a cura di don Riccardo Pecchia
Oggi 8 luglio la chiesa celebra beato Eugenio III (Bernardo dei Paganelli), 167º papa della Chiesa cattolica; nacque a Montemagno (Pisa) nel 1080 circa, da una famiglia nobile. Scelse la vita monastica dopo aver incontrato l’abate cistercense san Bernardo di Chiaravalle. Era abate del Monastero dei Santi Anastasio e Vincenzo, presso le Tre Fontane (Roma), quando fu eletto papa. Scelse il nome pontificale di Eugenio. In piena rivoluzione comunale, alla morte di papa Lucio II, il 15 febbraio 1145, il conclave infatti si era riunito nello stesso giorno, nella chiesa di San Cesario al Palatino. Appena eletto, i senatori romani gli chiesero di riconoscere l’autorità del Comune e di rinunciare ai suoi poteri temporali. Eugenio si rifiutò ed i rivoltosi bloccarono l’accesso alla basilica di San Pietro nel tentativo di bloccare la consacrazione del nuovo papa. Egli allora lasciò Roma e si recò nel monastero di Farfa, dove venne consacrato il 18 febbraio. Quindi scelse Viterbo come propria residenza. Roma in mano ai facinorosi era in tumulto: abitazioni di prelati e cardinali erano devastate, conventi e monasteri assaltati. Arnaldo da Brescia, grande oppositore del potere temporale dei papi, fece ripristinare la vecchia costituzione romana ed abolire la carica di prefetto pontificio, sostituito dalla carica elettiva del patricius di Roma. Il primo a essere insignito del titolo fu Giovanni Pierleoni, discendente da una famiglia di ebrei convertiti e fratello dell’antipapa Anacleto Il morto nel 1138. Il papa non tardò a scomunicare il Pierleoni. Nello stesso tempo chiedeva aiuto a Tivoli e alle altre città intorno a Roma. Forse spaventati da un’imminente interdizione su tutta la cittadinanza e forse perché l’isolamento intorno a Roma cominciava a creare seri problemi, i repubblicani chiesero un accordo al papa. Nel dicembre 1145 si giunse ad un accordo nel quale i repubblicani s’impegnavano a sospendere la carica di patricius e a riconoscere l’autorità pontificia, mentre il papa s’impegnava a riconoscere il Comune ed il Senato sotto il suo vassallaggio. A Natale di quell’anno il papa era tornato a Roma. Con bolla Quantum predecessores, del 1 dicembre 1145, Eugenio III, avendo avuto la notizia della cattura di Edessa da parte dei Turchi, invitava alla seconda crociata. Il pontefice scrisse al re di Francia Luigi VII esortandolo a partecipare. Il 5 ottobre 1146, da Viterbo, Eugenio III ordinò infine al clero italiano di predicare la croce. L’esercito dei crociati con alla testa re Luigi VII si mise in marcia il 2 maggio 1147 seguendo quello tedesco guidato da Corrado III. Arnaldo da Brescia si era recato in visita dal papa nella sua residenza di Viterbo, mostrandosi pentito ed ossequioso. Successivamente, poco dopo l’ingresso del papa a Roma, anch’egli tornò a Roma per un pellegrinaggio penitenziale. Ma in poco tempo i suoi sermoni e le sue invettive contro i possedimenti materiali degli ecclesiastici aizzarono nuovamente i cittadini incolti ed i repubblicani contro la Chiesa e il papa e fecero schierare anche alcuni esponenti del basso clero con i repubblicani. Il 15 luglio 1148, da Cremona, il pontefice scomunicò Arnaldo da Brescia. Nell’ottobre del 1149 Eugenio III ricevette a Tuscolo re Luigi VII di Francia che, attraverso il Regno di Sicilia, stava tornando dalla crociata. Con l’esito infelice della seconda crociata si pensò, nel 1150, di organizzare una crociata contro l’Impero d’Oriente. Nel marzo 1153 i legati pontifici furono in grado di stipulare un trattato con l’imperatore a Costanza, nel quale si stabiliva di riportare il papa alla guida di Roma, di cacciare dall’Italia i bizantini, di non stipulare la pace né con i repubblicani romani né con i normanni nel sud Italia. Gli ultimi mesi furono trascorsi da Eugenio III in attesa della discesa dell’imperatore in Italia. Morì a Tivoli l’8 luglio 1153.
8 luglio: sant’Adriano III (al secolo Agapito), 109º papa della Chiesa cattolica; nacque a Roma, una potentissima famiglia del patriziato romano, che alcuni studiosi vogliono imparentata con i conti di Tuscolo. Eletto il 17 maggio 884, il suo breve pontificato ebbe luogo in un periodo travagliato. Il 17 maggio 884, dopo la morte del viterbese Martino I, venne eletto come papa Agapito, assunse il nome di Adriano III in omaggio al prozio, Adriano I, per sancire la continuità della linea politica. L’elezione di Adriano III avvenne in un’epoca particolarmente difficile per la Chiesa Cattolica. L’impero di Carlo Magno, dopo la morte del fondatore nell’anno 814, aveva iniziato un periodo di lento, ma inesorabile declino, che si era manifestato alla morte di Ludovico il Pio, figlio di Carlo che aveva ereditato l’impero paterno. Alla morte di Ludovico il Pio, nel 840, l’impero di Carlo Magno venne diviso tra i tre figli Lotario, Ludovico il Germanico e Carlo il Calvo. Dopo varie vicissitudini, per una serie di fortunate coincidenze dinastiche, l’imperatore Carlo III il Grosso riuscì a riunire nelle proprie mani gran parte dei territori che appartennero all’impero del suo antenato Carlo Magno. Per sancire il suo potere, Carlo III il Grosso riunì una Dieta imperiale a Worms, ingiungendo a papa Adriano III di parteciparvi per ottenere la sua legittimazione del figlio naturale Bernardo, che avrebbe così potuto ereditare la corona paterna evitando nuove divisioni dell’impero. Il pontefice, anziano e probabilmente malato, si mise in cammino verso la città tedesca di Worms. La salute del papa si aggravò in maniera critica durante il passaggio degli Appennini e, nei pressi della località di San Cesario sul Panaro (Modena), il papa iniziò ad agonizzare. Adriano III morente venne portato nella vicina abbazia benedettina di Nonantola, dove morì e venne sepolto. Morì l’8 luglio 885.
