Sperone non è semplicemente un piccolo comune, un paese costipato tra la spocchia di chi si sente al centro dell’orbe autostradale e il vanto di chi ha prove inconfutabili di antiche storie, insomma tra caselli e castelli. Per noi, insegnanti della scuola secondaria di I grado, Sperone non è un luogo, ma un’idea di scuola. In questi cinque anni – si direbbe con un termine altisonante un “lustro” – a partire dal ruolo, giunto dopo varie peregrinazioni nei licei classici, il bagaglio di esperienze si è accresciuto ed è diventato modus operandi, come per tutti coloro che hanno varcato da docenti il cancello di via dei Funari. Erodoto sosteneva che il clima influenzasse il carattere di un popolo, forse in questo caso è la struttura stessa dell’edificio a rendere così particolare il plesso: due sezioni su di un unico piano, quindi sei aule che si aprono su di un’ipotetica piazza. Spesso si parla di lavoro in team, spirito di gruppo, gioco di squadra e altre espressioni attinenti al mondo di marketing; per noi è semplicemente fare scuola. Non posso non ricordare un episodio accaduto tempo fa. A chi, con tono provocatorio, sosteneva banalmente che i professori in fondo non fanno nulla, la collega Clementina Barone, docente di lingua francese, ribatté: “È proprio così. Io non lavoro. Io insegno”. Ecco. Niente di più vero. La scuola – se è degna di questo nome – non può essere mai solo mera amministrazione, schede da riempire, registri elettronici da controllare, cartellini da timbrare. Il biologo Ludwig von Bertanlaffy, padre della teoria dei sistemi, sosteneva che le connessioni tra le parti sono più importanti delle parti stesse. Damiano Frasson, nel soffermarsi sulle competenze trasversali, scrive: “Un sistema è più della somma delle singole parti, è una realtà integrata che vive delle relazioni tra le diverse parti che lo compongono, quindi il focus più significativo sul quale porre attenzione è la relazione tra le parti, non tanto la singolarità delle stesse”. L’antropologo Gregoy Bateson disse in una famosa intervista: “Probabilmente vi hanno insegnato che avete cinque dita. Bene, questo in generale è errato. […] Ciò che è importante non sono le cinque dita, ma le quattro relazioni tra coppie di dita”. Per gli insegnanti di Sperone quelle relazioni sono moltiplicabili, sono il cuore dell’azione didattica. Non si tratta di essere buoni o cattivi professori – questo non spetta a noi dirlo – si tratta di far fronte insieme a problematiche spesso ricorrenti nel territorio (abbandono scolastico; disagio socio-culturale; difficoltà economiche…). In questa sinergia, parola tanto abusata nell’ultimo decennio, non è mai mancato il sostegno dell’amministrazione comunale. Raramente capita di avere interlocutori così attivi e attenti alla scuola, per cui ringrazio il sindaco Marco Alaia e la dott.ssa Elvira Tortora per l’aiuto e il tempo che hanno sempre dedicato al plesso. E ora che è arrivato il trasferimento in un altro istituto, non posso non salutare quanti ho incrociato in questi cinque anni: il preside Felice Colucci, che mi diede il benvenuto e mi disse che ero fortunata nell’avere Sperone come sede, il preside Vincenzo Serpico, che per primo ha voluto istituire un ufficio di presidenza in sede, con l’augurio che voglia ulteriormente valorizzare questa realtà, il personale tecnico-amministrativo, i collaboratori scolastici, i docenti di Baiano, che mi hanno accolto per due anni, i colleghi della Primaria e dell’Infanzia di entrambi i comuni, tutti i genitori e i miei bellissimi alunni che mi hanno supportato e sopportato.
A coloro, invece, con cui ho condiviso le ansie, le paure, le gioie e le battaglie di questi cinque, incredibili anni – parlo della colleganza speronese – non posso che offrire la mia riconoscenza, già carica di rimpianto. Pensando a voi e alla signora Assunta Caruso, splendida collaboratrice scolastica, so che l’insegnamento di Don Lorenzo Milani non è andato perduto: “Su una parete della nostra scuola c’è scritto grande: I CARE. È il motto intraducibile dei giovani Americani migliori. Me ne importa, mi sta a cuore”. Il nostro plesso, dunque, è la scuola perfetta? No, tutt’altro, ma proprio questa è la sua grande forza: non fingere che vada tutto bene, ma affrontare i problemi, denunciare ciò che non funziona, non per sterile critica, ma come occasione di rilancio.
Antonella Venezia