SANT’Oggi. Venerdì 29 settembre la chiesa ricorda gli arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele, san Simón de Rojas, san Giovanni di Dukla e venerabile Sisto Riario Sforza
Oggi 29 settembre la chiesa ricorda gli arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele, il nuovo calendario liturgico raggruppa in un unico giorno la festa dei tre arcangeli. Nel Nuovo Testamento il termine “arcangelo” è attribuito solo a Michele, a Gabriele e a Raffaele. Il culto di Michele si diffuse dapprima solo in Oriente: in Europa iniziò alla fine del V secolo, dopo l’apparizione dell’arcangelo sul monte Gargano. Michele è citato nella Bibbia nel libro di Daniele come primo dei principi e custodi del popolo d’Israele; è definito arcangelo nella lettera di Giuda e nel libro dell’Apocalisse. Michele è colui che conduce gli altri angeli alla battaglia contro il drago, cioè il demonio, e lo sconfigge. Il suo nome, di origine ebraica, significa: “Chi è come Dio?”.
29 settembre: san Simón de Rojas, nacque a Valladolid (Spagna) il 28 ottobre 1552, a 14 mesi di età le sue prime parole: «Ave, Maria». All’età di 12 anni, entrò nel monastero trinitario nella sua città natale, dove fece la sua professione religiosa il 28 ottobre 1572 nell’Ordine della Santissima Trinità (trinitari). Completò i suoi studi presso l’Università di Salamanca tra il 1573 e il 1579; fu ordinato sacerdote nel 1577. Ha insegnato filosofia e teologia a Toledo dal 1581 fino 1587. Mentre dal 1588 fino alla sua morte, ha esercitato con grande prudenza la carica di superiore in diversi monasteri. Nello stesso periodo, fu inviato come visitatore apostolico nella sua provincia di Castiglia, per due volte, e nell’Andalusia. La sua più grande gioia era visitare i santuari mariani, pregare Maria, e imitava le sue virtù, cantava le sue lodi, e sottolineava l’importanza della Beata Vergine nel mistero di Dio e della Chiesa. Attraverso studi teologici profondi, comprese sempre meglio la missione di Maria nella salvezza del genere umano e la santificazione della Chiesa. Ha vissuto la sua vita religiosa con lo stile di Maria. È stato per questo motivo che ha fondato, il 14 aprile 1612, la Congregazione degli Schiavi del Dolcissimo Nome di Maria. La Congregazione da lui fondata aveva carattere laicale: vi potevano aderire persone d’ogni ceto sociale. Gli iscritti, tra i quali figuravano anche il re e i suoi figli, si impegnavano ad onorare Maria, assistendo maternamente i suoi figli prediletti: i poveri. Si distinse per la devozione mariana: propagò il culto del Santissimo Nome di Maria, e con la sua influenza a corte, fece incidere le lettere d’oro “Ave Maria” sulla facciata del palazzo reale a Madrid. Nel 1619 è nominato Precettore dell’Infante di Spagna. Il 12 maggio 1621 è scelto come confessore della regina Isabella di Borbone. Il 5 giugno 1622 implorò la Santa Sede l’approvazione del testo liturgico da lui composto in onore del Dolcissimo Nome di Maria che, più tardi, papa Innocenzo XI estese alla Chiesa universale. Morì il 29 settembre 1624.
29 settembre: san Giovanni di Dukla (Jan z Dukli), nacque a Dukla (Polonia) nel 1414. Studiò a Cracovia sotto la direzione di san Giovanni Canzio. Entrò giovanissimo nell’Ordine dei frati Minor Conventuali, ma dopo aver ascoltato una predica di san Giovanni da Capestrano, allora in Polonia, nel 1435 passò tra gli Osservanti e con sommo zelo si diede alla predicazione, soprattutto tra gli scismatici russi ed armeni. Terminati gli studi, diventò sacerdote. In seguito divenne superiore a Leopoli (Ucraina) e successivamente responsabile la custodia dei vari conventi di quella provincia. Portato alla vita contemplativa, chiese ed ottenne dai superiori, il permesso di passare tra i padri Bernardini, uno dei tanti rami che partirono dall’Ordine Francescano, chiamati così, perché le loro chiese erano dedicate a san Bernardo. Spese la sua vita nella ricerca della perfezione, nella cura delle anime e nel lavoro missionario, fu un apostolo del confessionale e del pulpito. Con l’età patì diversi malanni, fra cui la cecità, ma continuava a creare e raccontare le sue prediche grazie anche all’aiuto dei giovani preti. Morì il 29 settembre 1484; patrono della Polonia e della Lituania.
