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Oggi 21 aprile la chiesa ricorda sant’Anselmo d’Aosta, nacque ad Aosta nel 1033, da una famiglia nobile, anche se in declino. Fin da bambino Anselmo espresse un forte sentimento religioso e un’altrettanta sete di conoscenza; Anselmo venne affidato a un istitutore, suo parente, che però si rivelò tanto severo da produrre in lui uno stato di infermità, dal quale guarì lentamente grazie alle cure materne. La sua educazione successiva venne affidata ai benedettini di Aosta. All’età di 15 anni Anselmo espresse il desiderio di diventare monaco; il padre, intenzionato a fare del ragazzo il proprio erede, si oppose a questa decisione e i monaci del convento locale, non volendo contrariarlo, respinsero la domanda di Anselmo. La delusione e la frustrazione per il rifiuto causarono una forte reazione nel giovane, che pregò Dio di ammalarsi in modo tale da impietosire i monaci e convincerli così ad accoglierlo, ma questo non bastò a far sì che Anselmo venisse accettato nel monastero. Quando morì la madre, si diede a vita mondana e dissipata, senza tuttavia abbandonarsi a gravi eccessi. Quando, però, la tensione dei suoi rapporti
con il padre divenne intollerabile, Anselmo, a 23 anni, lasciò la casa paterna e si recò in Francia e in Borgogna, dove rimase tre anni. Intorno al 1059, Anselmo giunse all’abbazia di Bec, in Normandia, allo scopo di conoscerne il priore, il beato Lanfranco di Pavia, la cui fama richiamava alunni da tutte le parti d’Europa. Ripreso dal desiderio di farsi anch’egli monaco, entrò nel monastero di Bec, dove fu un magnifico esempio per quei religiosi. Dopo soli tre anni, quando Lanfranco divenne abate dell’abbazia di Saint-Étienne di Caen, Anselmo gli subentrò nella carica di priore e nel 1078, alla morte del fondatore dell’abbazia di Bec, Erluino, Anselmo fu eletto abate all’unanimità dei confratelli. Anselmo fu apprezzato come abate per via della sua intelligenza, della virtuosità con cui conduceva la sua vita e della sua capacità di rapportarsi con gentilezza con tutti dentro e fuori il monastero, ma anche nel rapportarsi con i monaci, egli non era severo; anzi, pur di conservare un’atmosfera amorevole, mise alquanto da parte la severità della regola. Amava discutere con i suoi monaci di problemi filosofici e teologici, riuscendo a trovare soluzioni originalissime. Profondamente ancorato alla fede, non temeva di usare la ragione anche nell’applicazione ai misteri della fede. Gli interessi della sua abbazia lo obbligarono a compiere vari viaggi in Inghilterra quando egli era già abate. Fu perciò in Inghilterra che rivide il suo maestro Lanfranco, diventato nel 1070 arcivescovo di Canterbury. Successe a Lanfranco, e il 4 dicembre 1093 venne consacrato arcivescovo di Canterbury. E cominciarono ben presto i contrasti, con il re Guglielmo II d’Inghilterra, non solo per la questione delle investiture e per la libertà della Chiesa, che era, per Anselmo, «la cosa più amata da Dio in questo mondo». Il dissidio si acutizzò nell’assemblea di Rockingham nel marzo 1095; poi in quella di Windsor nel 1097; infine fu causa del primo esilio volontario di Anselmo, che andò a consultare a Roma papa Urbano II. Tornò in Francia e apprese della morte di Urbano II, avvenuta il 29 luglio 1099, e quella del re Guglielmo il 2 agosto del 1100, si affrettò alla sua sede in Inghilterra. Ma anche con il nuovo re Enrico I non tardò a romperla con l’arcivescovo, costringendolo, nel 1103, a riprendere la via dell’esilio per un nuovo ricorso a Roma. Seguirono molteplici tentativi di conciliazione e anche qualche simulato accordo del re; ma l’esule non poté rientrare in Inghilterra se non nel settembre 1106. Nel triennio che sopravvisse, Anselmo, continuò ad occuparsi dei doveri di arcivescovo, a meditare e a scrivere testi di teologia, finché spirò santamente. Morì il 21 aprile 1109, a 76 anni.
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