a cura di don Riccardo Pecchia
Oggi 25 novembre la Chiesa celebra santa Caterina d’Alessandria, nata ad Alessandria d’Egitto, figlia di nobili, fu dotata dalla natura di un ingegno e di una bellezza così rara, che era stimata la più fortunata giovane della città. Qui, nel 305, arriva Massimino Daia, nominato governatore d’Egitto e Siria (che si proclamerà Augusto, cioè imperatore, nel 307), tenne grandi festeggiamenti in proprio onore ad Alessandria, che includono anche il sacrificio di animali alle divinità pagane, un atto obbligatorio per tutti i sudditi, e quindi anche per i cristiani, ancora perseguitati. Caterina educata in tutte le scienze, ma soprattutto nella filosofia dai più celebri maestri, seppe innalzare il suo intelletto al disopra delle cose materiali, perciò, appena sentì parlare di Cristo, il suo ingegno aiutato dalla grazia di Dio comprese che essa era la vera religione, e l’avrebbe abbracciata subito. Ma il Signore, che la voleva sua sposa, affrettò il suo ingresso nella schiera delle candide colombe a lui consacrate. Caterina si fece battezzare, dedicandosi alla beneficenza ed all’istruzione dei pagani. E tanto crebbe la fama della sua carità e del suo sapere, che giunse alle orecchie dello stesso imperatore Massimino, uomo celebre per la sua ferocia. Egli fece chiamare Caterina alla sua presenza, per avere notizie più certe di ciò che udiva di lei. Ma appena ascoltò dalla stessa Caterina che era cristiana, subito con minacce ed imprecazioni ordinò che rinunciasse a quel culto da lui odiato, e sacrificasse a Giove. La giovane non si intimorì a quelle parole, ma rispose che era sicura di rimanere nella religione che professava, e incominciò a parlare della vanità degli dei e della verità dell’unico vero Dio con parole così ardenti che l’imperatore rimase stupito. Furono convocati alcuni filosofi pagani perché la convincessero dell’errore, tuttavia, per l’eloquenza di Caterina, non solo non la convertirono, ma essi stessi furono prontamente convertiti al cristianesimo. A tale sconfitta il feroce imperatore condannò a morte sul rogo quei nuovi convertiti, e presa Caterina, dopo insulti e disprezzi, comandò che il suo corpo fosse legato ad una ruota dentata e le fossero strappate le carni. La santa non si intimorì per simile supplizio, ma felice di dar la vita per il suo Sposo, si apprestò a morire fra quei tormenti. Appena quel corpo verginale fu a contatto con lo strumento del suo martirio, questo si spezzò, producendo panico fra i carnefici. Non si piegò l’animo di Massimino, e comandò che Caterina fosse immediatamente condotta fuori della città e le fosse tagliato il capo. Giunta al luogo del martirio, le furono bendati gli occhi ed il carnefice con un colpo staccò il capo di Caterina, ma da quella ferita sgorgò abbondante latte, ultima testimonianza della sua innocenza. Il suo corpo venne dagli stessi Angeli trasportato da Alessandria fino al Monte Sinai, dove ancora oggi l’altura vicina a Gebel Musa (Montagna di Mosè) si chiama Gebel Katherin. Questo avveniva il 25 novembre 305; patrona dell’Università di Padova e dell’Università di Siena.
25 novembre: san Mercurio di Cesarea, era figlio del soldato scita e cristiano Gordiano e si chiamava Filopatròs (colui che ama il padre). Visse in un’epoca, III secolo d.C., in cui nell’Impero Romano si faceva sempre più strada il cristianesimo a scapito del paganesimo e degli equilibri di potere e sociali, e per tali ragioni venivano attuate dagli imperatori del periodo le persecuzioni nei confronti dei cristiani. Fu un soldato sotto gli imperatori Decio e Valeriano, la cui carriera lo portò al rango di generale. Il soldato Filopatròs venne ribattezzato dai suoi commilitoni Mercurio in quanto vedevano in lui le doti dell’eloquenza, del dialogo e delle buone maniere, per le quali era venerato questo dio pagano. Pertanto Mercurio si distinse sia come legionario per i suoi meriti militari nell’esercito imperiale romano sia per il suo incrollabile esempio di convinta fede cristiana. Quando i due imperatori decisero di iniziare le loro persecuzioni contro i cristiani, Mercurio rivelò all’imperatore la propria fede, fu dapprima imprigionato e torturato più volte, da cui guarì miracolosamente guarito da un angelo ed infine subì il martirio nel 250 d.C., sotto l’imperatore Decio che lo fece decapitare a Cesarea, in Cappadocia, sua città natale. I suoi resti mortali giunsero in Italia nel 663 per mano dell’imperatore Costante II che volle trasferire la capitale del suo impero da Bisanzio a Roma ma, dopo essere sbarcato a Taranto ed aver devastato i territori del meridione italiano per raggiungere più facilmente la Città Eterna, fu fermato e sconfitto a Benevento dal duca longobardo Romualdo, che s’impossessò delle spoglie di san Mercurio martire e per motivi di sicurezza le fece custodire nella fortificazione di Quindici, nell’avellinese. Il duca longobardo Arechi II, il 26 agosto dell’anno 768, fece trasferire di nuovo i resti mortali di san Mercurio a Benevento, dove furono tumulati nella Basilica di Santa Sofia, ma successivamente, per evitare che venissero sottratti dai nemici nel corso delle varie battaglie che interessavano la città, essi vennero trasferiti nel Santuario di Montevergine, dove si trovano tuttora.