Nel 1885 fu posta in esercizio la prima linea interprovinciale di trasporto complementare su ferro della Campania e del sud, con gli incentivi della legge del 1879. Fu realizzata da “le chemin de fer”, societa’ anonima per azioni costituita a Bruxelles da imprenditori belgi con investimenti di tre milioni e 700 mila franchi con prevalente utilizzo di capitale di rischio rispetto al capitale di terzi.
di Gianni Amodeo
Una storia iniziata il 22 novembre del 1884 con la messa in esercizio della Napoli–Nola, che nell’anno successivo si completò con la tratta Nola–Baiano. Era il 9 luglio del 1885.
Nasceva sull’asse Napoli-Avellino la prima linea interprovinciale della Campania e del Sud per il trasporto complementare su ferro a binario unico, con trazione a vapore e a scartamento ridotto. Un intervento di innovazione e modernizzazione sociale ed economica per i territori attraversati dai binari, su cui viaggiavano i convogli, con la linda e caratteristica livrea bicolore in bianco\avorio e rosso\granata, che s’è conservata quale simbolo distintivo fino agli anni ’60 del secolo scorso, pur nei cambi gestionali, per essere sostituita da quella dello scialbo bicolore in grigio sfumato e rosso, che si stenta a intravedere negli attuali convogli, ricoperta- o imbrattata- com’è da pretenziosi “graffiti” di varie e bizzarre forme. Era- ed è- la linea di connessione, per la distanza di circa 30 chilometri, tra la grande città partenopea e quella parte del suo naturale entro-terra qual è quella dalla piana di Bosco Fangone – protetta dal Massiccio del Partenio e dai Monti Avella, estreme propaggini dell’Irpinia- in cui è operativo dagli anni ’80 del secolo scorso il Distretto della logistica e del terziario avanzato Cis–Interporto–Vulcano Buono.
E’ il contesto, quello appena abbozzato, nel quale Nola esercitava già importanti funzioni nel sistema del trasporto principale regionale con lo scalo ferroviario per viaggiatori e merci sulla linea Cancello–Avellino–Benevento, che fu realizzata dall’amministrazione borbonica e dall’amministrazione dello Stato unitario a tappe forzate tra il 1840 e il 1891. Erano le funzioni che ne esaltavano e valorizzavano la millenaria vocazione mercatale. La prima tratta della linea ferroviaria attualmente declassata quale linea locale o regionale, anche se ben attiva, fu la Cancello–Nola. Venne inaugurata il 3 giugno del 1846. La seconda tratta, la Nola–Sarno fu inaugurata il 17 gennaio del 1856, con importanti ricadute per le produzioni tessili e canapiere della Valle del Sarno; produzioni, per le quali divenne più agevole l’afflusso nel porto di Napoli, essendo stata già realizzata la tratta Napoli–Nocera, nel tracciato della Napoli–Salerno, tra le prime e più importanti linee di trasporto principale italiane.
IL SINDACATO DI IMPRENDITORI BELGI E LA BANCA GENERALE DI ROMA
Riprendendo il filo del racconto, va ricordato che il progetto della Napoli–Nola–Baiano, elaborato dall’ingegnere Franco Danise ed approvato nel 1879 dal Consiglio superiore dei Lavori pubblici, fu realizzato, per l’assetto delle opere strutturali ed infrastrutturali, nel giro di tre anni da Le Chemin de fer et extensions, società anonima per azioni, che era stata costituita nel 1882 a Bruxelles attraverso il sindacato di imprenditori belgi in una compagine, in cui figuravano imprenditori tedeschi oltre che la Banca generale di Roma. Ma quest’ultima pochi anni dopo lasciò campo libero agli imprenditori brussellesi per effetto della crisi che negli anni ’90 del secolo scorso investì l’intero sistema bancario italiano, messo a soqquadro da quelle speculazioni immobiliari finite in malora, segnatamente a Napoli e Roma; speculazioni combinate con ladrocini “civili” e coperte da prezzolate ingiustizie di ogni genere, fatte lievitare dalla corruzione politico-istituzionale, il cui racconto rivelatore si deve a poche e coraggiose cronache del tempo. Come per dire, vicende di sempre sotto il cielo del cosiddetto Bel Paese, con puntuali e ampliate proiezioni nei nostri giorni.
Certo è che Le Chemin de fer et extensions proseguì regolarmente nella gestione della linea, in costante osservanza del Diritto civile e societario belga, con prevalente utilizzo di capitale di rischio rispetto al capitale di terzi, per un investimento pari a tre milioni e 700 mila franchi. E sul mercato furono poste in vendita 14 mila ed ottocento azioni, per il controvalore di 250 franchi per ciascuna, con cedole di cui sono fornite due riproduzioni in foto-copia, messe a disposizione da Stefano De Laurentiis, giovane imprenditore e cultore di storia del territorio, oltre che podista di vaglia nelle file dei Runners Baiano, di cui è guida ed anima Fortunato Peluso.
