Il 28 e 29 Gennaio la compagnia teatrale di Lauro “Il Demiurgo” ha portato in scena un nuovo spettacolo, “Paura del buio“, scritto e diretto da Daniele Acerra. Non è la prima volta che i ragazzi del Demiurgo sono a Napoli, essendo stati presenti – e vi ritorneranno a breve – nella Galleria Borbonica di via Morelli. Inoltre proprio il loro ultimo spettacolo, Carte da Legare (4 e 5 gennaio), era stato a Napoli, al Museo dell’Archivio Storico del Banco di Napoli a via dei Tribunali.
Anche stavolta siamo in pieno centro storico, è il 28 gennaio e siamo diretti al primo spettacolo delle 18.30, nella chiesa dei Santi Severino e Sossio. Siamo nei pressi di Largo San Marcellino, nel cuore di Napoli, in un dedalo di vicoli straripante di chiese ogni tre metri, icone votive e università, sedi della Federico II di Scienze Politiche ed altri corsi di laurea, musei di paleontologia e chiostri nascosti, chiusi tra i palazzi. E’ sabato sera. Via dei Tribunali è affollata di persone, anche San Biagio dei Librai, Piazzetta Nilo, sono brulicanti di vita in un modo piacevolissimo che ricordavo e che associo alla primavera, unico e ben diverso dalla freddezza delle capitali armate in tempo di terrorismo.Diverso anche dalle località di mare, dalla costa di Sorrento in bassa stagione.
Napoli è luminosa, vivace, immersa in un andirivieni di persone, avvolta da un’aria fresca e leggera, che s’anticipa. Le luci e i profumi sono quelli di inizio aprile. Superata Piazzetta Nilo, giriamo a destra, percorriamo Vico San Severino. È lungo, stretto e buio. Non è brulicante di vita come via dei Tribunali. Paura del buio. Il buio si annida nei vicoli non percorsi, gli stessi che un tempo si evitavano. No, Napoli è così viva adesso che anche quei vicoli sono vivi, direttissime tra il decumano maggiore e inferiore. Vico San Severino però è buio, e troviamo alla sua fine, austera, la chiesa di San Severino e San Sossio, imponente, grigia, chiusa con un catenaccio. Siamo a Largo San Marcellino adesso. Sappiamo e abbiamo sempre saputo da quando ne abbiamo memoria, che Napoli è così piena di chiese che non ce la facciamo a vederle tutte, a tenerle aperte, a pulirle, a stento riusciamo ad elencarle. Quando ne vedo una aperta che non conosco, mi ci infilo sempre subito dentro. Che non si sa mai, potrebbe essere l’unico giorno dell’anno che per caso è aperta. E chissà cosa potrei trovarci: l’ultima volta, in quella di Sant’Angelo a Nilo, ho scoperto un pezzo di Donatello.
San Severino e Sossio è una di queste chiese, non sempre aperta, spesso tenuta chiusa, nascosta. E in effetti anche stasera appare chiusa: con un enorme catenaccio, e addirittura una macchina parcheggiata davanti al portone. Eppure è qui, come dicevo, che si tiene Paura del Buio. Sembra un luogo di fantasmi, il piazzale buio. Ma siamo in anticipo, per fortuna. Dopo qualche perplessità ed una passeggiata tra i decumani, ritorniamo sul posto e capiamo che l’entrata è in un portone più avanti sulla sinistra, e che lo spettacolo si tiene nella chiesa inferiore, adiacente, anche questa di gusto settecentesco e barocco. L’ingresso è illuminato dall’interno con delle candele, il pubblico, una cinquantina di persone per ogni turno (di più la chiesa non potrebbe accoglierne), è disposto in semicerchio intorno alla scena.
Daniele Acerra all’inizio ci presenta il suo spettacolo, che aveva immaginato, fin da quando aveva iniziato a scrivere, nel Vico Santa Luciella di Napoli. E spiega di come il caso avesse voluto che Il Demiurgo si trovasse a collaborare con l’associazione Respiriamo Arte, in un’operazione di crowdfunding che mira al recupero della chiesa di Santa Luciella in via San Biagio dei Librai, per la cui messa in sicurezza servirebbero “solo” 25.000 euro, una cifra irrisoria rispetto a quelle necessarie per altre chiese, ma che non è stata ancora raggiunta.
Parte del ricavato di Paura del buio verrà devoluto a questa causa.
Paura del buio è ambientato nel Natale del 1943, nella storia sei personaggi si sono rifugiati in un edificio abbandonato nel quale si vocifera vi siano dei fantasmi. Un classico del teatro, quello di personaggi chiusi in una stanza, che devono fare i conti con loro stessi e andare d’accordo necessariamente per la sopravvivenza, come in un’opera di un significato mastodontico che mi ritorna alla mente, “A porte chiuse” di Sartre, la cui frase “L’inferno sono gli altri” è diventata una delle più conosciute dell’autore.
