Oggi 24 aprile la chiesa celebra santa Maria di Cleofa, era molto probabilmente sorella o cugina di Maria, madre di Gesù, ma secondo l’opinione più diffusa sarebbe sorella di Giuseppe, cognata di Maria. Sposa di Cleopa (nome volgarizzato in Cleofa), fratello di san Giuseppe, è la madre di quelli che nella Bibbia sono chiamati “i fratelli di Gesù”, termine che nel linguaggio semitico indicava anche i cugini, tra questi Giacomo il minore (Mt 27,56; Mc 15,40; Lc 24,10), che diventerà vescovo di Gerusalemme (Maria di Cleofa è per questo conosciuta anche come Maria Jacobi). Maria di Cleofa faceva parte del gruppo di donne che seguirono Gesù per tutta la Galilea e Giovanni evangelista la presenta con la Vergine e Maria di Magdala, ai piedi della croce (Gv 19,25). Maria di Cleofa rimase presso il Calvario dopo la morte del Redentore, assistette alla sua sepoltura e si recò con le altre donne al sepolcro, prime testimoni della risurrezione del Cristo.
24 aprile: santa Maria Salome, il suo nome in ebraico shalom significa pace. Maria Salome nel Vangelo viene nominata, come moglie di Zebedeo, madre degli apostoli Giacomo e Giovanni e anche come suocera di Pietro e Andrea. Dopo l’Ascensione di Gesù, superato un periodo di smarrimento per essere «rimasti soli» gli apostoli seppero cogliere il significato del “nuovo messaggio” e partirono per portare il Vangelo agli altri popoli. Anche santa Salome partì, accompagnata da san Biagio e san Demetrio. Dopo un lungo pellegrinaggio evangelizzante, giunse a Veroli. Maria Salome viene ospitata presso l’abitazione di un pagano: un uomo che si convertì e venne battezzato e chiamato Mauro. I suoi compagni di viaggio però non ebbero molta fortuna perché vennero perseguitati ed uccisi. Nella casa di Mauro Maria Salome godette della tranquillità necessaria per evangelizzare Mauro e le persone del circondario, ma dopo pochi mesi morì. Recenti indagini fanno affiorare l’ipotesi che anche la santa subì una serie di percosse che la portarono alla morte. Mauro ebbe la sensibilità di curare personalmente la sepoltura di Salome; ne raccolse le spoglie e le racchiuse in una urna di pietra, sulla quale incise le parole: Hae sunt reliquiae B. Mariae Matris apostolorum Jacobi et Joannis. Timoroso e impaurito dall’eventualità di subire anch’egli il martirio, da parte dei suoi stessi concittadini, Mauro lasciò la propria abitazione e trovò rifugio nella Grotta di Paterno, dove morì dopo tre giorni. La storia di Salome, dopo la sua morte, si tinge di mistero. La sua urna, con le spoglie mortali, venne rinvenuta. Tutti gli intervenuti credettero di aver trovato un grande tesoro ma, ben presto delusi, abbandonarono i resti mortali rinvenuti e nessuno prestò attenzione particolare all’epigrafe. Un greco, di religione cristiana, interpretò la scrittura, raccolse le ossa, le avvolse in un panno e le nascose in un anfratto delle mura della città. Era sua intenzione trasportarle nella sua patria. Su una pietra incise le parole: Maria Mater Joannis Apostoli et Jacobi ene ista. Il greco non poté realizzare il suo progetto e i resti mortali furono ritrovati il 25 maggio del 1209, da un certo Tommaso. Tommaso aveva sognato san Pietro e santa Maria Salome e aveva ottenuto la rivelazione del luogo della sepoltura. I resti della sepoltura vennero presentati al vescovo di Penne, all’abate di Casamari e di Santa Anastasia in Roma e ad altri monaci. I vescovi presenti sollevarono le reliquie per mostrarle alla folla numerosa: circa cinque mila persone e da un osso della tibia iniziò a sgorgare del sangue. Il prodigio apparve subito inspiegabile: vecchie ossa calcinate versavano sangue vivo. Nel vedere ciò, tutto il popolo si raccolse in preghiera e rese grazie a Dio. Maria Salomè viene menzionata due volte nel Vangelo di Marco con il nome di «Salome» (Mc 15,40 e 16,1), ma grazie ad un confronto parallelo col testo di Matteo (Mt 27,56) la si può identificare come «la madre dei figli di Zebedèo»: Giacomo il Maggiore e Giovanni l’Evangelista, la tradizione la chiamerà, in seguito, «Maria Salome». Insieme all’altra Maria, la madre di Giacomo detto il Minore, andava al seguito di Gesù come discepola fin da quando era ancora in Galilea. È presente durante l’esecuzione di Gesù insieme a Maria di Giacomo ed a Maria Maddalena: insieme verranno in seguito indicate dalla tradizione come “le Tre Marie”. Saranno le prime a ricevere l’annuncio della sua resurrezione e l’incarico di diffondere la buona novella.
