Oggi 5 giugno si celebra san Bonifacio di Magonza, (al secolo Wynfrith), nacque a Crediton (Inghilterra) nel 680 circa, da una famiglia anglosassone. Winfried entrò a 7 anni nel convento di Exeter, attratto dall’ideale monastico. Possedendo notevoli capacità intellettuali, sembrava avviato ad una brillante carriera di studioso: divenne insegnante di grammatica latina e scrisse alcuni trattati. Ordinato sacerdote, all’età di circa 30 anni, si sentì chiamato all’apostolato tra i pagani del continente. Nel 716 Winfrido con alcuni compagni si recò in Frisia (odierna Olanda), ma si scontrò con l’opposizione del capo locale e il tentativo di evangelizzazione fallì. Nel 718 egli riprese il suo viaggio missionario; si recò a Roma, dove il papa gli affidò delle lettere ufficiali per la missione di predicare il Vangelo fra i popoli della Germania. Confortato e sostenuto dall’appoggio del papa, Bonifacio si impegnò nella predicazione del Vangelo in quelle regioni, lottando contro i culti pagani e rafforzando le basi della moralità umana e cristiana. Con la sua attività instancabile, con le sue doti organizzative, con il suo carattere duttile e amabile nonostante la fermezza, Bonifacio ottenne grandi risultati. Gregorio II lo consacrò vescovo, il 30 novembre 722, e cambiò il nome in Bonifacio, perché così potesse con maggiore determinazione correggere e riportare sulla via della verità i pagani. Fu lo stesso Sommo Pontefice a consacrare «Vescovo regionale», cioè di tutta la Germania, Bonifacio, il quale riprese poi le sue fatiche apostoliche nei territori a lui affidati ed estese la sua azione anche alla Chiesa della Gallia: con grande prudenza restaurò la disciplina ecclesiastica, indisse vari sinodi per garantire l’autorità dei sacri canoni, rafforzò la necessaria comunione col Romano Pontefice. Anche il successore di papa Gregorio II lo ebbero in altissima considerazione, Gregorio III lo nominò arcivescovo di tutte le tribù germaniche, gli inviò il pallio e gli diede facoltà di organizzare la gerarchia ecclesiastica in quelle regioni. Per potergli concedere ancora maggiore autorità e favorirlo nella sua opera, Gregorio III lo nominò, nel 732, arcivescovo senza sede fissa e lo autorizzò a consacrare vescovi per le nuove diocesi. Visto che la dignità e l’autorità vescovile non gli erano ancora sufficienti, Bonifacio si recò per la terza volta a Roma nel 737-738 e si fece nominare da Gregorio III Nunzio Apostolico per la Baviera, l’Alemannia, l’Assia e la Turingia, con l’incarico di dare a quei paesi un’organizzazione ecclesiastica più rigida. Nel 744 fondò in mezzo alla foresta silva Buchonia il monastero di Fulda e vi insediò abate il suo discepolo prediletto, il bavarese Sturmi, educato a Roma e a Montecassino secondo le istituzioni dei benedettini italiani. In seguito si insediò a Magonza, nel 745, e si adoperò per la riorganizzazione della Chiesa nei territori franchi. La vita religiosa di queste terre era decaduta, il clero inferiore era incolto e sfrenato, l’alto clero sommerso in attività mondane. Gli ultimi anni della sua vita furono pieni di amare delusioni: era il missionario anglosassone straniero. Bonifacio allora si ritirò e scelse come sede metropolitana Magonza e qui, nell’abbazia che gli era più cara, Fulda, continuò la sua missione pastorale e spirituale. Alla fine dei suoi giorni, il desiderio, tanto vagheggiato nella sua gioventù, lo spinse di nuovo nella Frisia. Con il consenso di Pipino il Breve si recò nel 753 ad Utrecht, dove ristabilì il vescovado insediandovi come vescovo Eoban, e cominciò a predicare il cristianesimo nella parte pagana della Frisia. Qui egli trovò il martirio ardentemente desiderato, fu ucciso dai pagani insieme con Eoban e 50 compagni, sul fiume Boorne presso Dokkum. Morì il l 5 giugno 754, a 75 anni.
