a cura di don Riccardo Pecchia
Oggi 21 febbraio la chiesa ricorda san Pier Damiani, nacque a Ravenna verso la fine del 1006, da una famiglia estremamente povera, tanto che la madre, in un primo momento, l’abbandonò. Educato dalla sorella Roselinda, poi lo accolse in casa il fratello secondogenito, che lo costrinse a durissimi servizi e lo maltrattò. Lasciò poi la casa del fratello malvagio e venne accolto dal fratello Damiano, arciprete. Probabilmente per riconoscenza verso questo fratello Piero aggiungerà al suo nome “Damiani”. Il fratello Damiano, arciprete a Ravenna, si occupò di fornire un’educazione a Piero. Lo inviò a Faenza, in una scuola migliore di quelle di Ravenna, ma forse anche con l’intento di allontanarlo dal fratello malvagio. Arrivato a Faenza a 15 anni, Piero vi rimase per 4 anni. Terminati gli studi a Parma tornò a Ravenna dove intraprese la carriera di insegnante, che lo occupò fino a 28 anni. Divenne un rinomato maestro di arti liberali, con molti allievi e acquisendo fama e una certa agiatezza economica. Durante l’insegnamento maturò l’idea di dedicarsi alla vita monacale. L’ingresso nella vita monastica avvenne quando conobbe a Ravenna due eremiti di Fonte Avellana, eremo fondato da san Romualdo. Attratto dalla loro umile e composta modestia, li seguì nel loro eremo e vi si fece monaco. A Fonte Avellana, grazie al suo passato di maestro divenne ben presto magister dei novizi; fu richiesto quale oratore dall’abate di Pomposa Guido degli Strambiati, per istruire la sua comunità; fu invitato in altri monasteri dell’Italia centrale. A fine 1043, in occasione della morte del priore Guido, ritornò a Fonte Avellana, dove venne eletto dai suoi confratelli come suo successore. Rimase priore per 14 anni, fino al 1057. Durante il suo priorato si adoperò nell’organizzazione e nella promozione della vita eremitica e di attuare gli ideali monastici nel suo monastero. Papa Stefano IX lo nominò cardinale e vescovo di Ostia, cioè uno dei sette cardinali vescovi suburbicari a più stretto contatto con il Papa. Pier Damiani non accolse la nomina con favore, si sentiva portato alla vita eremitica, implicante silenzio, penitenza, preghiera. Si trasferì per obbedienza a Roma, a stretto contatto col papa e con la corte pontificia, dove rivestì un ruolo di primissimo piano. Nel novembre 1059 papa Niccolò II inviò Pier Damiani a Milano, assieme ad Anselmo da Baggio, vescovo di Lucca (futuro papa Alessandro II). In quella città lo scandalo della compravendita delle cariche religiose (simonia) era sotto gli occhi di tutti. Il matrimonio dei sacerdoti era prassi corrente, come lo era il comportamento licenzioso di molti religiosi. Le riforme avviate dal papato trovarono nella chiesa ambrosiana una forte opposizione, perché rivendicava la sua autonomia. In controtendenza un gruppo di sacerdoti e diaconi, tra cui sant’Arialdo e i fratelli Landolfo ed Erlembaldo Cotta formarono nella città ambrosiana un movimento che gli oppositori soprannominarono Pataria, da patée che in dialetto milanese significa straccione. Questo movimento si scagliava contro il concubinato del clero e contro il discredito che alcuni porporati gettavano sulla Chiesa. Pier Damiani riunì tutto il clero in cattedrale e, richiamata l’autorità di papa Niccolò, riuscì a strappare un accordo di accettazione del celibato del clero. Nell’aprile 1060 Niccolò decise di unire la diocesi di Velletri, sotto la giurisdizione della diocesi di Ostia, ciò raddoppiò il carico di lavoro e responsabilità del monaco. Pier Damiani continuò a non amare la vita di curia e chiese più volte a papa Alessandro II di permettergli di ritornare al chiostro, cosa ce avvenne nel 1067, tornò a Fonte Avellana, rinunciando a tutte le sue cariche. Pier Damiani alternò gli ultimi anni della sua vita tra il ritiro eremitico e le missioni compiute a favore della Chiesa. Durante una di queste missioni, un’improvvisa malattia lo costrinse a fermarsi a Faenza, dove fu ospitato nel monastero benedettino di Santa Maria Fuori le Mura. Morì il 21 febbraio 1072.
21 febbraio: santa Eleonora di Provenza, nacque a Aix-en-Provence (Francia) nel 1223 circa, da Raimondo Berengario IV, conte di Provenza, e da Beatrice di Savoia. Donna di grande pietà ed amante delle lettere, il 13 gennaio 1236 sposò il re Enrico III d’Inghilterra, nella cattedrale di Canterbury e l’incoronazione avvenne il 20 gennaio 1236, a Londra, nell’abbazia di Westminster. Nella sua nuova residenza inglese fu seguita da numerosi suoi parenti e connazionali, che abbandonarono la Provenza in cerca di maggior fortuna. Molti di essi, infatti, riuscirono con la sua intercessione ad occupare vari importanti uffici pubblici, ma il favoritismo di Eleonora nei loro riguardi suscitò contro di lei una grande impopolarità da parte dei sudditi inglesi. Questi insorsero nel 1261, costringendola a rifugiarsi nella Torre di Londra. Allorché Enrico III fu fatto loro prigioniero nel 1264, durante la battaglia di Lewes, ad Eleonora non restò che fuggire nel continente, ove riunì un esercito con cui riuscì a far liberare il marito. Tornata dunque in Inghilterra nel 1265, insieme al Legato Pontificio, Eleonora non mancò di esercitare una grande influenza, sia durante il regno di Enrico, sia nei primi anni del regno del figlio nato dalla loro unione, Edoardo I. Dopo essersi occupata di allevare ed educare molti nipoti, si ritirò dalla vita pubblica, il 3 luglio 1276 dove prese il velo nell’abbazia benedettina di Amesbury (Inghilterra), ove trascorse i suoi giorni sino alla morte, ma rimase in contatto con il figlio Edoardo e la sorella Margherita. Morì il 25 giugno 1291.
