti di Prato, l’intervento soprannaturale la salvò da morte. Per opera di Caterina avvenivano numerosi miracoli e conversioni di cuori, perciò aumentava incredibilmente il numero dei visitatori, che disturbavano l’andamento della vita comune. A 30 anni fu eletta Priora, carica che le fu rinnovata altre sei volte. Liberò questo incarico di grande responsabilità e sacrificio ogni volta con vero spirito di servizio e dedizione. La sua profonda spiritualità era una luce per tutta la casa; l’osservanza della regola sotto la sua direzione era scrupolosa; nella vita comune non erano ammessi né il rilassamento né il falso rigore, ma era praticata la carità con schiettezza e finezza nel tratto, con l’attenzione particolare per le ammalate e l’assistenza amorosa verso le morenti, con l’incoraggiamento e il sostegno per chi era in momentanea difficoltà. Provvedeva, solerte ed ingegnosa, alle necessità del monastero e di ciascuna monaca: compito non facile, poiché le religiose erano arrivate al numero di 160. Manifestò una disinvolta accortezza nel disbrigo delle faccende pratiche, sia a favore della comunità, sia nel procurare aiuti a chi si rivolgeva a lei nel bisogno, tramite gli amici laici, divenuti suoi figli spirituali. Restò sempre in affettuoso contatto con i familiari (quattro sorelle entrarono nello stesso monastero) e li seguì nelle varie vicende della vita, spronandoli ogni volta ad essere fedeli al volere di Dio. Ebbe spesso a soffrire per le incomprensioni di quanti diffidavano delle sue grazie mistiche ed in un certo periodo subì calunnie e denunce presso le autorità pontificie per una questione riguardante la clausura del monastero: tutto si risolse grazie alla sua virtù paziente fondata nell’esclusivo aiuto di Dio, e al suo raro equilibrio. Giunta vicino ai 60 anni, manteneva intatto il suo giovanile entusiasmo, il suo spirito arguto, il suo tratto affabile, la sua intima unione con lo Sposo Crocifisso. Era però ormai prossima la chiamata definitiva di Dio a possedere per sempre il suo Amore ineffabile. Il 23 gennaio 1590 fu assalita da violenti dolori che la costrinsero a letto. Il 1 febbraio le fu recata in forma solenne l’Eucarestia e alla sera ricevette l’Unzione degli infermi, poi chiamò al suo letto le religiose, le novizie e le postulanti e lasciò loro le ultime istruzioni. Morì il 2 febbraio 1590, dopo una lunga malattia.
2 febbraio: san Nicola Saggio da Longobardi (al secolo Giovanni Battista Saggio), nacque il 6 gennaio 1650 a Longobardi (Cosenza), date le umili origini, non poté coltivare gli studi nonostante il talento, lavorando fin da piccolo nei campi. Il 3 maggio 1668 si aggregò all’Ordine dei Minimi come terziario, presso la chiesa dell’Assunta detta di San Francesco a Longobardi, anche se proseguì il suo lavoro di contadino fino all’età di 20 anni, solo da religioso e imparare a leggere e scrivere. La sua famiglia lo educò ai valori umani, morali e spirituali. D’animo nobile e gentile edificava tutti con la sua testimonianza di laico cristiano e di lavoratore e con il suo carattere riusciva ad accattivarsi la simpatia di tanti. Quando però manifestò il desiderio di entrare nei Minimi, sulle orme del fondatore san Francesco di Paola, i suoi familiari non furono subito contenti perché veniva meno per la famiglia un importante sostegno. Egli obbedì ai genitori e dopo l’ennesimo rifiuto perse la vista. Dinanzi a quel chiaro messaggio i genitori diedero il consenso per il suo ingresso nell’Ordine dei Minimi e il giovane Giovanni Battista riacquistò la vista. Dopo un anno di noviziato, scandito dai servizi più umili, il 29 settembre pronunciò i quattro voti di castità, povertà, obbedienza e quaresima perpetua e la promessa solenne come voto di fedeltà all’Ordine. Da quel giorno assumerà come nome quello di Nicola. Fu inviato, con le mansioni più umili di cuoco, dispensiere, ortolano, questuante, prima nel convento di Longobardi, poi a San Marco Argentano, Montalto Uffugo, Cosenza e Spezzano della Sila. Dal 1677 fu richiamato a Paola, dove il provinciale lo scelse come suo segretario per la Visita Canonica. Nel 1681 fu inviato nel convento di San Francesco da Paola ai Monti a Roma, perché aiutasse il parroco nell’assistenza religiosa al popoloso quartiere e facesse da portinaio. La sua giornata e la sua vita erano diventate preghiera e presenza di Dio. Dopo diversi anni passati a Roma, fece ritornò a Paola, dove restò due anni con il favore di papa Innocenzo XII. Nell’autunno del 1694 fu rimandato nel convento di Longobardi per curare l’ampliamento e il restauro della chiesa e del convento dei minimi; in questa occasione ricevette dalla famiglia Colonna, per volontà testamentaria della principessa donna Luisa de la Cerda, il corpo di santa Innocenza, martire cristiana dei primi secoli. Ritornato a Roma continuò a ricoprire l’incarico di sagrestano e di custode della Cappella del padre Fondatore adoperandosi per la questua della cera due volte l’anno. Non mancò di assistere i poveri e adoperarsi per gli indigenti, insieme ad una grande pietà che si manifestava nella pratica della visita alle Sette Chiese di Roma. A causa di una infiammazione polmonare si ammalò gravemente e rimase a letto per diverso tempo. Il 2 febbraio del 1709 ricevette l’Unzione degli infermi ed il 3 febbraio 1709, mentre reggeva in mano il Crocifisso, morì all’età di 59 anni.
