a cura di don Riccardo Pecchia
Oggi 26 aprile la chiesa celebra Beata Vergine Maria del Buon Consiglio (Mater Boni Consilii), è uno dei titoli con cui viene invocata Maria, madre di Gesù. Le ragioni per cui a Maria ben si addice questo titolo furono esposte dal cardinale Serafino Cretoni nel decreto Ex quo Beatissima Vergine del 22 aprile 1903, emesso in occasione dell’inserimento, voluto da Leone XIII, dell’invocazione “Mater Boni Consilii, ora pro nobis” nelle litanie lauretane: «Dall’istante in cui la Beata Vergine Maria […] accettò […] l’eterno disegno di Dio e il mistero del Verbo Incarnato […] meritò di essere chiamata anche Madre del Buon Consiglio. Inoltre, ammaestrata dalla viva voce della Sapienza divina, quelle parole di Vita ricevute dal Figlio e conservate nel cuore, le riversava generosamente sul prossimo». Maria è colei che mostra il cammino e illumina le menti di pie donne, discepoli e apostoli di Gesù. Nel decreto si fa pure riferimento all’episodio delle nozze di Cana, durante le quali Maria pronuncia le ultime parole attribuitele dai Vangeli: «Fate quello che vi dirà», il più eccellente e vantaggioso dei consigli. Dalla croce, infine, Gesù si rivolge al discepolo dicendo «Ecco, tua Madre», invitando tutti i cristiani a seguire come figli la strada indicata da Maria, egregia consigliera. La tradizione attribuisce l’introduzione del titolo mariano di Mater Boni Consilii a papa Marco, al quale sarebbe da ascrivere l’evangelizzazione del territorio di Genazzano; l’erezione a Genazzan (Roma) o di una chiesa dedicata a Maria Mater Boni Consilii risalirebbe invece al pontificato di papa Sisto III e sarebbe da ricollegare al fatto che da quelle terre provenivano i beni utilizzati per finanziare la costruzione della basilica liberiana, Santa Maria Maggiore, a Roma. La chiesa della Madre del Buon Consiglio, per interessamento del principe Piero Giordano Colonna, con atto del 27 dicembre 1356 furono affidati ai frati eremitani di sant’Agostino. Il 25 aprile 1467, festa di san Marco, patrono di Genazzano, su una parete della chiesa “apparve mirabilmente” un dipinto, raffigurante la Vergine con il bambino Gesù, che abbraccia teneramente sua Madre, che era stato ricoperto in calce: l’immagine divenne presto oggetto di grande devozione popolare e si diffusero leggende secondo cui il dipinto sarebbe stato trasportato dagli angeli da Scutari (Albania) per sottrarlo ai turchi che stavano invadendo l’Albania. Dal titolo della chiesa, l’immagine prese il nome di Madre del Buon Consiglio.
26 aprile: santi Anacleto (Cleto) e Marcellino; Anacleto fu il 3° vescovo di Roma e papa della Chiesa cattolica; nacque ad Atene (Grecia), figlio di Antioco. Visse sotto gli imperatori Tito Flavio Vespasiano, Tito e Domiziano; quest’ultimo scatenò una violenta persecuzione contro i cristiani che culminò nell’anno 95; essendo Cleto morto nel 92, probabilmente non subì il martirio con la maggior parte dei cristiani della città, come affermava una secolare tradizione orale. Fu consacrato papa, succedendo a papa Lino, sotto il regno di Tito quando, il 24 agosto 79, l’eruzione del Vesuvio causò la distruzione delle città di Stabiae, Ercolano e Pompei, città dove era già presente una folta comunità di cristiani. Nella storia di Roma di quel periodo si ricorda che l’anno successivo all’eruzione fu inaugurato l’anfiteatro Flavio (Colosseo) e, nell’85, fu inaugurato lo stadio Domiziano (piazza Navona). Questi tre episodi provocarono diverse reazioni nella comunità cristiana. Se il primo fu letto, insieme alla distruzione di Gerusalemme di nove anni prima, come un indizio della prossima fine del mondo e del conseguente avvento del profetizzato regno di Dio, gli altri due, a così breve distanza, rappresentarono un trionfo del paganesimo ed un netto ridimensionamento delle aspettative cristiane. Durante il suo pontificato ordinò 25 sacerdoti, ai quali avrebbe imposto la tonsura, e curò l’edificazione di un sepolcro presso la Tomba di Pietro, dove venne sepolto. Morì a Roma nel 92 d.C. circa. In questo stesso giorno la Chiesa ricorda Marcellino, 29º vescovo di Roma e papa della Chiesa cattolica; nacque a Roma dal padre Proietto. Marcellino è ricordato come un uomo devoto, pio e casto. Fu eletto papa il 30 giugno 296. All’inizio della sua carriera da pontefice, il suo operato fu reso sereno e possibile dalla pax stabilita in precedenza con l’imperatore Caio e mantenuta dall’attuale imperatore. Marcellino poté in tal modo dedicare la sua esistenza alla comunità, riservando una particolare attenzione alle famiglie più bisognose. Quando l’impero passò nelle mani di Diocleziano, però, le cose cambiarono. La politica cominciò a subire dei forti scossoni, e così fu stabilita una tetrarchia e le funzioni del governo furono tripartite, per meglio gestire l’esercizio del potere. Diocleziano divenne capo dell’impero romano d’oriente, Galerio governatore di Roma e Massimiano governatore dell’impero romano occidentale. Galerio, che era anti cristiano, cominciò la “nona persecuzione”. Il 23 febbraio 303 cominciarono le devastazioni romane, con l’incendio della chiesa di Nicomedia. I romani distrussero quasi tutto e mandarono a morte tutti coloro che si opponevano e che si ribellavano, fu addirittura massacrata un’intera legione dell’esercito notoriamente cristiana, la legione tebea. Marcellino fu imprigionato e gli fu imposto di sacrificare agli idoli da Diocleziano e Massimiano, ma non acconsentì, e così fu minacciato di atroci sofferenze e disumane torture. Egli, spaventato dal dolore della tortura, bruciò due grani di incenso su un altare pagano dedicato agli dei. I cristiani furono molto delusi dal comportamento di Marcellino e così si recarono da lui infuriati per rimproverarlo, allora chiese ai vescovi di essere giudicato, ma questi gli risposero che a nessuno è dato di giudicare il papa e che si sarebbe dovuto giudicare da solo. Pentito e disperato, Marcellino si depose dal ruolo di pontefice, piangendo, ma i fedeli elessero lui nuovamente. Quando gli imperatori romani lo vennero a sapere, lo fecero imprigionare e gli chiesero nuovamente di sacrificare agli idoli, ma questi si oppose con tutte le sue forze. Così fu ordinata la decapitazione di Marcellino.