Ma va anche evidenziato che il titolo di concessione d’esercizio della Napoli–Nola–Baiano era stata rilasciato nel 1880 dal governo nazionale all’ingegnere Giovanni Frontini, da cui Le Chemin de fer et extensions lo acquisì. L’investimento della società belga, dopo le iniziali fasi di assestamento, si rivelò, in complesso, calibrato con significativi riscontri e ritorni di redditività, in virtù anche e soprattutto della regolarità dei servizi assicurati agli utenti. Ed un’eloquente testimonianza sulla tematica è leggibile nelle schede dei bilanci, inserite nella tesi di laurea per il dottorato di ricerca, messa a punto da Laura Ciullo e discussa nel 2008 nella Facoltà d’Economia dell’Università degli Studi Federico II. Ne fu relatore il professore Francesco Balletta, docente della Cattedra di Storia dell’economia e ospite frequente del Circolo “L’Incontro” per interessanti e documentate conversazioni-lezioni su tematiche di attualità economica e finanziaria. Un impegno di cittadinanza attiva, che onora l’Emerito docente, con ascendenze familiari ad Avella.
La strada aperta dalla società belga con la Napoli–Nola–Baiano fu seguita dalla Società anonima della ferrovia Napoli-Ottajano per la realizzazione con la messa in esercizio della tratta di collegamento tra la città partenopea e la città vesuviana. Era il 1901. La Società anonima, grazie all’ingresso di altri investitori privati, ma anche ai supporti della legge del 1885 per il Risanamento della città di Napoli, fu trasformata nello stesso anno in società per azioni, assumendo il titolo di concessionaria d’esercizio con il logo di Strade ferrate secondarie meridionali. In rapida sequenza temporale sarebbe stata realizzata da Sfsm\Circumvesuviana la rete dei servizi ferroviari per l’area vesuviana, torrese-stabiese e sorrentina. Un’operazione- largamente favorita dalle condizioni geomorfologiche di territori pianeggianti restanti le linee di costa- che nel 1937, con l’elettrificazione dell’’intero sistema complementare di mobilità su ferro, si conclude con l’acquisizione della Napoli–Nola–Baiano in capo proprio ad Sfsm\Circumvesuviana, dopo che Le chemin de fer et extensions era stata messa in liquidazione.
Ma negli ultimi decenni si registra il progressivo e grande mutamento, al peggio. In Sfsm\Circumvesuviana subentrano nuovi modelli, si fa per dire, di gestione. “Arrivano” i contratti di servizio, garantiti da crescenti finanziamenti pubblici. La politica e i sindacati allungano le loro fameliche piovre sul sistema, ch’era stato sempre funzionante nella normalità e nell’efficienza, secondo i principi di quello ch’è un servizio di pubblico interesse di primaria importanza, qual è quello della mobilità. Ora il sistema- dopo lo scorporamento per fallimento dell’Eav bus- è affidato all’Ente autonomo Volturno, che deve procedere all’operazione di risanamento dell’indebitamento di 700 milioni, in cui versa e prodotto dai “marziani”. Un’operazione in salita, a cui farà da traino, come sempre, il governo nazionale di turno. Ma sono storie diverse, su cui si ritornerà.
LE DINAMICHE DELLE SOCIETA’ DI CAPITALE EUROPEE E L’ARRETRATEZZA ITALIANA
L’investimento, di cui si rese protagonista la società belga per la Napoli–Nola–Baiano, costituisce, in scala ridotta, ma di simbolica eloquenza, la classica cartina di tornasole della situazione economica italiana, sostanzialmente priva, soprattutto nel Sud, di un ceto imprenditoriale, in grado di interpretare e rappresentare le esigenze sociali sul versante dell’evoluzione e del progresso civile. La ricchezza, che da sempre si era concentrata nei latifondi agrari non generava investimenti né fungeva da moltiplicatore di opportunità di sviluppo, ma soltanto rendita, di cui beneficiavano ristrette oligarchie dei proprietari terrieri, per nulla capaci di innovare almeno le colture, per potenziarne la resa e la qualità di produzione. Erano oligarchie di nulla o modesta formazione culturale, che formavano “blocchi sociali” e di potere, fortemente condizionanti della realtà sociale dei territori.
Significativo su questo piano è il prospetto delle società di capitale, operanti nell’ Italia post-unitaria e fino ai primi decenni del ‘900. Erano società belghe, francesi, svizzere, inglesi e tedesche, che realizzarono importanti investimenti, per realizzare opere nei più disparati settori strutturali e infrastrutturali, conseguendone i relativi ritorni di remunerazione e profitto economico. Anche le legislazioni furono catalizzatrici della loro presenza, tra cui quella del 1879, funzionale al trasporto complementare su ferro, di cui si valse al meglio Le chemin de fer et extensions, e non soltanto in Campania, dato l’alto livello di specializzazione tecnica e tecnologica ch’era in grado di garantire su scala europea. La stessa ricordata legge del 1885 per il Risanamento della città di Napoli, ch’era stata devastata dal colera polarizzò gli interessi delle società di capitale estere per l’attuazione dei programmi di intervento urbanistico e costruttivo. La dotazione economica della legge per il Risanamento era di 100 milioni. Una dotazione di straordinaria rilevanza, oltre che la prima del genere, ad essere posta in vigore dal governo nazionale, ma in Italia operavano società di capitale estere con risorse e patrimoni di gran lunga superiori a quelle destinate alla legge per il Risanamento. Per farla breve, le società di capitale strettamente locali al Nord erano rare e di relativa tenuta, al Sud erano assenti o erano sporadiche eccezioni. E caselle importanti erano, quelle della società inglese che deteneva il pieno controllo dell’Acquedotto del Serino, e della società svizzera, il cui capitale era largamente prevalente nella Sme, il cui ruolo era strategico per la produzione di elettricità.
La sintesi indicativa di questa condizione è il dato che attesta- al 1913- la presenza in Italia di 292 società di capitale straniere che versavano allo Stato tasse per circa mezzo miliardo di lire del tempo.