Qui in Paura del Buio i personaggi sono: un reduce di guerra, un fascista, una coppia costituita da marito e moglie e altre due donne, in totale si tratta di tre uomini e tre donne. Nei due atti i sei personaggi costruiscono il loro inferno. Le donne, in particolare, non sono “pure” (e spicca infatti l’accostamento tra le loro sembianze angeliche e le passioni nelle quali sono coinvolte): sono rispettivamente un’assassina, l’amante di un soldato tedesco ed un’amante di molti soldati, ovvero una moglie che si prostituisce in tempo di guerra per necessità. Inizialmente il passato di ognuno dei personaggi non è noto a tutti gli altri, ma viene svelato nei due atti.
Si tratta di una storia da un enorme potenziale e che è collocata in un momento storico che fa ancora parte di noi. Il peso della seconda guerra mondiale, i ricordi, gli aneddoti che ci portiamo dietro. Prostituirsi con i soldati in cambio di sigarette e collant era un’abitudine e Napoli è piena di figli della guerra della fame. Ma non c’è solo la spietata e cruda verità in Paura del Buio ma anche l’immaginazione, perché i sei personaggi mettono in atto un esorcismo per allontanare gli spiriti che vivono nell’edificio e qui entra in gioco un altro aspetto caratteristico di Napoli e del suo mondo, la scaramanzia.
Ancora una volta il caso e le coincidenze sembrano quasi forzate, eppure vere: nella chiesa di Santa Luciella che l’associazione Respiriamo Arte mira a recuperare è stato ritrovato un teschio con le orecchie che, grazie a questa sua caratteristica, si diceva che facesse da tramite tra il mondo dei morti e quello dei vivi. Con le orecchie, ancora “vive”, stranamente conservate, il teschio poteva infatti ascoltare le preghiere dei vivi e portarle nel mondo dei morti.
Paura del buio è uno spettacolo ben costruito, non presenta buchi nella narrazione o momenti in cui appiattisce e come prima opera scritta e diretta da Daniele Acerra risulta un ottimo lavoro. C’è un crescendo di pathos in special modo concentrato sui personaggi femminili, gli avvenimenti si susseguono senza mai annoiare. C’è sempre da scoprire sui personaggi e mano a mano il passato di ognuno viene svelato. L’esorcismo, che ha difficoltà ad essere portato a termine ed è organizzato dal personaggio di Matilde, è apparentemente il fulcro della storia. Un fulcro però effimero (ma stilisticamente azzeccato) così come irreale era la presenza dei fantasmi, un trucco messo in atto da uno dei personaggi (quello interpretato da Daniele Acerra, il reduce), per conservare il luogo “puro”, in modo che altre persone non si fossero aggiunte. Le uniche presenti nella scena sono così le uniche degne di esservi, perché pur credendo ai fantasmi, si sono rifugiate nell’edificio ugualmente. (E poi siete arrivati voi. E non mi dispiaceva perché per essere venuti qui nonostante i fantasmi, dovevate essere le persone più diritte che mi potevano capitare, recita Daniele)
L’ambientazione è perfetta. Quando le luci si spengono l’esorcismo sembra vero, anche se un pizzico di ironia continua a tenere leggera una storia dai temi più che pesanti. Ironia dovuta al fatto che è difficile credere ai fantasmi quando fuori c’è già una guerra, e che è a volte mantenuta dal tono degli attori, che parlano in napoletano. Anche i colpi di pistola sembrano veri: e il fatto che non ci sia un palco a separare gli attori dal pubblico fa sorgere per qualche attimo il dubbio su quale sia la realtà (o che qualche altra realtà ci abbia inseguito fino a qui). Alcuni elementi, degli altri dettagli, completano questo quadro del ’43. L’alternanza del bianco nero negli abiti ed un enigmatico personaggio che scandisce e divide gli atti: il soldato tedesco, il fantasma che i sei personaggi, con le loro paure ma anche con le loro azioni, hanno creato.
Gli interpreti sono: Daniele Acerra, Ferdinando Nappi, Franco Nappi componenti storici de Il Demiurgo e Chiara Di Bernardo, Daria D’Amore e Giovanna Landolfi, provenienti dall’Accademia del Bellini. Il soldato tedesco è Raul Quagliata. All’aiuto regia: Francesca Borriero.
Il prossimo spettacolo del Demiurgo: Io sono il re – Storia di un “quasi re” nel sottosuolo di Napoli – 4-5 Marzo – Galleria Borbonica di Napoli
Valentina Guerriero