26 aprile: san Pascasio Radberto, nacque a Soissons (Francia) nel 792 circa, abbandonato di genitori subito dopo la nascita sui gradini della chiesa di Notre Dame di Soissons, le monache benedettine lo consegnarono all’abbazia dei Benedettini di San Pietro, dove fu educato. Venne battezzato col nome di Radberto. Pur avendo ricevuto giovanissimo, a 22 anni, la tonsura, per qualche tempo condusse una vita dissoluta, ma ad un certo punto, disgustato, si fece monaco a Corbie, presso Amiens in Piccardia, sotto la guida di sant’Adalardo di Corbie, assumendo il nome di Pascasio. Dall’822 all’849, Pascasio viaggiò attraverso la Francia, la Germania e l’Italia; dopo aver diretto la scuola claustrale, fu eletto abate partecipando al concilio di Parigi nell’847 e, due anni dopo, a quello di Quierzy-sur-Oise. Nell’844 fu eletto abate di Corbie. A un certo punto il monastero fu sconvolto da agitazioni provocate da discussioni con il monaco Ratramno sui temi della predestinazione e dell’Eucaristia, e da interferenze del re Carlo il Calvo. Per calmare le acque, Pascasio nell’851 si dimise autorizzando i monaci a eleggersi un successore e ritirandosi nell’abbazia di Saint Riquier, fondato da san Ricario di Centula, per dedicarsi ai suoi studi. Si dedicò alla filosofia «per essere nutrito nell’autunno della vita con il latte delle Scritture». Anni dopo tornata la pace a Corbie, vi fu richiamato ed egli accettò a patto di vivere come semplice monaco, continuando a scrivere di storia e di teologia. Praticò l’umiltà al punto di rifiutare il sacerdozio, di cui si sentiva indegno. Eppure, per il suo sapere e per le sue opere, è considerato il più grande teologo del secolo IX. Convinto difensore dell’Eucaristia, nell’831 compose il trattato De Corpore et Sanguine Domini, a ricordo del quale Pascasio fu raffigurato in veste di abate, mentre un angelo sceso dal cielo gli mostra un ostensorio. Ma Pascasio ebbe un ruolo importante anche nel campo della mariologia con il De partu Virginis e con il De nativitate Mariae, un tempo erroneamente attribuito a san Girolamo. Nell’846 compose anche un trattato sull’Assunzione di Maria e numerose opere ascetiche. Morì il 26 aprile 865, e per sua volontà, fu seppellito nel reparto dei poveri e servitori del monastero.
26 aprile: santi Guglielmo e Pellegrino, la loro storia ci viene raccontata dal canonico Pasquale Manerba nel libro “Memorie della città di Foggia”. Guglielmo e Pellegrino in questo testo vengono descritti come abitanti della città di Antiochia dove Guglielmo amministrava i suoi beni. Pellegrino era l’unico figlio di Guglielmo, il piccolo fin da tenera età si mostrò un fervente cristiano, al punto che, nonostante le insistenze del padre, abbandonato ogni agio, andò in pellegrinaggio in Terra Santa. Una volta giunto a Gerusalemme vi abitò a lungo e prestò la sua opera in un ospedale. Suo padre, preoccupato per l’unico figlio, cercò inutilmente di avere notizie del figlio, finché decise di andare lui stesso a Gerusalemme, nonostante fosse in età avanzata. In Terra Santa però si ammalò e venne ricoverato proprio nello stesso ospedale dove il figlio prestava la sua opera. L’anziano padre non riconobbe il figlio, mentre Pellegrino, pur riconoscendo il genitore, non volle manifestarsi per timore di essere distolto dalla sua missione. Un giorno però, mentre cresceva il dolore dell’uno e dell’altro, e Guglielmo era ormai in punto di morte, Pellegrino decise di dichiararsi a lui. Questo fatto fu occasione perché Guglielmo recuperasse le forze perdute e convinto della strada che aveva tanto desiderato e quindi intrapreso suo figlio, non solo l’accettò, ma decise anche di seguirlo. Guglielmo e Pellegrino quindi ritornarono ad Antiochia, donarono ogni loro avere ai poveri e iniziarono un lungo viaggio che li portò in Italia: sbarcati a Brindisi, visitarono il Santuario di San Nicola di Bari, quello di San Michele sul Gargano, poi quello dell’Incoronata e per ultimo quello della Iconavetere di Foggia. A questo punto avvennero dei fatti miracolosi e si concluse la loro esistenza terrena; dopo che ebbero venerato la Iconavetere i due si abbracciarono e così furono rapiti alla vita terrena, mentre avvenivano prodigi. Morirono il 26 aprile 1146; patroni di Foggia.