2 febbraio: beato Andrea Carlo Ferrari, nacque a Lalatta di Palanzano (Parma) il 3 agosto 1850, da una famiglia di modeste condizioni economiche, ma ricca di fede. Accolto presso il seminario di Parma, il 20 dicembre 1873 fu ordinato sacerdote dal vescovo. Dopo un’esperienza di ministero parrocchiale e di insegnamento, a 27 anni, divenne rettore del seminario diocesano di Parma. Il 29 maggio 1890 venne eletto vescovo di Guastalla, nell’anno seguente vescovo di Como e nel 1894 cardinale e arcivescovo di Milano. Assunse allora accanto al nome di battesimo quello di Carlo in onore di san Carlo Borromeo. Raccontata così la vita del cardinal Ferrari sembra semplice, lineare, quasi tranquilla. In realtà Andrea Carlo, pastore estremamente attivo e pieno di iniziativa, dovette percorrere un cammino irto di grosse difficoltà. E furono difficoltà di vario genere, compreso un vero ostracismo che gli venne dall’interno della Chiesa stessa. In un’epoca in cui ciò era estremamente innovativo suscitò molte diffidenze negli ambienti curiali, che formularono un’esplicita accusa di modernismo. Nel seminario volle una cattedra di economia sociale e l’affidò al professor Giuseppe Toniolo (oggi beato) che godeva della fama di studioso molto preparato; diede il suo patrocinio e aiutò la fondazione di leghe operaie, agricole, industriali, società di mutuo soccorso, casse rurali. E alzò spesso personalmente la sua voce di pastore contro i latifondisti e i padroni delle fabbriche a difesa dei diritti dei lavoratori e del rispetto della persona. Con carità inesauribile nel periodo della prima guerra mondiale si pose a guidare ogni iniziativa per lenire le sofferenze dei soldati e delle loro famiglie. Mirò sopra ogni cosa alla santificazione del suo popolo con la collaborazione di un clero operoso, di cui fu eccellente educatore. Convocò tre Sinodi Diocesani e un Concilio Provinciale; promosse il Congresso Eucaristico Nazionale, quello di Musica Sacra e quello Catechistico. Fu il primo Cardinale a guidare un pellegrinaggio in Terra Santa. Istituì numerosi collegi per l’educazione dei giovani; attese alla costituzione dell’Università Cattolica e alla fondazione di quell’Opera di assistenza sociale che da lui prese il nome. Nel 1898, durante i disordini scoppiati a Milano, causati dal malessere sociale, vasti settori dell’opinione pubblica lo denigrarono violentemente: affranto e schiacciato dalle calunnie, ma fidando in Dio, Andrea Carlo non si arrese. Nonostante la sua provata fedeltà alle direttive della Sede Apostolica fu sospettato di modernismo e pubblicamente attaccato dagli intransigenti; nell’accusa vennero coinvolti seminario e clero. Vista inutile ogni difesa, il Cardinale si chiuse nel silenzio e nella preghiera, aspettando che l’ora delle tenebre passasse. Gli avvenimenti e le opere di 26 anni di episcopato milanese apparvero in una luce di verità durante la dolorosa malattia. Privo ormai di voce, perché affetto da un tumore alla gola, diede al suo popolo, che accorreva al capezzale, un mirabile esempio di eroica pazienza e di conformazione a Cristo Crocifisso. Morì il 2 febbraio 1921.