di Saverio Bellofatto
La tradizione popolare trova nell’accensione del fuoco una delle sue espressioni più significative, che rimanda ad epoche storiche alquanto remote. Alcune ritualità, piuttosto diffuse in Italia e anche in Europa, evidenziano ancor oggi la centralità dell’elemento fuoco che permane in alcune rappresentazioni di origine talvolta pagana ma che con l’avvento del cristianesimo sono entrate a far parte di alcuni suoi riti religiosi perdendo così il loro significato originario. Al fuoco, tuttavia, vanno attribuite alcune proprietà che possono considerarsi il retaggio di alcune credenze paganeggianti, ancora vive tra le popolazioni rurali.
“E fucaroni”, per esempio, svolgerebbero un’azione purificatrice contro quelle figure immaginarie animate da intenti malefici, esplicando nello stesso tempo anche una funzione rigeneratrice. Tale pratica trova nell’antichità importanti richiami. Si pensi alle celebrazioni in onore di Dio Saturno (Dio della fertilità) che, nella Roma pagana, venivano salutate mediante l’accensione dei fuochi e all’antica Grecia, dove si attribuiva al fuoco un ruolo molto importante, allorché si accendevano dei grandi falò in cui venivano immolate le vittime e bruciati idoli per poi spargere le ceneri nei campi.
Trattando dell’aspetto più “laico” del fuoco, e quindi non asservito a pratiche rituali di tipo religioso, può evidenziarsi il suo significato di elemento aggregante del nucleo familiare. Intorno ad esso, la famiglia si radunava alla sera e gli anziani raccontavano gli aneddoti legati talvolta al vissuto e talaltra a un mondo immaginario in cui erano presenti i racconti connessi alla magia e alla superstizione, generando un’atmosfera di suggestioni che condizionavano fortemente il sentire di ognuno. “Li cunti ”, assumevano tale denominazione proprio perché la centralità del fuoco ristoratore richiamava a se, in un momento di intimità familiare, l’incontro delle vicissitudini e delle esperienze del gruppo che, da quel contesto, spesso traeva il giusto sollievo in attesa di riprendere le fatiche della vita.
Nella tradizione popolare l’accensione del fuoco assume un significato particolare: tale pratica, sicuramente molto antica e diffusa in tutte le popolazioni agro-pastorali dell’Europa, è giunta fino ai nostri giorni mantenendo immutate alcune caratteristiche e, nonostante la dedicazione ai santi operata con l’avvento del cristianesimo, “e fucaroni” conservano alcuni tratti che confermano la loro origine pagana. La Chiesa, infatti, allorché impose la propria dottrina, dovette tener conto degli aspetti del paganesimo fortemente radicati nella popolazione e, assecondando alcune pratiche culturali, operò la trasmutazione del loro significato, pur mantenendo l’elemento rituale con i connotati tipici del mondo pagano. Pertanto, se prima dell’avvento del cristianesimo “i falò” erano volti principalmente ad onorare il Dio-Sole e altre divinità locali, ora l’antico rito è asservito a un nuovo credo religioso, tanto che i fuochi invernali, nella nostra tradizione, sono oggi dedicati ai santi: a Santo Stefano a Baiano, a Sant’Antonio Abate in molti paesi della Campania, e a San Sebastiano ad Avella ect.
In ognuno di questi fuochi continuano, tuttavia, a mescolarsi i diversi significati delle pratiche che in qualche modo valgono a connotarli. Nel “fucarone” di Santo Stefano, che viene acceso il 25 dicembre, secondo la credenza popolare, si assicurava la protezione da eventuali danni o malattie. Tale usanza trova origine in tempi remotissimi, e quindi precristiani. Pertanto, mentre nella tradizione cristiana è volto ad ottenere la protezione del santo, e in particolare la sua intercessione salvifica dai mali corporali e spirituali, nella tradizione pagana la stessa pratica aveva la funzione di scacciare le streghe o di propiziare una buona annata agraria. In entrambe le tradizioni è comunque comune il carattere che si vuole dare al fuoco, che esalta la sua forza purificatrice e rigeneratrice. Da un lato, infatti, esso purifica il corpo ed esorcizza dalle forze malefiche e dall’altro fa rinascere la vegetazione. Quest’ultimo aspetto assumeva un significato particolare soprattutto nelle comunità agrarie, laddove la vita delle popolazioni era strettamente legata alla terra e in cui il legame tra i due elementi essenziali era per certi versi interdipendente. L’accensione del fuoco, infatti, simboleggiava il risveglio del sole, e con esso quello della natura, il cui spirito vegetativo veniva evocato in prossimità dei nuovi lavori nei campi. Nella tradizione pagana non mancava inoltre il valore simbolico attribuito alle fiamme, che nel loro ardere offrivano dei significati dai quale trarre gli auspici sul raccolto.
Con particolare riferimento ai “falò di Sant’Antonio”, che vengono accesi il 16 gennaio, va evidenziata la medesima tradizione del rito del fuoco che, pur avendo origini antichissime, assume in tal caso un significato legato al mondo della cristianità. Tale pratica, infatti, veniva posta in essere per assicurarsi la protezione contro “il fuoco di Sant’Antonio”, ovvero da un’infezione cutanea conosciuta come herpes zoster.
La stessa usanza, è rinvenibile anche nei fucaroni dedicati a San Sebastiano e che vengono accesi in diversi paesi, soprattutto quelli a vocazione agro-pastorale, il 19 e il 20 gennaio.
A Baiano e Avella tale rito, assume un particolare cerimoniale legato al Maio, simbolo fallico della prosperità unito al rito purificatore del fuoco.
I focaroni nella Valle del Clanio sono alimentati dai “ Sarcinielli” fascine di ramaglie provenienti dalla potatura del nocciolo e dell’ulivo, donati dagli agricoltori a gruppi di ragazzi che nei giorni precedenti al rito festosamente raccolgono per le strade del paese.
Negli ultimi anni le varie associazioni culturali stanno recuperando e valorizzando queste antiche tradizioni della cultura contadina: tutt’insieme intorno al “ Fucarone” purificatore, in un momento di festa e socializzazione, di fede e tradizione per rinnovare il ciclo della natura e della vita.