029 settembre: venerabile Sisto Riario Sforza, nacque a Napoli il 5 dicembre 1810, da un’antica e nobile famiglia napoletana. Iniziò gli studi filosofici e teologici presso la Congregazione della Missione. Ancora studente fu nominato da papa Leone XII abate di San Paolo in Albano, abbazia che godeva del patronato giuridico della sua casata, prendendone possesso il 12 febbraio 1828. Dopo gli studi umanistici a Napoli, nell’autunno del 1827 si trasferì a Roma presso lo zio, il cardinale Tommaso Riario Sforza, per frequentare come esterno i corsi filosofici e teologici del seminario di Sant’Apollinare. Fu ordinato sacerdote a Napoli il 15 settembre 1833 dall’arcivescovo cardinale Filippo Giudice Caracciolo. Proseguì gli studi a Roma, all’Accademia dei Nobili ecclesiastici, forse con l’idea di intraprendere la carriera diplomatica, e poi alla Sapienza, conseguendo il dottorato in utroque iure. In quegli anni si dedicò a varie opere di apostolato e direzione spirituale, nell’ospizio di San Michele a Ripa e nelle scuole serali popolari, ma anche nei salotti dell’alta società, dove contribuì alla conversione di alcuni giovani diplomatici stranieri. Papa Gregorio XVI lo incaricò per alcune missioni apostoliche, seppe guadagnarsi la sua stima, e lo volle presso di sé come segretario particolare. Canonico di San Pietro e vicario della Collegiata di Santa Maria in Via Lata, si dedicò all’apostolato fra i diplomatici e gli aristocratici. Divenne vescovo di Aversa il 24 aprile 1845 e ricevette l’’ordinazione episcopale il 25 maggio dello stesso anno. Il 24 novembre 1845 fu nominato arcivescovo di Napoli, Sisto Riario guidò la diocesi partenopea per 32 anni, fino alla morte; fu elevato al rango di cardinale da papa Gregorio XVI nel concistoro del 19 gennaio 1846, ricevette il titolo presbiteriale di Santa Sabina, e nello stesso anno partecipò al conclave che elesse il suo successore, Pio IX, il quale indisse il Concilio Vaticano I, al quale prese parte lo stesso Sisto Riario Sforza, in qualità di padre conciliare. Precoce sostenitore della rinascita neotomista, incoraggiò le iniziative di Gaetano Sanseverino (come la rivista «La scienza e la fede» e l’Accademia di filosofia tomista, da lui fondate). Sempre sollecito nel soccorrere i bisognosi, anche a spese del suo patrimonio, diede prova di grande abnegazione durante le epidemie di colera del 1854-55 e del 1873 e l’eruzione del Vesuvio del 1861, guadagnandosi la stima generale. All’ingresso di Giuseppe Garibaldi a Napoli, il 7 settembre 1860, in una lettera espresse contrarietà all’unità d’Italia ed emarginò i sacerdoti che avevano seguito Garibaldi. Il 22 settembre fu espulso da Napoli. Si rifugiò prima a Genova e poi a Marsiglia e ritornò a Napoli il 30 novembre per intercessione di san Ludovico da Casoria. Fu nuovamente espulso il 31 luglio 1861 e si rifugiò nello Stato Pontificio tra Roma e Terracina fino al ritorno a Napoli il 6 dicembre 1866. Nel novembre 1869, mentre imperversava lo scontro tra il Papato e la Monarchia sabauda, rifiutò di benedire il neonato principe di Napoli, il futuro Vittorio Emanuele III, e di presenziare al Te Deum che si svolse nella basilica di San Lorenzo. Morì il 29 settembre 1877, a 66 anni.