21 febbraio: beato Nöel Pinot, nacque ad Angers (Francia) il 19 dicembre 1747. Nel 1765, a 18 anni, entra in seminario. Fu ordinato al sacerdozio il 22 dicembre 1770, a 24 anni. Uomo e prete tranquillo, chiamato a incarichi modesti ad Angers. Dopo l’ordinazione è stato per un decennio collaboratore di vari parroci nella regione, e solo nel 1781 gli hanno dato un posto fisso, quello di Cappellano dell’ospedale degli incurabili di Angers e poi successivamente come parroco di Le Louroux-Béconnais. In questo centro a 27 chilometri da Angers, Noël continua a vivere umilmente, e di lui non si ricordano imprese clamorose. Un’esistenza sottovoce, com’erano i suoi discorsi nell’ospedale di Angers, agli “incurabili”. Però si ricorda una piccola “riforma” sua, a favore di altra gente dalla voce fioca: fin dal primo momento, egli destina ai poveri del paese la maggior parte della sua rendita come parroco. Non c’è altro da segnalare sul conto di lui, uomo e prete delle piccole cose, delle parole sommesse. Nulla, fino alla rivoluzione francese del 1789; anzi, fino al 12 luglio del 1790, quando si inaugura in Francia la Costituzione civile del clero, che tende a fare di ogni sacerdote in cura d’anime uno stipendiato governativo legato da giuramento. Ogni parroco, per conservare il posto, deve assoggettarsi alla legge e giurare. Oppure dimettersi. Noël rifiutò di prestare giuramento e fu destituito. Destituito da parroco con espulsione immediata, lui rimane ugualmente lì. Ma si direbbe che ci resti ancora in silenzio: non risultano solenni proteste sue contro il sopruso, come accade in molti casi simili. Lui sta zitto, ma non se ne va, finché nel marzo 1791 viene ad arrestarlo la Guardia nazionale. Finisce sotto processo ad Angers con accuse di cospirazione contro lo Stato e ribellione alle sue leggi. Più volte processato ad Angers lo assolvono, perché non ci sono prove, non una parola o un gesto suo da ribelle. Ma c’è subito un altro processo a Beaupréau, in appello; e un’altra assoluzione. Costretto a vivere qua e là di elemosine, come tanti sacerdoti fedeli al Papa, battezzava e confessava di nascosto. Fino al giorno in cui, nel giugno 1793, scoppiò la rivolta dei Vandeani, un gruppo di contadini male armati e peggio vestiti, che lo reinsediarono a Saint Aubin. Ma la resistenza Vandeana finì schiacciata nel sangue e i preti dovettero darsi alla macchia. I Repubblicani sorpresero Noël nella masseria della vedova Peltier-Tallandier, coi paramenti sacerdotali indosso, stava celebrando una messa per quel popolo che sfidava la morte pur di non rinunciare alla fede dei loro padri. A chi denunciava un prete veniva ricompensato. Un certo operaio chiamato Niquet, che Noël aveva sempre soccorso con il suo aiuto, lo riconosce. La speranza del premio di cento lire gli fa dimenticare tutti i benefici ricevuti dal prete, corre a denunciarlo. Immediatamente la guardia nazionale va a prenderlo e ci fu il terzo processo-farsa. Lo stesso giorno del 21 febbraio 1794, fu condannato alla ghigliottina per fanatismo religioso, senza accuse specifiche. Viene condotto al patibolo ancora rivestito dai paramenti liturgici. Sale a celebrare il sacrificio di sé stesso, con le parole latine di quando iniziava la messa: «Introibo ad Altare Dei! Ad Deum qui laetificat juventute meam!». Morì il 21 febbraio 1794, a soli 48 anni.
21 febbraio: Serva di Dio Colomba Napolitano, nacque a Casamarciano (Napoli) il 30 aprile 1770, da Antonio ed Angela Sica poveri e onesti genitori. Secondo le consuetudini del tempo, il giorno dopo la nascita, ricevette il sacramento del battesimo nell’attuale parrocchia con il nome Colomba, da tutti chiamata “colomba d’oro”. Un nome a lei appropriato poiché quasi dagli inizi del cristianesimo la colomba, animale dalla natura dolce e mite, è stato un simbolo di purezza e innocenza e le sue ali rappresentano l’elevarsi dell’anima amante di Dio al di sopra di ogni affetto terreno. Fin da piccola imparò a temere Dio e fuggire dal peccato, non trascurando mai il Sacramento della Confessione e consacrando al Signore la sua verginità. Subì tentazioni e strapazzi da parte del demonio e alle tante sofferenze si aggiunsero la coronazione di spine e le stimmate di Nostro Signore Gesù Cristo e il peso della Santa Croce sulla spalla destra; ma ella, appena si accorse della comparsa delle stimmate, pregò il Signore affinché anche a lei, come a santa Caterina da Siena, potessero sparire i segni ma non i dolori. Il Signore accolse ben volentieri il suo umile desiderio. Colomba era molto legata alla figura di Maria Santissima Addolorata; infatti, passava molte ore ai piedi dell’altare dell’Addolorata a pregare. Dal 15 dicembre 1816, primo giorno della novena di Natale, inizia la lunga agonia di Colomba che la prepara all’incontro eterno con il Signore. Morì il 21 febbraio 1817.