di Armando Sodano WWW.SPAZINWEB.COM
Le due campane, della torre dell’orologio, avevano appena rilasciato gli ultimi 7+2 rintocchi per annunciare, come sempre, l’ora di un tempo difficile, ma miracolosamente immune, per Sperone, da lutti e distruzioni, come era convinzione, almeno fino a quel momento, degli stessi Speronesi, scampati ai bombardamenti anglo-americani da una parte e alle rappresaglie dei tedeschi in ritirata dall’altra, grazie al loro santo protettore Sant’Elia.
Erano le 7:30 di sera, di quel 5 settembre del 1945, quando, sfumate le ultime vibrazioni dei rintocchi, furono le stesse campane ad essere scosse di nuovo, ma questa volta da un inaspettato, fortissimo e potentissimo boato.
Il destino aveva riservato proprio agli Speronesi la più terribile delle sue nefandezze.
5 Settembre del 1945. La Seconda Guerra Mondiale, con la capitolazione del Giappone e la sua firma di resa, da tre giorni era stata dichiarata ufficialmente finita. Finalmente tutto il mondo si preparava ad assaporare, dopo lutti e distruzioni, la gioia della pace.
Così era anche per Sperone, seppure il nostro piccolo paese era stato risparmiato dai bombardamenti degli alleati da una parte e dalle rappresaglie dei tedeschi dall’altra, essendo, noi italiani, visti come nemici da combattere dagli uni e traditori da punire dagli altri. Tanto che era diventata quasi convinzione unanime degli Speronesi di essere stati miracolati grazie al loro protettore Sant’Elia. Cosa che non era successo per Avella e per Baiano, bombardati dagli aerei anglo-americani e i cui edifici principali erano stati minati dai tedeschi in ritirata.
Ma quel giorno, le campane dell’orologio, che da poco e come sempre, con i loro rintocchi alternati avevano annunciato l’ora, erano le 7:30 di sera, tremarono, come tutto il circondario, per un fortissimo e potentissimo boato che aveva improvvisamente squarciato l’aria. Il destino aveva voluto che anche a Sperone, risparmiato fino a quei 7+2 rintocchi serali di quel Giovedì 5 Settembre, rimanesse indelebile il ricordo della paura e del grande dolore di quella guerra. E che quel dolore fosse anche più atroce, il destino aveva riservato proprio agli Speronesi la più terribile delle sue nefandezze: trasformare il gioco innocente di bambini nella più atroce e crudele delle morti.
I bambini, 6, qualcuno dice 7, ma io ne sono riuscito ad accertare soltanto 5 consultando i registri dell’anagrafe comunale di Sperone, forse perché gli altri non residenti a Sperone?, erano tutti nati, e abitavano, nel piccolo slargo di via Santa Croce. Due fratellini, Salvatore e Andrea, rispettivamente di 8 e 7 anni, nel primo portone a sinistra nel disegno, dove erano nati e cresciuti, con il papà Vincenzo Alaia, macellaio, e la mamma Maria di cognome Colucci, casalinga. Altri due, Pietro e Aniello, di 9 e 7 anni, anch’essi fratelli, che erano nati in quell’edificio d’angolo sull’altro lato della strada che conduce giù in fondo al vicolo cieco di Via Santa Croce, dove vivevano con il papà Giovanni Prevete, calzolaio, e la mamma Teresa Vetrano, contadina. E qui, compagno di giochi, viveva anche l’altro bambino, Pietro Paolo, di anni 10, figlio di Carmine Napolitano e Felicia Orciuoli, contadini.
Nella foto i due bambini, Andrea, il più piccolo, e Salvatore, insieme a una delle sorelle. L’altro sorella, la più piccola, di nome Rosetta, ora in America, si salvò dalla strage essendo stata raccolta per strada da un contadino, vicino di casa, perché così piccola veniva trasportata, a fatica, sulle spalle da uno dei fratelli, mentre tutti insieme si recavano proprio a quel tragico destino che li attendeva lì, nel lagno, in località Subaiano, dove spesso i bambini si recavano per giocare.
Quel giorno, un po’ per la tentazione di continuare a giocare, o un un po’ forse per capriccio per non essere stati accontentati nei loro desideri, si riunirono, come era solito, nonostante l’ora tarda, per andare a giocare ancora una volta in quel luogo che li attraeva tanto, il lagno, come un po’ tutti i bambini fino a un po’ di anni fa. Un luogo quasi selvaggio, di curiosità e di avventure. E lì, nel rovistare tra le cose che la piena dell’acqua spesso portava e che, una volta prosciugata, emergevano in bella evidenza, furono attratti da un oggetto insolito, dalla forma strana e un po’ luccicante.
Un tragico destino? Ma quella bomba, lì, non ce l’ha portato il destino. Ha viaggiato, un lungo viaggio, passando da una mano all’altra, da una nave ad un aereo, per essere sganciata lì con il desiderio, e la speranza, che facesse male, tanto male. Ci sono riusciti!Il grande boato fece tremare le case, vibrare i vetri; tutti fuori, nei cortili, per cercare negli altri una spiegazione a quanto era successo. Negli occhi lo spavento e nella mente l’inizio di un presagio di ciò che di lì a poco si sarebbe rivelato: mancavano dei bambini. Lì non c’erano, ma c’era chi li aveva incontrati poc’anzi dirigersi proprio verso quel luogo che il boato aveva indicato. Il cuore a mille, la corsa e poi lo strazio. Nessuna cosa al mondo avrebbe più ridato a quelle mamme la gioia della vita rapita dagli occhi dei loro figli.
A 73 anni da quel tragico e terribile avvenimento, soltanto poche righe, in formato burocratico, nelle pagine del registro anagrafico dei defunti del Comune di Sperone, per registrarne la morte. Scolari, così sono indicati, e celibi, né dove e né come, il modello prestampato non prevede altro.
Qualcuno ha già ricordato che Il loro nome è scritto sulla lapide dei caduti, ma da nessuno mai, incredibilmente, ne ho sentito raccontato la storia, neppure nei momenti di celebrazione.
Cinque poveri scolaretti, forse sei, sette?, che nessuno più ricorda. Chi più di loro potrebbe, invece, insegnarci che la guerra è una nefandezza dell’umanità e non del destino?
La mattina del 6 Settembre, dopo una notte che tutti trascorsero in dolorosa veglia e sofferente strazio, l’applicato e Ufficiale dello stato civile Sabato D’Avanzo, insieme alle guardie comunali Stefano Napolitano e Francesco Mascolo, in silenzio e lacrimanti, erano già lì, nella Casa Comunale, ad attendere Davide Gragnani, delegato alla dichiarazione della loro morte, avvenuta nella “casa posta” in località Subaiano alle ore 19:30 del giorno 5 Settembre del 1945.
La guerra era finita e il mondo si apriva alla pace, ma quei poveri bambini non l’hanno mai saputo.