8 luglio: santi Aquila e Priscilla, erano due coniugi giudei convertiti al cristianesimo e vivevano a Roma dove erano fabbricanti di tende. Furono discepoli di san Paolo di Tarso e, quando quest’ultimo lasciò Atene per recarsi a Corinto, «qui trovò un giudeo chiamato Aquila, oriundo del Ponto» (At 18,2), Aquila e la moglie Priscilla avevano dovuto lasciare l’Italia, poco tempo prima, in seguito all’ordine dell’imperatore Claudio, emesso nel 49 o 50, che proibiva ai giudei di vivere a Roma. Paolo si recò da loro a Corinto e scoprì che Aquila fabbricava tende come lui, così «si stabilì nella loro casa e lavorava» (At 18,3). Non è chiaro se fossero già diventati cristiani o furono convertiti da Paolo durante il suo soggiorno presso di loro. Alla partenza di Paolo da Corinto, Aquila e Priscilla andarono con lui ma si fermarono a Efeso, mentre l’apostolo proseguì perla Siria; in sua assenza istruirono Apollo, un giudeo nativo di Alessandria, «uomo colto, versato nelle Scritture» (At 18,24-26), che era stato ammaestrato nella via del Signore e aveva ricevuto il battesimo dai discepoli di san Giovanni Battista. Paolo chiaramente li teneva in alta considerazione. Scrivendo ai cristiani di Roma, salutava loro in particolare, come «miei collaboratori in Cristo Gesù; per salvarmi la vita essi hanno rischiato la loro testa» (Rm 16.3); non è chiaro a quale incidente Paolo si stia riferendo qui, ma potrebbe essere accaduto a Efeso durante i tumulti (At 19,23-41). Paolo aggiunge che non era il solo ad avere con Aquila e Priscilla un debito di gratitudine «ma tutte le Chiese dei gentili» (Rm 16,5). Ad un certo punto la coppia Aquila e Priscilla lasciò Roma di nuovo e si trasferì a Efeso; quando Paolo scrisse da quaggiù alla Chiesa di Corinto in occasione della Pasqua del 57, incluse: «Vi salutano molto nel Signore Aquila e Priscilla, con la comunità che si raduna nella loro casa» (1Cor 16,19). Niente di certo si può aggiungere a questo quadro di coppia devota, disposta a rischiare la propria vita per la fede, e che non esitò ad offrire, per tutto il tempo, il suo aiuto pratico alla Chiesa che stava nascendo. Il Martirologio Romano aggiunse che morirono in Asia Minore, e questo concorderebbe con il fatto che Aquila e Priscilla vivevano ad Efeso, ma esiste anche una tradizione che afferma che essi subirono il martirio a Roma.
8 luglio: beato Giulio da Nardò, nacque a Nardò (Lecce) nel XVI secolo, da una nobile famiglia. La quale, secondo le consuetudini del casato, lo fece educare nelle lettere, nella scienza e soprattutto nella musica, disciplina a cui era particolarmente inclinato. Giulio fin dalla più giovane età si raccolse nella preghiera e nella meditazione delle Sacre Scritture, per decidere la scelta della sua vita. Animato da grande fervore per i più bisognosi, illuminato dallo Spirito Santo, distribuì loro tutti i suoi beni e lasciò la casa paterna, indossò il saio del pellegrino, quindi si avviò verso la lontana Campania, per trovare un posto adatto al suo desiderio di solitudine. Arrivò alle pendici del Monte Partenio, presso Avellino, lì trovò una vallata con faggeti denominata Chiaia, dove viveva un eremita, di nome Giovanni, e con lui prese a condurre una vita dedita alla preghiera e alla meditazione. La loro santità di vita attirò le attenzioni di molte persone, compresa quella dei nobili Carafa, feudatari del posto, che offrirono ai due un eremo con annessa chiesetta dedicata alla Vergine Incoronata. A lavori ultimati Giulio e Giovanni si adoperarono affinché l’eremo e il nascente santuario fossero affidati ad un ordine religioso e così papa Gregorio XIII vi mandò i Benedettini Camaldolesi. Oramai Giulio era diventato abbastanza noto e già si prospettava la possibilità che ricoprisse i più alti incarichi. Riservato e desideroso di silenzio, lasciò l’eremo e andò a bussare alla non lontana Abbazia di Montevergine, dove fu ben accolto dai monaci. Qui visse all’ombra della Madonna, prodigandosi con zelo instancabile per il decoro del Santuario e per il culto della Madonna Celeste, distinguendosi soprattutto come organista, compito che con sapiente maestria assolse per ben 24 anni. Per umiltà non volle essere ordinato sacerdote, non reputandosi degno e per umiltà, prima di morire, chiese ai suoi superiori di essere seppellito sotto il pavimento della Cappella della Madonna, così da poter essere calpestato da ogni pellegrino, come il più grande peccatore. Morì l’8 luglio 1601.