5 giugno: san Franco da Assergi, nacque a Roio Piano (L’Aquila) nel 1154/1159, da una famiglia di contadini benestanti, dove ereditò la propensione al bene. Passò, poi, alla scuola del sacerdote Palmerio e si dimostrò volenteroso, intelligente e pio. Il primo in tutto: sia nello studio che nella bontà. Oltre che alla scuola egli dovette dedicarsi anche al lavoro. Il fratello maggiore, non si sa perché, a volte lo maltrattava duramente e lo costringeva a guardar le pecore, lontano dagli occhi dei genitori. Nel frattempo, nell’animo di Franco, andava maturando una grande idea: quella della consacrazione totale al Signore. L’educazione religiosa era veramente profonda, la fedeltà del ragazzo piena e generosa, la voce di Dio distinta e chiara nella sua coscienza. E la risposta fu netta e decisa: sì a Dio. E puntò verso l’ideale che dette unità ed efficienza a tutta la sua vita: rinuncia al mondo, ricerca di Dio. Un giorno il fervido adolescente, spinto dalla grazia e sicuro di sé, lasciò il gregge al pascolo e andò a bussare alla porta dell’Abbazia benedettina di San Giovanni di Collimento in Lùcoli, fervente di vita e di santità, costruita dal conte Odorisio nel 1077. I genitori di Franco, per quanto sinceramente devoti all’Abate, cercarono di dissuadere il figlio dalla strada intrapresa. Ma Franco fu irremovibile e perseverò nel suo proposito di offerta di sé a Dio nell’assoluta disponibilità alla grazia divina. La sua fiducia in Dio gli dette fiducia in se stesso. Franco non fu soltanto un esemplare di monaco ma un monaco esemplare. E disciplinando con severità il suo corpo e il suo spirito, visse pienamente la vita del suo ideale e l’ideale della sua vita. Dopo circa 20 anni di vita monacale Franco formò e rifinì la sua forte personalità. Egli adottò un’altra severa decisione, fondamentale per la sua vita: imitare san Giovanni il Battezzatore titolare dell’Abbazia che lo ospitava; Giovanni, il campione e il predicatore della penitenza, l’eroe e il martire che scomparve per l’affermazione del Cristo. Ottenuto con difficoltà il necessario permesso dai suoi superiori il permesso di ritirarsi a vita eremitica in qualche zona dei monti d’Abruzzo. Il primo periodo lo passò nei boschi di Lucoli, cibandosi di miele selvatico, radici di erbe e frutti selvatici. Con l’intensificarsi dell’affluenza di pellegrini che lo visitavano per chiedergli consigli e quindi per sfuggire al contatto umano, lasciò quel primo rifugio e si stabilì prima in una grotta tra Pizzoli e Montereale e poi in una spelonca del monte Vasto. Da lì passò in una grotta solitaria ed inaccessibile alle falde del Gran Sasso. Qui rimase per 15 anni, fino alla fine della sua vita, vivendo in austerità e contemplazioni celesti e scendendo al vicino paese di Assergi soltanto per ricevere i sacramenti. È qui che avvenne l’episodio del bambino in fasce salvato dalla bocca di un lupo che lo aveva rapito e miracolosamente restituito alla madre per intercessione di Franco. È per questo motivo che Franco viene spesso rappresentato con accanto un lupo che stringe un bambino tra le fauci. Quando Franco, per la malferma salute, percepì prossima la sua fine, volle ricevere gli ultimi sacramenti, poi fu lasciato solo con le braccia incrociate. La notte, le campane di Santa Maria in Silice suonarono da sole prima dell’ora consueta ed i galli del paese cantarono insolitamente. La popolazione si svegliò, immaginò, guardò in direzione della grotta e vide una luce: accorse e trovò l’eremita morto.
5 giugno: beato Ferdinando d’Aviz, nacque a Santarem (Portogallo) il 29 settembre 1402, figlio del re Giovanni I del Portogallo e della principessa Filippa di Lancaster. Crebbe austero e pietoso, particolarmente interessato alla sorte dei cristiani fatti schiavi dai mussulmani, li soccorreva come poteva e finì col privarsi anche di ogni sua rendita finanziaria pur di riscattarli. In giovane età, nel 1434, venne nominato dal padre Gran Maestro dell’Ordine di Aviz. Essendo il figlio minore accarezzò il desiderio di potersi guadagnare onore e stima mettendosi al servizio del papa o di qualche altro sovrano, poi però, anche su consiglio dei propri fratelli si concentrò sulla lotta antimusulmana in special modo alla guerra al sultano del Marocco. Intraprese, insieme a suo fratello Enrico il Navigatore, una crociata alla riconquista di Tangeri con settemila militari cristiani contro i mori in Nordafrica, partendo da Lisbona. Alla testa di un esercito di uomini valorosi e con il sacrosanto entusiasmo di crociata, Fernando attaccò Tangeri il 13 settembre 1437. L’attacco a Tangeri ebbe successo, ma a prezzo di alte perdite umane e ben presto la città fu perduta. Enrico, comandante della spedizione, per preservare l’esercito da ulteriori perdite, si accordò per una tregua, lasciando il fratello, Fernando, insieme ad altri 12 compagni, in ostaggio del sultano del Marocco; la tregua fu rotta, sembra dai mori, e, non essendo riusciti a trovare un accordo, Fernando rimase prigioniero e, dato che aveva tentato invano la fuga, fu trasferito a Fès (Marocco). Come riscatto, per Fernando, il sultano chiese la restituzione della città di Ceuta, conquistata dai portoghesi nel 1415, che Giovanni, il conestabile del Portogallo, dopo il disastro, aveva difese tenacemente dagli attacchi del sultano del Marocco. Giovanni era disposto ad accettare, ed offrì la città in cambio della libertà di suo fratello Fernando, che però rifiutò, e quindi lo scambio non poté essere concluso. Infatti Fernando non volle che il suo paese perdesse una città così preziosa per il Portogallo e decise di rimanere prigioniero. Il fratello Pietro, reggente del regno, nel 1440, avrebbe voluto cedere Ceuta per la libertà di Fernando, ma nella corte non tutti furono favorevoli, allora rivolse un patetico appello al sultano, senza ottenere alcun effetto. Nei seguenti cinque anni di prigione, Fernando ricevette, grazie alle visioni celesti, la forza soprannaturale per resistere e morire eroicamente di dissenteria. Il suo corpo, con la crudeltà tipica dei mori mussulmani, fu sviscerato e appeso per i piedi alle mura della città. Morì il 5 giugno 1443.