24 aprile: san Fedele da Sigmaringer (al secolo Markus Roy), nacque a Sigmaringen (Germania) il 1 ottobre 1577, da una famiglia sinceramente cattolica. Dopo aver compiuto i primi studi nella città natale, nel 1601 Marco si laurea in filosofia nel collegio dei gesuiti di Friburgo. Tra il 1601 e il 1604 frequenta i corsi di giurisprudenza che interrompe, dal 1604 al 1610, per accompagnare un gruppo di studenti universitari, di famiglie nobili, in un viaggio di formazione lungo la Spagna, la Francia e l’Italia. Tornato a Friburgo, nel 1611 conseguì il dottorato in utroque jure, il 7 maggio 1611, ma esercitò l’avvocatura per pochissimo tempo, quello necessario per essere soprannominato “l’avvocato dei poveri” perché difendeva gratuitamente coloro che non avevano denaro a sufficienza per pagarsi un avvocato. Rimasto presto deluso da quella professione, il 4 ottobre 1612, decise di entrare, insieme a suo fratello, tra i cappuccini del convento di Friburgo e venne ordinato sacerdote. Nel settembre del 1612, a 34 anni, venne ordinato sacerdote e il 4 ottobre 1613 è accolto nel noviziato di Friburgo con il nome di fra Fedele. Dopo l’anno di noviziato Fedele iniziò a Costanza i quattro anni di teologia che termina nel 1618 a Frauenfeld. In quello stesso anno fu nominato padre guardiano del convento di Rheinfelden e poi, per la saggezza del suo governo, fu confermato superiore anche nei conventi di Feldkirch, Freiburg e di nuovo Feldkirch. Mentre ricopriva, per la seconda volta, l’incarico di guardiano del convento di Feldkirch si prodigò nell’assistenza dei soldati colpiti dalla peste. Divenne presto celebre a causa di alcuni opuscoli anti-calvinisti ed anti-zwingliani, tanto che il vescovo di Coira nel 1614 gli richiese di formare un gruppo di frati missionari per cercare di contenere il dilagare delle idee protestanti nella sua diocesi. Fedele accolse la richiesta solo nel 1621 e l’anno seguente la pontificia Congregazione de Propaganda Fide (appena istituita) lo nominò Superiore delle missioni nei Grigioni: viaggiò in tutta la regione predicando e suscitando conversioni, soprattutto durante la quaresima del 1622. Le conversioni furono numerose, ma l’intolleranza di molti finì per creare attorno al predicatore una vera ondata di ostilità, soprattutto da parte dei contadini calvinisti del cantone svizzero dei Grigioni, scesi in guerra contro l’imperatore Leopoldo V d’Austria. Più che scontata quindi l’accusa mossa a Fedele d’essere un agente al servizio dell’imperatore cattolico. Fedele continuava impavido la sua missione, recandosi di città in città a tenere corsi di predicazione. Il 24 aprile del 1622, a Seewis im Prättigau (Svizzera), durante la predica domenicale, si udì qualche sparo. Fedele portò ugualmente a termine la predica e uscito di chiesa dove aveva appena terminato di celebrare la messa, si riavviò verso casa. All’improvviso gli si fecero attorno una ventina di soldati, capeggiati da un ministro, che in seguito si sarebbe convertito. Gli intimarono di rinnegare quanto aveva predicato poco prima e, al suo rifiuto, lo colpirono pesantemente al capo, ebbe appena il tempo di pronunciare parole di perdono, prima di essere abbattuto a colpi di spada. Morì il 24 aprile 1622, a 44 anni.